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Nel segno della croce, l’arte spirituale di Felice Meo

Di Isabella Puca

Ischia – Il palazzo del vescovado ha ospitato, venerdì scorso, il secondo appuntamento de  “i venerdì del borgo” un evento che coniuga musica e arte a ingresso libero. Dopo la mostra di Nunzia Zambardi, è stato Felice Meo a occupare l’androne principale con le sue opere in ferro, con la mostra  dal titolo “Nel segno della croce”. Felice Meo e Nunzia Zambardi Tanti crocifissi ognuno uguale e allo stesso tempo diverso dall’altro atti a trasmettere la spiritualità che risiede nell’animo dell’artista. «”Nel segno della croce” – ci racconta l’artista –  è un percorso artistico religioso volto alla figura di Cristo, ma è soprattutto un percorso di fede scaturito da tante situazioni in modo particolare dalla sofferenza di un amico che oggi non c’è più. Ricordo che gli regalai un crocifisso mentre era in ospedale, mi disse che ero bravo e che dovevo farne degli altri; gli promisi che lo avrei fatto e ho intrapreso questo percorso che, ancora oggi, è in continua evoluzione». Dal 2012, quando propose una mostra su al Castello Aragonese, le opere di Felice Meo hanno fatto il giro dell’isola , «è un percorso che ho lasciato al suo cammino anche per capire se era una cosa mia o se Qualcuno mi stava proiettando in questa direzione». Il materiale utilizzato dal nostro artista è tutto materiale di riciclo, da pezzi di ferro trovati nelle discariche, oppure in strada quando qualcuno abbandona rifiuti ingombranti con leggerezza senza pensare all’ambiente. Così, da un semplice rifiuto, Felice riesce a regalare nuova vita con la sua arte e a dare a ogni crocifisso una diversità che emoziona. «Ognuno di noi ha la propria fede. Le regole di Gesù sono uguali,  ma se vai in chiesa e ti siedi tra le ultime sedie noti che ognuno fa il segno della croce in un modo. Anche se il simbolo è sempre quello, c’è comunque una diversità, ognuno di noi vede la propria croce». Felice lavora all’Eav, ma si dedica con tutta l’anima alla realizzazione di queste opere nelle quali è racchiusa una forte spiritualità, «quando inizio a lavorare a un crocifisso parto in una maniera e arrivo in tutt’altra. È un rafforzamento della mia fede, non do mai una definizione perfetta di quella che dovrebbe essere l’opera, e questa cambia nel frattempo». Tra tutte le opere esposte nell’androne dell’ingresso del Vescovado sorprende un grande Cristo in croce che sembra accogliere il visitatore, «questo Cristo ha i tratti del volto tribali, i capelli sembrano rasta. Ecco, all’inizio non era così che doveva venire, in corso d’opera è arrivato un riferimento a tutti i migranti che arrivano sulle nostre coste». Nel corso del tempo l’arte di Felice è diventata una vera e propria missione, «quando mi chiedono di queste opere io non prendo un centesimo, credo che questa sia una missione che Qualcuno che sta dall’altro mi ha voluto dare. I preti evangelizzano con la parola e io provo a farlo con l’arte. Sento che Qualcuno mi ha dato questo dono e io lo sviluppo per gli altri». Ogni qualvolta che qualcuno commissiona a Felice un crocifisso esce fuori sempre un pezzo unico, uno di questi è possibile vederlo nella cappella dell’Ospedale Rizzoli. «Ricordo che una persona atea che stava ristrutturando la cappella dell’Ospedale mi chiese un crocifisso, avrebbe potuto limitarsi a ristrutturare e invece mi ha chiesto quel simbolo». Un’altra delle opere di Felice è, invece, nel bosco di Zaro e nel suo racconto cresce ancor di più l’emozione, «ancora oggi che ci penso e chiudo gli occhi mi rendo conto che c’è una forza altra da me. Ricordo che andai da un mio amico che disse ad Angela, una delle veggenti, come volevo realizzare il crocifisso. Lei restò sorpresa, perché nel messaggio del mese di maggio la Madonna aveva fatto vedere loro una grande croce di luce. Può essere solo una coincidenza? Io penso di no».

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