POLITICA

Conte vanta successi nella lotta al covid, ma ha ignorato la seconda ondata

Scambio di attenzioni e intese tra destra e sinistra parlamentare. Da difendere i diritti costituzionali tra cui quelli di sciopero e manifestazione, del lavoro, della sanità, della scuola e della mobilità specie nel Mezzogiorno. No al confinamento degli anziani

A CURA DEL PMLI

Al momento in cui scriviamo non è ancora stato varato il nuovo Dpcm con misure più drastiche per contenere l’epidemia: il quarto in poco più di due settimane, già annunciato da Conte per lo scorso fine settimana di Ognissanti ma slittato a causa dei forti contrasti tra il governo e i presidenti delle Regioni e quelli interni alla stessa maggioranza. Le misure sono state però già anticipate in parte da Conte il 2 novembre in parlamento, e si basano su interventi di livello crescente che scatteranno in maniera “automatica”, secondo tre aree o scenari legati a livelli di gravità della situazione sanitaria determinati dall’indice di contagiosità Rt e da altri 20 parametri fissati dall’Istituto superiore di sanità e dal Comitato tecnico-scientifico; parametri che tengono conto dell’andamento dei contagi, della saturazione degli ospedali Covid, delle terapie intensive, dei decessi ecc. Gli interventi per il primo livello di rischio riguarderanno tutto il territorio nazionale, e prevedono il coprifuoco a partire da una certa ora (in mancanza di un accordo Conte si è limitato ad usare la formula “in tarda serata”), e altre restrizioni diurne definite come “lockdown leggero”. Le misure per il secondo e terzo livello riguarderanno invece le singole regioni, con interventi aggiuntivi che potranno andare dalla chiusura totale di bar e ristoranti e la didattica a distanza estesa fino alla 2ª media (secondo livello), fino al lockdown completo come durante la prima ondata della pandemia (terzo livello).

Vergognoso scaricabarile governo-Regioni

Come Conte ha specificato, l’inserimento di una regione in una di queste tre aree, “con la conseguente automatica applicazione delle misure previste per quella specifica fascia, avverrà con ordinanza del ministro della Salute, e dipenderà esclusivamente e oggettivamente dal coefficiente di rischio della regione”. Un automatismo “tecnico” escogitato apposta per superare la paralisi decisionale creata dal vergognoso scaricabarile tra governo e Regioni su cosa e fino a che punto chiudere e su chi deve assumersene la responsabilità verso le categorie economiche più colpite. Con le Regioni favorevoli al lockdown, purché esteso a tutto il territorio nazionale, e Conte, preoccupato delle proteste di piazza, delle pressioni confindustriali e dei sondaggi che lo vedono in calo, propenso piuttosto a scaricare sui governatori l’onere di proclamare dei lockdown “mirati” locali. Un indegno gioco del cerino che sta andando avanti da giorni, tra i governatori (di entrambi gli schieramenti), che improvvisamente non rivendicano più l’autonomia prima invocata ad ogni piè sospinto e vogliono che ogni decisione impopolare sia presa da Palazzo Chigi; e quest’ultimo che, dopo essersi fatto cogliere completamente impreparato dalla prevedibile seconda ondata epidemica, deve vedersela con la rabbia crescente nel paese e anche con le contraddizioni tra i partiti che lo sostengono. Mentre Salvini e Meloni, che per tutta l’estate hanno strizzato l’occhio ai negazionisti, additando come unica fonte di contagio i migranti sbarcati in Italia, ed esattamente come il governo non hanno mosso un dito, nelle regioni in cui comandano con Berlusconi, cioè la stragrande maggioranza, per attrezzarle ad affrontare la seconda ondata, ne approfittano per buttare tutta la responsabilità sul governo, mettere il loro cappello sulle proteste di ristoratori e partite iva e lucrare facili consensi elettorali lasciando ben volentieri a Conte la patata bollente della gestione della pandemia.

Preoccupato per la debolezza politica del governo, dal suo scontro istituzionale con le Regioni e i continui attacchi dell’opposizione, che stavano portando ad una paralisi decisionale proprio mentre si aggrava rapidamente la crisi, Mattarella è intervenuto più volte per spronare le forze politiche all’unità di fronte al “nemico comune”, cioè il virus, e a trovare un terreno d’intesa in ambito parlamentare per uscire dal pericoloso tutti contro tutti in cui la situazione rischia di precipitare. Parlando il 1° novembre durante una cerimonia al cimitero di Castegnato (Brescia), il capo dello Stato ha invitato a mettere da parte “partigianerie, protagonismi ed egoismi, per unire gli sforzi, di tutti e di ciascuno – quale che sia il suo ruolo e quale che siano le sue convinzioni – nell’obiettivo comune di difendere la salute delle persone e di assicurare la ripresa del nostro Paese”. Il giorno successivo, mentre in parlamento infuriava la discussione sulle comunicazioni di Conte, Mattarella riceveva al Quirinale il presidente ed il vicepresidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini e Giovanni Toti, davanti ai quali ribadiva “il ruolo decisivo delle Regioni nell’affrontare la pandemia” e auspicava “la più stretta collaborazione tra tutte le istituzioni dello Stato”. E il giorno dopo ancora era la volta dei presidenti di Camera e Senato, per cercare di facilitare il dialogo istituzionale tra il governo e l’opposizione di “centro-destra” approfittando dei primi segnali di apertura.

