Nessuna sanatoria per l’abuso a Lacco Ameno
Il TAR Campania ha respinto il ricorso di una cittadina contro l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Lacco Ameno per un fabbricato abusivo in area paesaggisticamente vincolata. L’immobile, privo di titolo edilizio, è stato realizzato in zona dove le nuove costruzioni sono vietate Rigettate le tesi difensive sulla sanatoria, la fiscalizzazione e la mancanza di partecipazione procedimentale. Confermata la demolizione obbligatoria e la condanna alle spese

Con una sentenza chiara e articolata, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione VI) ha respinto il ricorso presentato da una cittadina ischitana, Cecilia Monti, che aveva impugnato l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Lacco Ameno nel 2021. L’immobile in questione, secondo quanto accertato dal Comune, era stato costruito senza alcun titolo abilitativo su suolo soggetto a vincolo paesaggistico, e ricadeva in zona “A” del Piano Regolatore Generale, dove nuove costruzioni non sono consentite. La vicenda, che ha visto contrapposti la proprietaria e l’amministrazione comunale, è approdata davanti al TAR con il ricorso n. 19/2022, discusso nell’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 14 maggio 2025 e deciso dalla camera di consiglio presieduta dal dott. Guglielmo Passarelli Di Napoli. L’estensore della sentenza è la consigliera Maria Grazia D’Alterio. Al centro del contenzioso, un fabbricato di circa 112 metri quadrati, con un’altezza di oltre tre metri, realizzato in muratura con copertura in latero-cemento. L’immobile, secondo la ricostruzione fatta dai tecnici comunali e confermata anche da rilievi fotografici satellitari (Google Earth 2007), era completo in tutte le sue parti ed era destinato ad abitazione. Parte della struttura, peraltro, invadeva una particella confinante, riconducibile alla madre della ricorrente, dove pendeva un’istanza di condono edilizio presentata nel 1986 ai sensi della Legge n. 47/85.
La ricorrente aveva contestato l’ordinanza di demolizione su più fronti. Primo fra tutti, il presunto effetto sospensivo derivante dall’istanza di condono pendente su parte delle opere. In secondo luogo, la mancata valutazione, da parte del Comune, dell’interesse pubblico attuale alla demolizione, sostenendo che le opere avrebbero potuto rientrare nella categoria della “manutenzione straordinaria”, punibile al più con una sanzione pecuniaria, non certo con l’abbattimento. Veniva inoltre lamentata la violazione delle garanzie partecipative del procedimento amministrativo e, infine, si invocava la possibilità di “fiscalizzare” l’abuso mediante il pagamento di una sanzione alternativa, anziché procedere con l’intervento demolitorio. Il Comune di Lacco Ameno, rappresentato in giudizio dall’avvocato Paola Piscopo, ha invece difeso la piena legittimità dell’ordinanza n. 23 del 2021. Il provvedimento, a dire dell’amministrazione, si fondava su accertamenti precisi e inoppugnabili: l’edificio era stato costruito ex novo, in zona vincolata, e in totale assenza di titoli edilizi. Né poteva essere invocata alcuna istanza di condono riferita a una diversa particella, né la fiscalizzazione prevista dall’art. 34 del D.P.R. 380/2001, applicabile solo in casi di opere parzialmente difformi e fuori dai vincoli paesaggistici. Nella motivazione della sentenza, il TAR chiarisce che il fabbricato contestato rientra a pieno titolo nella definizione di “nuova costruzione” ai sensi dell’art. 3, lett. e), del Testo Unico Edilizia, con conseguente necessità di permesso di costruire. Essendo stato edificato in totale carenza di titolo su un suolo paesaggisticamente tutelato, il potere sanzionatorio del Comune era da ritenersi non solo legittimo, ma doveroso. Inoltre, il Collegio ha sottolineato l’infondatezza della pretesa di estendere gli effetti dell’istanza di sanatoria presentata da un diverso soggetto (la madre della ricorrente) per una diversa particella. La legge, infatti, prevede che l’istanza di condono sospenda i procedimenti sanzionatori solo in relazione all’immobile per cui è stata presentata, e non può essere estesa arbitrariamente ad altri beni.
Rigettate le tesi difensive sulla sanatoria, la fiscalizzazione e la mancanza di partecipazione procedimentale. Confermata la demolizione obbligatoria e la condanna alle spese, la sentenza dovrà essere eseguita dall’amministrazione locale
Il TAR ha richiamato inoltre la consolidata giurisprudenza secondo cui l’ordine di demolizione ha natura vincolata: una volta accertato l’abuso edilizio, soprattutto in zone protette, l’amministrazione è obbligata ad intervenire. Non è dunque richiesta una motivazione particolare sull’interesse pubblico alla rimozione, perché questo è “in re ipsa”, insito nella necessità di ripristinare la legalità urbanistica e ambientale violata. Particolarmente netta è la parte della sentenza che rigetta la possibilità di applicare l’art. 34 del D.P.R. 380/2001, che prevede – in via eccezionale – una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione quando questa danneggerebbe parti regolari dell’immobile. Tale strumento, secondo il TAR, non è applicabile alle opere realizzate in zone soggette a vincolo paesaggistico, le quali devono essere considerate sempre in “variazione essenziale” e quindi abusive in modo totale. Anche l’ultimo motivo di ricorso, che lamentava l’assenza della comunicazione di avvio del procedimento (ex art. 7 della Legge 241/1990), è stato rigettato. Il TAR ha ribadito che per atti vincolati, come l’ordine di demolizione, non è necessaria la partecipazione del privato, trattandosi di provvedimenti automatici, adottati sulla base dell’oggettivo riscontro dell’abuso edilizio. Il ricorso è stato quindi respinto integralmente. La ricorrente è stata condannata anche al pagamento delle spese di lite, liquidate in €1.500, oltre accessori di legge. Il TAR ha ordinato che la sentenza venga eseguita dalla stessa amministrazione, chiudendo così un contenzioso che ha sollevato numerosi profili di diritto urbanistico e paesaggistico.