MOLTO FREDDO, MOLTO SECCO CON LIME La responsabilità della libertà si manifesta nel dovere di fare meglio per chi non può

di Lisa Divina
Qui ci vuole serietà! Viviamo in un mondo dove le differenze tra chi ha e chi non ha, tra chi è libero e chi è oppresso, si fanno sempre più evidenti. In una società globale interconnessa, la distanza fisica dalle tragedie non dovrebbe tradursi in distanza morale. Si, va bene, abbiamo sfilato in piazza, ma è servito davvero? O invece di manifestare azioni concrete ci siamo solo esibiti? Eppure, questo è ciò che accade. Troppo spesso chi gode di sicurezza, stabilità e benessere si sente sollevato dall’obbligo di agire concretamente, come se il privilegio fosse solo una condizione da tutelare per sé, anziché un mezzo per amplificare un’evoluzione che parte da qui ma il cui eco si possa sentire fino all’altro capo del mondo. La libertà non è un privilegio ma una responsabilità. Abbiamo il privilegio di vivere lontano da guerra, fame e paura e questo non deve portarci a un atteggiamento di superficialità. Al contrario, deve essere la più grande motivazione per fare meglio e di più. La libertà non è solo un diritto perché chi ha più strumenti e più possibilità ha anche un dovere maggiore nei confronti di chi non può fare altrimenti. Essere spettatori passivi davanti a ingiustizie locali significa rafforzare la loro esistenza per poi scadere nell’ipocrisia esibendoci in piazza con belle parole che non servono a sanare lo strappo che si è generato nella nostra società, né per le vittime della guerra e nemmeno per migliorare la nostra condizione territoriale. Abbiamo tanto e facciamo il minimo indispensabile.
Questo silenzio sommato all’immobilismo, la mancata denuncia di chi non sviluppa nulla nonostante i vantaggi e le possibilità, divengono forme di complicità, consapevoli o meno, a un atteggiamento di incuria che deturpa anche se non distrugge nell’immediato. Se chi soffre non ha la possibilità di sviluppo tocca perciò a chi può fare e agire. Questa è la differenza tra una società che evolve e una che si rassegna alla disparità. Ma come si traduce questo pensiero in concreto? Il primo passo è sempre la consapevolezza. Informarsi, conoscere e diffondere la realtà delle cose anche di casa nostra (sopratutto perché è qui che possiamo agire), senza lasciare che le narrative dominanti oscurino la verità. In un’epoca di iperconnessione, dove tutto è a portata di clic, non possiamo più giustificare la nostra ignoranza, la nostra inattività. Servono scelte e azioni quotidiane. Sostenere chi si impegna per il cambiamento, partecipare a iniziative di sviluppo del territorio, contribuire al miglioramento della società anche con gesti apparentemente piccoli. Il cambiamento sociale non è sempre fatto di grandi rivoluzioni, ma di tante azioni individuali che, sommate, creano un impatto collettivo. Il nostro futuro dipende da noi tutti. Viviamo in un’epoca in cui non possiamo più permetterci di dire: “Non mi riguarda.” Perché tutto ci riguarda. Perché anche se non siamo direttamente colpiti da guerre o crisi umanitarie, il mondo è uno solo, come l’isola, e a fronte di tutta questa sofferenza abbiamo il dovere di migliorarci anche se le ingiustizie sono all’ordine del giorno. La libertà, quando ce l’abbiamo, è un dono che porta con sé la responsabilità di usarla nel miglior modo possibile per noi stessi e per il nostro territorio. No, non basta “manifestare” per sentirsi con la coscienza pulita. Cari amministratori e imprenditori dovete prima scendere in piazza per la vostra terra e dopo potete con dignità esprimervi per il resto del mondo. Magari fare entrambe le cose. O volevate solo esibirvi sulla tragedia? Perché il privilegio smette di essere un diritto nel momento in cui si trasforma in ipocrisia.