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Monte Vezzi undici anni dopo: l’importanza della memoria

Undici lunghi, lunghissimi anni per scoprire che in fondo nulla e cambiato. E, come nella Inverary Road narrata da Tiziano Sclavi nel celebre episodio di Dylan Dog “La zona del crepuscolo”, ogni giorno pare un giorno qualsiasi di un anno che verrà. E così ecco che anche il cronista ripercorre e celebra ogni anno quel maledetto 30 aprile 2006, senza quasi avere più frecce al proprio arco. Perché davvero da qualche anno a questa parte, si finisce col ripetere sempre le stesse cose e questo non è affatto un dato positivo. Lo abbiamo detto più volte e quasi saremmo diventati monotoni se non si trattasse di rinfrescare costantemente la memoria su una delle più immani tragedie della nostra isola. “Una cicatrice che non si rimarginerà mai”, l’avrete sentito chissà in quante circostanze questo leit motiv, ed il vero problema è che ancora oggi calza a pennello. Perché quella ferita non solo non si è suturata, ma è ancora presente e visibile in mille dettagli. Guardando quella lingua di montagna, i luoghi della tragedia e soprattutto buttando lo sguardo nel pieno centro di Ischia, dove tuttora alloggiano gli sfollati di Monte Vezzi. Niente ville, né tantomeno appartamenti dignitosi, semplicemente container. Aspettando chissà cosa e chissà chi, dopo tante e troppe promesse.

Che si sia trattato di tentativi andati a vuoto o di pure chiacchiere volate via al vento, questo non ci è dato poterlo sostenere con certezza assoluta, fatto sta che di porte e portoni se ne sono aperti e chiusi tanti in questi ultimi dieci anni. In fondo, quando nel 2015 fu apposta una targa commemorativa in Piazzetta San Girolamo per ricordare le quattro vittime di Monte Vezzi (Luigi Buono e le sue giovanissime figlie Anna, Maria e Giulia) si parlò di diciannove appartamenti pronti a ricevere tutte le autorizzazioni del caso per essere costruiti in località Campagnano, poi però ci pensò l’italica burocrazia a “fermare il ciuccio”. Un diritto di superficie vantato dalla cooperativa che all’epoca costruì le case popolari fece saltare il banco. Il problema, evidentemente, da allora ad oggi non è stato affatto risolto. In via Arenella, poi, andò in onda la scena di un film già visto. Tra gare d’appalto da espletare, codici degli appalti mutato, espropri da portare a compimento, adempimenti da effettuarsi a cura del consiglio comunale, ci si è persi in una serie di meandri capaci di far venire il mal di testa un po’ a tutti.

«Ci hanno dimenticati. Ricordo bene cosa è accaduto anni fa e se ne parlo ho paura di sentirmi male dal troppo dolore»: questo è quello che Orsola Migliaccio riferiva a Il Golfo il 30 aprile dello scorso anno, questo è quanto ripeterebbe oggi perché altrimenti non corrisponderebbe a verità il fatto che il tempo davvero pare essersi fermato. Oggi come dodici mesi fa, un’altra triste circostanza, quella che non ha visto l’organizzazione di un solo evento, appuntamento, manifestazione, per ricordare la scomparsa drammatica di quattro nostri concittadini. Non è bello, non è giusto, anche perché da allora nulla è più come prima, anche per chi quella tragedia l’ha vissuta da spettatore. Quando piove, complice anche il pauroso “bis” di Casamicciola nel 2009, quale isolano riesce a dormire sonni tranquilli? Ecco, oggi forse siamo colpevoli due volte: per aver dimenticato e non aver appreso alcun insegnamento da quella maledetta alba del 30 aprile 2006. Nel frattempo la vita è proseguita e ci sono bambini che un giorno apprenderanno quello che è accaduto a loro congiunti. E che aspettano di capire (e vedere) cosa significhi abitare in una casa.

GAETANO FERRANDINO

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