INCHIESTE

Rapporto Censis 2023: Scuola troppo distante dal mondo del lavoro

Lo afferma l’85,9% degli italiani e l’89,1% degli studenti. Il 95, 9 % dei docenti si ritiene soddisfatto del proprio lavoro nonostante tra i Paesi UE solo in Ungheria si guadagna di meno

“Molte scie, nessuno sciame. Accomunando promesse di inclusione,occasioni di benessere, investimenti in capitale umano o patrimoniale, ilnostro Paese ha costruito in decenni il proprio meccanismo di vita socialepreferendo, per così dire, lo sciame allo schema, l’arrangiamento istintivo aldisegno razionale. Uno sciame che oggi appare disperdersi, distaccandodietro di sé mille scie divergenti. Mescolando libertà di azione individuale evincoli collettivi, inerzie personali e bisogni sociali, il nostro modello disviluppo ha garantito con piccoli movimenti, con una dimensione brada dimeccanismi e strategie decisionali periferiche, l’adattamento della societàitaliana a modifiche strutturali in periodi di crisi come di ripida ripresa, hariconosciuto e raccontato il vitale e disordinato ronzio che quotidianamentemanteneva e accresceva benessere e ricchezza individuale, familiare, dipiccola impresa. La proliferazione dei comportamenti e dei soggetti italianiin passato è stata però ricomposta in una dimensione collettiva di interessi,di strategie, di identità. Gli sciami si sono dispersi: quel meccanismo dipromozione e mobilità sociale si è usurato”.

Così apre la 57a edizione del Rapporto Censis che fotografa ed interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase congiunturale che stiamo vivendo. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto descrivendo una società con molte scie, ma nessuno sciame, con una direzione, ma pochi traguardi, in cui i meccanismi di mobilità sociale si sono usurati.

“La pandemia, la crisi energetica e ambientale, le guerre ai bordidell’Europa, l’inflazione, i flussi migratori, l’affermarsi di modelli disviluppo diversi da quello occidentale, l’aggravarsi dei rischi demografici edei nuovi bisogni di tutela sociale hanno però messo definitivamente a nudoi bisogni di medio periodo del nostro Paese. L’elenco è lungo ed è noto,occorre oggi prendere atto che la perdita di potenza delle spinte collettiverende ancora più difficile affrontare i tanti difetti strutturali. È evidente chemanca, tanto nel pubblico quanto nel privato, la capacità di dosare eimpastare riforme, processi produttivi e investimenti”…

“La transizione digitale inizia a fare i conti con una platea via via piùampia e differenziata di fragilità ed esclusione per scarsità di risorse,competenze, infrastrutture, reti, e con un sistema di regole strutturalmentenon in grado di stare dietro alla velocità del progresso tecnologico.L’amplificazione dei segnali di crisi ambientale e l’accelerazione dei suoieffetti, entrata nelle case di tutti, mostra chiaramente fragilità e ritardi, e ilbisogno insoddisfatto di politiche, strumenti, investimenti pubblici e privatiper la messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture. La transizioneenergetica ha superato la prima stazione di arrivo e appare evidente cheserve un bilanciamento tra sicurezza degli approvvigionamenti, innovazionetecnologica, riduzione dell’impatto delle attività industriali, schiodando lacoscienza collettiva ferma davanti al caro-energia. La transizionedemografica, con l’invecchiamento della popolazione e la crisi dellanatalità, è la trasformazione che più chiara abbiamo sotto gli occhi e dellaquale più evidenti sono le dinamiche di medio periodo”…

“In questi mesi si è fatta strada la consapevolezza che è cambiatal’attribuzione di senso dei giovani verso il lavoro, con un sostanzialerovesciamento rispetto al lontano come al recente passato. Il rovesciamentodel ruolo del lavoro come espressione della vocazione e dello sviluppo dellapersona e delle comunità opera silenziosamente una ristrutturazione degliassetti sociali. Non rimette certo in moto uno sciame, una direzione e unosforzo collettivo di sviluppo”.

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In questo contestola scuola, sostiene il Censis, è troppo distante dal mondo del lavoro. Lo afferma l’85,9% degli italiani e l’89,1% degli studenti. Si stima un fabbisogno occupazionale tra il 2023 e il 2027 pari a quasi 1,3 milioni di laureati o diplomati Its: in media, circa 253.000 all’anno a fronte dei 244.200 effettivamente previsti. Nei prossimi anni ci sarà dunque un fabbisogno inevaso di almeno 8.700 persone con formazione terziaria ogni anno, per un totale di 43.700 nell’intero periodo considerato, di cui circa l’80% costituito da laureati in discipline Stem, economiche, statistiche, sanitarie e giuridiche. I giovani in Italia sono pochi e in futuro saranno ancora meno. Oggi i 18-34enni sono 10.293.593: negli ultimi vent’anni si sono ridotti di oltre 2,8 milioni. Erano il 23,0% della popolazione nel 2003, sono scesi al 17,5% nel 2023 e tra vent’anni, nel 2043, si ridurranno al 16,4% del totale. Tuttavia, nel nostro Paese persistono sacche endemiche di dissipazione del capitale umano giovanile: i Neet 15-29enni, che non studiano e non lavorano, sono il 19,0% del totale, a fronte di una media europea dell’11,7% (siamo secondi solo alla Romania). Il 26,8% dei 18-24enni (oltre un milione) ha al più la licenza media e di questi l’11,5% (oltre 460.000) è classificabile come early school leaver, avendo lasciato precocemente gli studi.

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Per quanto riguarda i docenti, al di là degli stipendi contrattuali, che sono tra i più bassi in Europa a qualunque stadio della carriera, la retribuzione lorda media effettiva dei docenti italiani, comprensiva di eventuali bonus e indennità, espressi in dollari a parità di potere d’acquisto, oscillano dai 39.569 dollari nella scuola dell’infanzia ai 44.843 dollari dei docenti dei licei (un valore inferiore alla media Ue: 51 633 dollari). Tra il 2010 e il 2022 gli stipendi dei docenti italiani della scuola secondaria di secondo grado sono diminuiti del 10,7% in termini reali, mentre il valore medio europeo solo del 2,8%. Un docente della scuola secondaria superiore guadagna il 26% in meno di un lavoratore a tempo pieno con istruzione terziaria (nella media Ue solo il 6% in meno): l’Italia si colloca al penultimo posto, davanti solo all’Ungheria. Eppure, la motivazione rimane alta: il 95,9% dei docenti si dice soddisfatto del proprio lavoro

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