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Natale 2018, il messaggio di Lagnese: «Angeli o pastori?»

Angeli o pastori? Abbiamo fatto il presepe? E gli angeli dove li abbiamo posti? Con i piedi sul tetto della stalla o appesi, con il filo di nylon, sotto un cielo stellato rigorosamente di color blu notte – di stoffa o di carta, poco importa -, sempre alati e, nella maggior parte dei casi biondi, gli angeli, mai possono mancare nel presepe. A volte ce n’è uno solo, altre volte tanti; ma sempre là, sulla grotta – è quello il posto! – mentre, tenendo tra le mani uno striscione, cantano in coro: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Nel presepe, dovendo raccontare il prima e il dopo, noi li mettiamo là, sulla stalla di Betlemme, ma di fatto essi sull’alloggio di fortuna, dove nasce il Bambino, proprio non ci stanno; non sostano in adorazione sulla greppia, né sulla mangiatoia danno segnali particolari. Dio vuole nascere in maniera straordinariamente normale – ama fare così! – e, pur essendo quella una nascita tutta singolare, vuole presentarsi a noi senza effetti speciali, ma con modalità incredibilmente usuali! Il Figlio di Dio, il cielo lo ha abbandonato veramente e l’incarnazione ha deciso di viverla tutta quanta! Mandati a portare il lieto annuncio altrove, gli angeli chi sono? Sono – mi dico – l’immagine della Chiesa: come loro chiamata ad uscire, ad andare anch’essa fuori, da un’altra parte, per annunciare una gioia grande in ogni posto e in tutti i luoghi, soprattutto nelle zone più depresse e degradate, per portare ai pastori, quelli di sempre, ai poveri cioè e agli ultimi della terra, a quanti non contano e sono dei perdenti, la notizia – e che notizia! – la più straordinaria che ci sia, sorprendente, inconcepibile e inaudita, scandalosamente bella: Dio si è fatto uomo! Gli uomini li ama: veramente! E per loro ha desideri di vita e di bene, di amore e di pace unicamente. Dio si è fatto come noi. È qui! In mezzo a noi! E per noi ha lasciato il Cielo. Si è fatto debole, inerme, fragile, Bambino; tutto disposto a darsi e a perdere. Pronto a soffrire; fino a morire. Le fasce in cui è avvolto già lo dicono. E quella mangiatoia, del suo donarsi come pane, è segno assai eloquente. Signore – domando – riusciremo a fare come gli angeli? Quando diventeremo – come annuncia San Paolo – uomini celesti? Ed io, che ancora arranco, quando arriverò a fare come loro nella mia vita di ogni giorno? E ancora: la Chiesa riuscirà a imitare gli spiriti beati? Ad annunciare il Cielo e l’Amore veramente? Ce la farà ad essere meno ingombrante e più libera da condizionamenti? A preferire i cori agli assoli, per essere più luminosa e trasparente, essa stessa annuncio e profezia della Vita altra tra la gente? Sono domande – di certo – importanti, ma che potrebbero dar vita a scoramento. Continuo però nella lettura del vangelo e mi viene spontanea una costatazione: coloro che stanno nelle vicinanze della stalla sono in effetti proprio i pastori! Essi sì che stanno vicino al Bambino! Sono loro che vanno, alla grotta, senza indugio, e là si fermano in adorazione. Sì, Dio ha deciso di mostrarsi proprio a loro. Primi fra tutti, vanno, vedono e raccontano. E poi? E poi fanno esattamente come gli angeli. Senza le ali e con i piedi per terra, si mettono in cammino e, strada facendo, cominciano ad annunciare. Dice San Luca: «I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro». Sono loro ora gli evangelizzatori. Sono loro i nuovi messi viaggiatori. E proprio come gli angeli portano la gioia, glorificano e lodano Dio, annunciando ciò che Lui ha fatto loro vedere. I nuovi angeli sono i pastori. Dio sceglie i poveri anche per farsi annunciare. Anche io e anche tu, possiamo farlo. Anche se non siamo angeli potremo essere pastori. Se almeno ci riconosceremo poveri, semplicemente, saremo anche noi testimoni dell’Amore. Santo Natale 2018.

+ Pietro

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