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Il Natale delle luci e quello del buio delle case terremotate

C’è un vecchio e buon libro di Luciano De Crescenzo “ Gesù è nato a Napoli – la mia storia del presepe” che ci dimostra quanto sia vero che Gesù è nato una volta a Betlemme e tutte le altre volte a Napoli. Peccato,però, che Gesù si sia fermato a Napoli e non abbia avuto l’opportunità di visitare Casamicciola e Lacco Ameno, prima e dopo del terremoto. Peccato che il Bambinello, al centro del presepe, non abbia visto l’altro presepe, quello delle case “ scarrupate”, della disperazione, della impossibilità della ricostruzione per un groviglio legislativo inestricabile. Il presepe di Gesù non aveva bisogno di piani regolatori, il presepe della zona rossa non ne può prescindere. Ritorneremo sul libro di De Crescenzo; prima, però, desidero citare un articolo di Repubblica del 19 dicembre, scritto dal noto antropologo Marino Niola. Il titolo dell’articolo è “ L’odore sacro di Betlemme nei presepi tra i borghi” e parla soprattutto dell’arte e della storia presepiale nelle Marche ( da Numana a Matelica, da Fabriano a San Quirico). “ Di questi tempi le Marche diventano un presepe diffuso. Una sola scenografia natalizia – scrive Niola -. E poi ricorda che fu S.Francesco a inventare il presepe, affidando il ruolo di protagonisti del Natale agli abitanti di Greccio, un piccolo borgo montano dell’Italia centrale. “ Il presepe è il Vangelo in dialetto – scrive ancora Niola -. Il dogma dell’incarnazione ad uso della gente comune, che si mette nei panni di Maria, Giuseppe, dei Re Magi e dei pastori. E così dà un volto umano alle astrazioni della teologia”. La zona rossa silente di Casamicciola e Lacco è invece il Vangelo “ gridato”, è l’urlo di Munch, la voce della disperazione, la violazione dell’abitato ad opera di sciacalli, il presepe senza pastori, in attesa dell’Annunciazione. Se Niola parla delle Marche, personalmente posso riferirvi delle iniziative presepiali in Romagna. Rimini si trasforma nella città dei presepi, da quelli tradizionali a quelli etnici, fino a quelli giganti di sabbia, allestiti sulla spiaggia di Marina Centro e a Torre Pedrera, dove il tema della natività rivive attraverso gruppi scultorei a grandezza naturale in un inedito percorso creato dagli artisti della sabbia. Anche a Riccione trionfano i presepi di sabbia, nei tini, o secondo la tradizione marinara.  A Poggio Torriana i bambini realizzano un bel presepe di pane. A Cesenatico allestiscono il presepe sulle imbarcazioni del Museo della Marineria. A Predappio ( il paese di Mussolini) viene allestito un originale presepe in una ex miniera di zolfo. A Portico di Romagna espongono centinaia di presepi di tutte le dimensioni e con i materiali più svariati. A Gambettola un gigantesco presepe animato meccanico. A Brisighella un presepe vivente. Personalmente non ho nulla contro il Natale moderno degli enormi e luminescenti alberi di Natale da piazza o i boschi incantati o luminarie tecnologiche e fantasiose, né contro i Babbi Natale su slitta, buoni soprattutto per i turisti in cerca di svago. Ma il presepe è un’altra cosa. Sentite cosa scrive De Crescenzo a proposito della divisione tra “ presepisti e alberisti”: “ La suddivisione in presepisti e alberisti è tanto importante che, secondo me, dovrebbe comparire sui documenti di identità, come il sesso e il gruppo sanguigno L’alberista si serve, per vivere, di una scala di valori completamente diversa da quella del presepista. Il primo tiene in gran conto la Forma, il Denaro e il Potere, il secondo, invece, pone ai primi posti l’Amore e la Poesia. Tra le due categorie  non ci può essere colloquio, uno parla e l’altro non capisce”. La parola “ presepe” viene dal latino: prae ( che vuol dire “ innanzi”) e saepes ( che vuol dire  “ recinto”) ed è partita proprio da Napoli e da qui si è diffusa in tutt’Italia, Ecco un’altra coincidenza di definizioni con la zona rossa isolana: “ innanzi al recinto”, fermi, attoniti in prossimità dei “ confini”, dei limiti della zona evacuata. Nel presepe vero la folla di fedeli, in attesa della lieta novella, va verso la grotta; nel presepe “ scarrupato” dal terremoto, la folla ha compiuto il cammino inverso: dalla dimora alle varie forme di accoglienza fuori sede. Folla “ sfollata”, strappata alle proprie radici. Vorremmo che il presepe vero non finisse mai, vorremmo che non fosse soppiantato dalle mille diavolerie importate dall’America opulenta. Eppure, anche San Gregorio Armeno a Napoli, da quest’anno, appare in difficoltà .Visitatori e turisti brulicano nella famosa strada, ma ormai più per la moltitudine di pizzerie, ristorantini,rosticcerie che crescono di numero, giorno per giorno, nei Decumani, che per l’arte presepiale. Tant’è che molti egregi artisti chiudono i battenti. Al contrario, vorremmo che il presepe del terremoto finisse al più presto. Non abbiamo le competenze tecnico-giuridiche ed urbanistiche per auspicare la ricostruzione delle case sul posto o la delocalizzazione, però abbiamo la consapevolezza  che, con il solo commissario all’emergenza, non si può ricostruire o ricreare altrove nuovi quartieri. Ci vuole un Alto Commissario per la ricostruzione o delocalizzazione, nell’ambito di una pianificazione urgente. Altrimenti finiamo per fare quello che – scherzosamente – De Crescenzo rileva a proposito dei Re Magi : “ Quelli dei Re Magi non erano doni che si potevano mangiare e, purtroppo, nemmeno con cui ci si potesse coprire e difendere dal freddo. Perché, diciamo la verità, è assai probabile che in una serata come quella, Maria e Giuseppe avessero soprattutto una certa fame”.Allo stesso modo, noi- inconsapevolmente- offriamo agli sfollati dalle case terremotate dei “ doni” ( soluzioni) che possono equivalere all’oro, incenso e mirra dei Re Magi. Doni apprezzabili , ma forse non quelli veramente utili per l’occasione. Molti aspettano  che “ L’Annunciazione” per i terremotati venga pronunciata dal Parlamento, magari con una Legge Speciale che sbrogli la matassa urbanistica. Intanto, ha destato scalpore e rammarico la III^ edizione del Presepe per L’Unicef a Casamicciola, dove pare che le mamme e le insegnanti locali abbiano esternato molti motivi di lamentela per la mancanza di solidarietà effettiva, per una discriminazione ed un’emarginazione, a danno dei bambini delle famiglie terremotate, da parte dei Comuni ospitanti ( che sembrano aver risposto più per “ obbligo” che per uno slancio d’amore). Non so se le cose stiano effettivamente così; se così fosse, proverei vergogna in qualità di cittadino del Comune d’Ischia. Certo è che la raccolta Unicef poteva essere effettuata a vantaggio delle scuole di Casamicciola e Lacco. I bambini locali non sono meno importanti degli altri bambini del mondo.  Intanto le Marie, i Giuseppe e i Bambini della zona rossa devono sbrigarsela da soli, col Bue e l’Asinello ( scegliete voi, tra G.B. Castagna e Giacomo Pascale, chi rappresenta l’uno e chi l’altro) a riscaldarsi con gli scarsi mezzi a disposizione. Niente più che un semplice alito.

Franco Borgogna

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