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‘Vita nel bosco’, ai Giardini Ravino le foto di Gino Di Meglio

Gianluca Castagna | Forio“Andai per boschi perché desideravo vivere con saggezza” scriveva Henry David Thoreau, pioniere dell’ambientalismo, in pieno Ottocento. E se è vero che oggi il patrimonio boschivo corre seri rischi, forse anche la sua millenaria saggezza è in pericolo.
Respirare la vita del bosco a pieni polmoni, ascoltare i suoi rumori, osservare le ombre misteriose di tutta la vegetazione attorno e immedesimarsi così tanto da pensare di farne parte. Scambiare il fruscio del fogliame con un sussurro di parole, come un invito a restare lì, mimetizzati nella natura. L’esperienza della vita fra i boschi, a pieno contatto con l’ambiente, ha ispirato le fotografie dell’avvocato Gino Di Meglio in mostra ai Giardini Ravino di Forio fino al prossimo 8 maggio.
Immagini eleganti e contemplative che prediligono un’idea positiva del bosco, ambiente rigoglioso, incontaminato e riposante. Denso di vita anche nel riposo impenetrabile dell’inverno.
Un invito, per l’essere umano, a cogliere e apprezzare quanto di straordinario e di inatteso il bosco sa celare nei suoi angoli più nascosti.

Come mai questa mostra fotografica dedicata ai boschi?
«Per me il bosco è sempre stato un luogo magico. Un luogo che ho sempre frequentato, sin da giovanissimo. Avevo amici cacciatori e, per quanto contrario all’uccisione di animali, mi univo a loro per conoscere meglio i boschi isolani. Loro con il fucile, io con la macchina fotografica. Poi per un lungo periodo mi sono dedicato al mare, una dimensione completamente diversa. Sono tornato nei boschi grazie a Thoreau, che mi ha costretto a riguardare quei luoghi che fotografavo soprattutto da giovane».
Cosa cerchi in un bosco che ti appassiona come fotografo?
«L’armonia della natura. Un’armonia insuperabile che mi colpisce sempre quando vado nei boschi. Nel caso di questa mostra ho cercato di rendere l’idea di Thoreau di poter vivere in un bosco. Grazie alla collaborazione di Alessia Impagliazzo, che mi ha fatto da modella, ho voluto inserire la presenza umana senza forzature o intrusioni di sorta, tentando di creare un’intimità e un raccoglimento che rispettasse la natura senza prevalere su di essa. C’è una foto nella quale Alessia è accucciata ad un albero, alla ricerca di un’intima condivisione, quasi una richiesta di protezione. Un equilibrio non facile, spero di esserci riuscito interpretando fotograficamente la filosofia di Thoreau e la sua esperienza di vita a Walden».
Dove hai scattato?
«In diverse aree dell’isola. Ai Frassitelli, nei boschi del Cretaio e di Zaro. In particolare mi sono concentrato su un albero magnifico, frondoso, credo centenario, in un luogo del Cretaio che mi auguro sinceramente non venga scoperto da tutti come è avvenuto a Zaro, diventato ormai un luogo affollato in cui si è un po’ perso il contatto più intimo e onirico con la natura».
Ormai, dove appare la Madonna, c’è un traffico automobilistico inaccettabile per una dimensione boschiva. E’ vergognoso che le autorità possano consentire una tale violenza all’ambiente.
«Parole al vento. Manca la sensibilità degli isolani, tutti vivono secondo le proprie regole infischiandosene dell’ambiente e dei danni che possono arrecare. Per questo, quando scopro un posto nuovo, confido che rimanga segreto, che non arrivi l’uomo a distruggere quell’equilibrio di pace e armonia».
Il colore è bandito. Più fotografia espressiva che naturalistica.
«L’immagine che rubo alla natura è realizzata in funzione di un’emozione. Anche i fiori, spesso ritratti nella fase finale della loro vita, servono per esprimere un’idea, non un’informazione scientifica. La mia fotografia non è mai stata naturalistica».
Che macchine hai usato? Quali procedimenti di stampa?
«Due macchine. Una Pentax digitale, medio formato, e la mia tradizionale Linhof Master Technica. Ho trascinato chili di attrezzatura per pendii e boschi. Riguardo alla tecnica, una fotografia è una gomma bicromatata; in realtà avrei voluto fare tutte gomme, ma per questioni di tempo non mi è stato possibile. La gomma richiede un procedimento di almeno quattro o cinque giorni, per dieci stampe avrei impiegato due mesi e i tempi della mostra erano strettissimi. Una, però, l’ho voluta fare a tutti i costi perché la gomma bicromatata è una tecnica coeva alla vita di Thoreau, un omaggio al suo tempo e al pittorialismo che spesso realizzava stampe contemplative dedicate agli alberi e alla natura. Ci sono poi due stampe in Lith: una, lo scatto al bosco dei Frassitelli, con viraggi all’oro che conferiscono un’intonazione blu, un po’ fredda; l’altra, virata sul selenio con effetti di tonalità più calde, vicine al marrone bruciato. Mi sono poi confrontato anche con la stampa digitale, pratica che non mi appartiene, resa necessaria per questioni di tempo».
C’è differenza tra fotografare un bosco d’estate o d’inverno?
«Moltissima. Anzitutto di luce. La luce del sole invernale è più morbida, delicata, avvolgente, Brucia meno le ombre. Quasi tutte le mie foto dei boschi sono fatte in questo periodo, quando gli alberi sono spogli. D’estate, oltre alla fatica fisica dovuta al caldo, la luce è diversa. Il bosco mi piace d’inverno anche quando non fotografo. E’ più intimo».
Oggi molti fotografi preferiscono raccontare zone lontane da casa. Si spostano molto e viaggiano di continuo. Tu invece resti sul territorio, come se ci fossero sempre cose nuove da dire. Penso al nuovo progetto a cui stai lavorando, dedicato alle architetture isolane.
«La verità è che amo il posto dove vivo. Lo amo davvero, non a chiacchiere. E’ il motivo per cui, in passato, ho provato a dare un contributo attraverso il mio impegno in politica. Non ci sono riuscito. Continuo a fotografare sull’isola, perché Ischia conserva ancora suggestioni enormi. Molte fotografie le faccio nel mio giardino, dove scopro sempre qualcosa di nuovo nonostante debba conoscerlo come le mie tasche. La cosa bella dei progetti, specie quelli fotografici, è che sei libero di non chiederli mai. Possono comprendere una o cento immagini. La prossima mostra sarà tutta di stampe alla gomma bicromatata e dedicata alla ricerca delle forme. Architetture particolari che mi attirano, che contengono qualcosa di circolare».

