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Quelli che se ne vanno, così l’isola affoga nella mediocrità

ISCHIA. Il racconto del nostro lettore, che vedete in pagina nell’intervista realizzata da Antonello De Rosa, è un po’ l’emblema di quello che sta succedendo per la verità da più di qualche anno sulla nostra isola. Facciamo finta di non accorgercene, o magari siamo talmente caduti nella mediocrità che non ce ne accorgiamo per davvero, ma è giunta forse l’ora di prendere atto della realtà e di fare qualche considerazione magari dura, magari caustica, ma ormai inevitabile. Lo scadimento del tessuto sociale, imprenditoriale, occupazionale (e chi più ne ha più ne metta) sul nostro territorio, porta nella condizione anche un lavoratore d’albergo di andare a cercare fortuna lontano dai confini isolani. L’unico vero controsenso, se vogliamo: potremmo capirlo se si facesse il chimico, l’ingegnere spaziale, qualche professione non praticabile su uno scoglio ma se si presta servizio in una struttura ricettiva appare folle lasciare casa propria, che di attività del genere ne vanta oltre trecento (e parliamo solo di quelle ufficialmente dichiarate, altrimenti apriremmo un capitolo decisamente triste che però ci porterebbe fuori strada). Ma la verità, per quanto cruda e dunque difficile da digerire, è che oggi si preferisce l’impiego in questo settore emigrando, e in tanti non ci mettono nemmeno parecchio a spiegare i motivi di questa scelta.

Raccontano, come fa Nello, che altrove non lavorano dodici ore al giorno, non vengono schiavizzati, non vengono costretti a svolgere ottocento mansioni e non solo quella per la quale vengono retribuiti a fine mese. A proposito, quando la retribuzione arriva perché spesso anche quella finisce con l’essere poco più di una chimera (tutto questo ovviamente salvando imprenditori onesti e puntuali e a scanso di equivoci diciamo che ad Ischia ne esistono ancora). A proposito, il giorno libero scordatevelo, specialmente nel periodo di alta stagione. Così non funziona, così non può funzionare. E così non è soltanto il direttore d’albergo, lo chef o il maitre “ultra qualificato” che va a cercare fortuna altrove, ma anche il portiere, finanche un facchino, un ragazzo alle prime armi. E’ chiaro che un contesto del genere rappresenta una sorta di canto del cigno per lo sviluppo della nostra isola, perché ne ha modificato radicalmente il target e probabilmente in maniera subdola e occulta, senza che nessuno di noi (o quasi) se ne sia accorto e forse qualcuno sveglio lo è pure ma ha fatto finta di non accorgersene.

Il problema di fondo è soprattutto uno. In passato da Ischia si allontanavano le migliori eccellenze, costrette a farlo anche per motivi di natura logistica, perché come detto l’isola non offriva e non offre assolutamente spazi e sbocchi se bisogna esercitare determinate professioni. Poi hanno fatto lo stesso percorso anche tutte le eccellenze di ogni ordine e grado, seguito dalle persone mediamente preparate, per finire anche a chi – pur avendo ancora molto da imparare e da apprendere – un po’ non ci sta ad essere spremuto come un limone e un po’ ha chiaramente compreso che ormai il livello è talmente “basso” che difficilmente potrà mai maturare un’esperienza e una crescita professionale. Il risultato di questa fenomenologia, per quanto possa apparire triste e magari anche offensivo per qualcuno di noi, non può che essere uno: abbiamo svuotato il territorio di tutta una serie di figure che certamente avrebbero contribuito ad aumentarne lo spessore. Ecco perché ad esempio abbiamo imprenditori poco illuminati, lavoratori dipendenti che ormai esercitano la propria professione in maniera svogliata e scoglionata (sanno che non cresceranno mai e la vivono alle volte – specie i giovanissimi – quasi come una costrizione, dal momento che il territorio non offre sbocchi diversi) ed ecco perché in fondo, alla fine, abbiamo anche una classe politica nei sei Comuni assolutamente inadeguata. Ci piace definirli inetti, incapaci, eppure se ci pensate sono esattamente lo specchio della nostra comunità. Incapace di sognare, poco preparata, spesso quasi imbarazzante. Ed allora forse è il caso di chiudere con una provocazione: non è il caso di andarceli a riprendere, quelli che ci hanno lasciato per altri lidi? Sperando, naturalmente, che accettino il nostro invito. Nello, in fondo, non è l’unico a pensare che si stia molto meglio altrove. E questa, purtroppo, suona come una condanna di cui dovremmo un po’ vergognarci. Tutti, nessuno escluso.

DI GAETANO FERRANDINO

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