CRONACA

Lacco e il caso di Mattia, il bimbo che finisce in comunità

ROMA – È uscito all’ora di pranzo di ieri il decreto di collocamento in casa famiglia per il piccolo Mattia (nome di fantasia, ndr). “Lo allontana irreversibilmente non solo dal padre, ma da tutta la realtà– si legge nel decreto emesso dal Tribunale di Napoli- precipitandolo in un mondo occupato solo dalla madre (ed in cui tutti gli altri adulti sono nemici) reputa il Collegio, sulla scorta di tutti gli elementi acquisiti al giudizio, che sia preferibile il collocamento in comunità, che arrecherà (almeno all’inizio) sofferenza al bambino, ma è l’unica soluzione che dovrebbe scongiurare il gravissimo pregiudizio alla sua condizione psichica derivante dalla frequentazione unica ed esclusiva della madre”.

La misura coercitiva sarebbe quindi secondo il Tribunale un male ‘necessario’: una prassi di riallineamento al padre che evocherebbe le note tecniche del Transitional Site Programs ideato da Gardner per ‘curare’ i minori dall’alienazione parentale e affermare a tutti i costi la bigenitorialità. Alienante sarebbe la mamma di Mattia, un bambino che negli incontri protetti con il padre aveva crisi d’ansia al punto da non voler uscire dalla macchina: l’unica ribellione possibile dei suoi teneri 8 anni. La storia che il penale ha archiviato, e di cui si è occupata l’agenzia Dire, è quella di un bambino che ha quasi 4 anni quando la mamma vede “un arrossamento, pelle violacea nella zona anale e gli chiede cosa sia accaduto. Il piccolo indica delle bottiglie detergenti e racconta di abusi e molestie sessuali, mimando anche il gesto”. I genitori sono separati e il piccolo frequentava il papà con visite libere, quasi sempre anche nel domicilio materno. Da quel racconto parte la denuncia direttamente dall’ospedale dove la mamma porta subito il bimbo in visita. La perizia non confermerà in modo inequivocabile un abuso sessuale. Tutto è stato archiviato, il referto del tampone anale sarà distrutto e non più disponibile per ulteriori approfondimenti da parte dell’Autorità Giudiziaria.

Il bambino ha continuato nel corso del tempo a manifestare sofferenza e crisi d’ansia nel vedere il padre negli incontri protetti. Malessere che a fasi alterne ha mostrato anche negli incontri con le zie paterne, previste di recente dal Tribunale che ha stigmatizzato una condotta della mamma definita “ostile”. “La resistenza (ed infine il deciso rifiuto) del minore a incontrare le zie- scrive ancora il Tribunale di Napoli- sgombra definitivamente il campo dalla principale argomentazione usata dalla difesa della madre secondo cui, pur essendo stata esclusa qualsiasi colpevolezza del padre dall’autorità giudicante penale (che ha respinto l’opposizione all’istanza di archiviazione), tuttavia ‘quello che sarebbe successo’ – (da accertarsi con un’istruttoria da svolgersi nel presente giudizio) – spiegherebbe la riluttanza (in realtà un rifiuto assoluto) a vedere il padre. Infatti, se l’argomento fosse vero non si comprende per quale ragione il piccolo ha bruscamente interrotto anche i rapporti con le zie rispetto alle quali non è mai stato da nessuno ipotizzato il più remoto coinvolgimento nella (indimostrata) condotta abusante del padre. Zie che costantemente monitorate dal Servizio e dal curatore speciale, non hanno mai deviato dal percorso imposto dal Tribunale e, dunque, non hanno mai cercato di fare avvicinare il bambino al padre”.

L’avvocato Andrea Girolamo Coffari, legale della mamma, raggiunto dalla Dire ha replicato proprio a questa motivazione riportata dal Tribunale di Napoli in merito al procedimento penale dove di fatto non c’è un reato, nè un colpevole: “Questo è il tipico caso di un bambino che rifiuta il padre per timore e di una madre che lo protegge. In ambito penale il padre non può e non deve essere condannato in assenza di prove inequivocabili, siamo garantisti, ma ciò che non capiscono alcuni giudici è che l’archiviazione penale non vuol dire che in ambito civile il giudice non debba proteggere le vittime. Nonostante la Convenzione di Istanbul, il lavoro della Commissione femminicidio e la riforma Cartabia parlino di violenza istituzionale, quale è strappare un figlio a una madre in nome di una bigenitorialità, si continua ad ignorare questo principio di logica giuridica. Avevamo presentato Appello e siamo in attesa dell’esito e nonostante avessi chiesto di sospendere l’emanazione di provvedimenti il Tribunale di primo grado ha emesso questo decreto. Poliziotti e assistente sociali sono già andati. Questa è violenza istituzionale che causa traumi ai bambini. Mattia- ha sottolineato ancora Coffari- non aveva problemi a stare con altri adulti, con le zie gli incontri erano stati altalenanti, ma il Tribunale non ha avuto pazienza e ha diramato questo decreto. Il bambino non è patologizzato, aveva il beneficio di uno psicoterapeuta – che il Tribunale aveva chiesto alla mamma di individuare – dalla quale andava volentieri e il Tribunale ha interrotto anche la psicoterapia. Inoltre soffre di favismo e l’ emotività sotto stress può dar luogo a crisi gravi. La mamma non intende fargli vivere questo massacro. Perchè non avere pazienza con i bambini e indulgenza e onore a queste donne che vogliono proteggere i figli? E’ un bagno di sangue per loro, è un dramma. Come si può pensare che lo facciano per ripicca con il prezzo alto che pagano? Le mamme compiono atti eroici quando difendono la loro prole”, ha ricordato Coffari. “Mattia rischia la vita”: lo dice di continuo la mamma in queste lunghe ore di angoscia.

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