La fotografia è la tua grande passione, la vita professionale è invece dedicata all’avvocatura. Cosa ti auguri per la giustizia e la sua tribolata amministrazione?
«Una profonda riforma. Seria. A noi interessa che la macchina giustizia funzioni perché lavoriamo meglio e diamo risposte a chi ce le chiede. Se il problema persiste perché la struttura non funziona, il cliente non resta soddisfatto. Il sistema giudiziario è stato distrutto da pessime riforme che hanno impantanato la macchina sia in campo penale che civile. Sono mali antichi, che risalgono al Codice Rocco. Da allora tutte le riforme non hanno fatto altro che peggiorare le situazione. In tempi recenti ci si è messa pure la spending review con tagli orizzontali che se ne infischiano delle esigenze dei territori. Quindi carenza di personale, di magistrati e una macchina della giustizia assolutamente inadeguata alle necessità dei cittadini».
E per la giustizia isolana?
«Solo grazie alla buona volontà degli avvocati isolani, alle lotte che abbiamo fatto, si fornisce un servizio non dico all’altezza di un paese civile, ma che riesce in qualche modo a funzionare. Naturalmente, come tutti, mi auguro che ci sia quanto prima la sistemazione definitiva della sede del tribunale: dove siamo adesso, nella sede dell’ex liceo, siamo costretti ad arrangiarci. Ancora: potenziare l’organico. La cancelleria e i magistrati. Al momento, tuttavia, temo sia tutto fermo».

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