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Nuovo stop della Corte d’Appello, Mattia resta con la mamma

I giudici confermano la sospensione della decisione adottata dal Tribunale di Napoli, che sottraeva il bambino di 8 anni dalla genitrice per collocarlo in una casa famiglia. Sottolineato il “pericolum in mora”, ossia la circostanza che lo spostamento del minore in attesa della decisione finale potrebbe non rappresentare il suo migliore interesse

La Corte di Appello si è pronunciata, o forse no. Ma al netto dei tecnicismi, possiamo dire che almeno fino al prossimo 17 novembre il piccolo Mattia (il bambino che il Tribunale di Napoli, tutti i lettori ricorderanno, aveva sottratto alla mamma che si era rifugiata col piccolo a casa di suoi parenti per evitare che il figlio le venisse strappato, salvo poi essere individuata dagli agenti del commissariato di polizia di Ischia) resterà con la sua genitrice. La Corte d’Appello,che già aveva inizialmente sospeso in extremis il provvedimento da parte del Tribunale – giusto prima che questo fosse eseguito di buon mattino nella zona 167 di Lacco Ameno dove i “fuggitivi” avevano trovato ospitalità – ha optato per una nuova sospensione del predetto provvedimento. Una sospensione confermata tra l’altro nel contraddittorio ossia all’esito della costituzione in giudizio delle altre parti e che l’udienza per la decisione finale del reclamo nella sua totalità è stata fissata a breve ossia al 17 novembre. Una immediatezza dettata dal rischio di incorrere, come la stessa Corte scrive nelle motivazioni, nel cosiddetto “periculum in mora”, ossia il fatto che lo spostamento del minore in attesa della decisione finale potrebbe non rappresentare assolutamente il suo migliore interesse. Nulla viene scritto riguardo alla fondatezza del reclamo che allo stato dell’arte passa evidentemente in secondo piano. Ma è chiaro che l’udienza del 17 rappresenta uno snodo fondamentale: se si dovesse vincere, e ci riferiamo naturalmente alla mamma (per cui, inutile nascondersi, facciamo tutti il tifo) si vincerà su tutta la linea. Non resta che attendere queste due settimane e fare i debiti scongiuri.

La vicenda assunse una eco mediatica di rilevanza nazionale lo scorso 12 ottobre quando arrivò una decisione choc del Tribunale di Napoli relativa proprio al piccolo Mattia. Un decreto di collocamento in casa famiglia che veniva così motivato: “Lo allontana irreversibilmente non solo dal padre, ma da tutta la realtà precipitandolo in un mondo occupato solo dalla madre (ed in cui tutti gli altri adulti sono nemici) reputa il Collegio, sulla scorta di tutti gli elementi acquisiti al giudizio, che sia preferibile il collocamento in comunità, che arrecherà (almeno all’inizio) sofferenza al bambino, ma è l’unica soluzione che dovrebbe scongiurare il gravissimo pregiudizio alla sua condizione psichica derivante dalla frequentazione unica ed esclusiva della madre”. La misura coercitiva sarebbe stata quindi secondo il Tribunale un male ‘necessario’: una prassi di riallineamento al padre che evocherebbe le note tecniche del Transitional Site Programs ideato da Gardner per ‘curare’ i minori dall’alienazione parentale e affermare a tutti i costi la bigenitorialità. Alienante sarebbe la mamma di Mattia, un bambino che negli incontri protetti con il padre aveva crisi d’ansia al punto da non voler uscire dalla macchina: l’unica ribellione possibile dei suoi teneri 8 anni. La storia che il penale ha archiviato è quella di un bambino che ha quasi 4 anni quando la mamma vede “un arrossamento, pelle violacea nella zona anale e gli chiede cosa sia accaduto. Il piccolo indica delle bottiglie detergenti e racconta di abusi e molestie sessuali, mimando anche il gesto”. I genitori sono separati e il piccolo frequentava il papà con visite libere, quasi sempre anche nel domicilio materno. Da quel racconto partì la denuncia direttamente dall’ospedale dove la mamma portò subito il bimbo in visita. La perizia non confermò in modo inequivocabile un abuso sessuale. Tutto fu archiviato, il referto del tampone anale fu distrutto e non più disponibile per ulteriori approfondimenti da parte dell’Autorità Giudiziaria. Una decisione che all’epoca aveva suscitato la reazione dell’avvocato Andrea Girolamo Coffari (che assiste la madre di Mattia in uno alla collega Clotilde Di Meglio) che ebbe a dire: “Questo è il tipico caso di un bambino che rifiuta il padre per timore e di una madre che lo protegge. In ambito penale il padre non può e non deve essere condannato in assenza di prove inequivocabili, siamo garantisti, ma ciò che non capiscono alcuni giudici è che l’archiviazione penale non vuol dire che in ambito civile il giudice non debba proteggere le vittime. Nonostante la Convenzione di Istanbul, il lavoro della Commissione femminicidio e la riforma Cartabia parlino di violenza istituzionale, quale è strappare un figlio a una madre in nome di una bigenitorialità, si continua ad ignorare questo principio di logica giuridica. Avevamo presentato Appello e siamo in attesa dell’esito e nonostante avessi chiesto di sospendere l’emanazione di provvedimenti il Tribunale di primo grado ha emesso questo decreto. Poliziotti e assistente sociali sono già andati. Questa è violenza istituzionale che causa traumi ai bambiniMattia- ha sottolineato ancora Coffari- non aveva problemi a stare con altri adulti, con le zie gli incontri erano stati altalenanti, ma il Tribunale non ha avuto pazienza e ha diramato questo decreto. Il bambino non è patologizzato, aveva il beneficio di uno psicoterapeuta – che il Tribunale aveva chiesto alla mamma di individuare – dalla quale andava volentieri e il Tribunale ha interrotto anche la psicoterapia. Inoltre soffre di favismo e l’ emotività sotto stress può dar luogo a crisi gravi. La mamma non intende fargli vivere questo massacro. Perchè non avere pazienza con i bambini e indulgenza e onore a queste donne che vogliono proteggere i figli? E’ un bagno di sangue per loro, è un dramma. Come si può pensare che lo facciano per ripicca con il prezzo alto che pagano? Le mamme compiono atti eroici quando difendono la loro prole”

L’udienza per la decisione finale relativa al reclamo è stata fissata al prossimo 17 novembre e rappresenta uno snodo fondamentale: una eventuale vittoria scriverebbe la parola fine ad una vicenda a dir poco surreale ed alle sofferenze di una mamma

Il resto è storia di oggi con la polizia che si reca a casa della donna per eseguire il provvedimento del giudice ma non la trova, fino a rintracciarla in una abitazione della zona 167 di Lacco Ameno, dove si vive un pomeriggio drammatico. Sul posto ci sono polizia, carabinieri, assistente sociale, ambulanza e anche il sindaco Giacomo Pascale che prova a fare da mediatore: si riesce a rinviare la decisione al mattino successivo quando arriva il sospiro di sollievo dettato dallo “stop” temporaneo della Corte d’Appello. Adesso ribadito nuovamente. C’è ancora da lottare, sperare e magari, perché no, pure pregare.

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