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L’intervento di Conte in parlamento

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È sulla spinta di Mattarella, ma anche del PD di Zingaretti, sempre più insofferente alla politica dell’”uomo solo al comando”, per non parlare di IV di Renzi che da tempo intrattiene un dialogo con Forza Italia di Berlusconi, che Conte si è recato in parlamento il 2 novembre come segnale di dialogo per illustrare all’opposizione, stavolta in anticipo sull’uscita, le linee del Dpcm in preparazione, nonostante che su di esso mancasse ancora l’accordo con le Regioni e vi fossero ancora dissensi nella maggioranza. E nonostante che pochi giorni prima un suo – peraltro recalcitrante – invito a concordare un “tavolo di confronto” per affrontare la pandemia insieme all’opposizione, avesse ricevuto uno sprezzante rifiuto con la causale “troppo tardi e troppo comodo” da parte di Salvini e Meloni, a cui si era unita con altri toni anche FI. In apertura del discorso Conte non ha mancato di ricordarlo, aggiungendo che in caso di “ripensamenti” l’offerta del governo è sempre valida e “non sottende una confusione di ruoli o una sovrapposizione di responsabilità”. E nel finale ha rivolto al “centro-destra” un vero e proprio appello a restare “uniti in questo drammatico momento, a dispetto delle diverse idee e convinzioni, in nome dell’unità, dei valori che sono a fondamento della nostra convivenza, del nostro quadro costituzionale”. Tutto il suo discorso si è concentrato nel riportare il quadro di avanzamento della pandemia e la situazione negli ospedali e nell’illustrare le ipotesi di misure del Dpcm in preparazione, con le tre fasce di rischio e gli interventi “automatici”, senza sfiorare neanche di sfuggita la scottante questione del perché ci si sia ritrovati impreparati in questa situazione d’emergenza nonostante i mesi a disposizione per fronteggiare una seconda ondata del Coronavirus più che prevista.

Anzi, quando ha parlato della situazione sanitaria, lo ha fatto per ricordare che i posti letto in terapia intensiva sono il 75% in più di marzo, che il commissario Arcuri ha ancora 1.789 ventilatori da distribuire nei prossimi giorni, che oggi si fanno otto volte i tamponi di allora, ecc. Sorvolando naturalmente sulle code chilometriche che tutti abbiamo visto ai gazebo assolutamente insufficienti, la mancanza tuttora di decine di migliaia tra medici e infermieri, il flop della vaccinazione antinfluenzale, i trasporti ancora affollati come prima, e così via. È lo stesso atteggiamento da struzzo che Conte aveva già adottato nel Question time del 28 ottobre alla Camera, rivendicando che “a partire dalla prima ondata della pandemia” il governo “non ha mai smesso di investire per rendere più resiliente l’intero sistema nazionale, potenziando in particolare il Servizio sanitario e la scuola”. E il giorno successivo nell’informativa alla Camera sul Dpcm del 24 ottobre, in cui ha avuto la faccia di bronzo di affermare testualmente: “In questi mesi abbiamo agito di conseguenza (senza sottovalutare la perdurante pericolosità del virus, ndr) impegnandoci nell’attuazione di una pluralità di misure atte a realizzare un adeguato (sic) apparato di prevenzione del contagio e di rafforzamento del Servizio sanitario”.

La tattica opportunista del “centro-destra”

È stato quindi facile per l’aspirante duce d’Italia Salvini e per la ducetta Meloni e ai loro scagnozzi, rispettivamente al Senato e alla Camera, affondare il coltello nella piaga rinfacciando al governo e personalmente a Conte la responsabilità del disastro attuale, non avendo voluto ascoltare i loro ripetuti “allarmi” e accogliere le loro proposte. Proposte ovviamente numerosissime e dettagliatissime, comprendenti perfino il potenziamento di quella medicina territoriale che la Lega ha allegramente smantellato in Lombardia per concentrare risorse nella più lucrosa medicina privata d’eccellenza. E ovviamente assolvendo d’ufficio le Regioni e i Comuni da essi governati, con in testa appunto la Lombardia, “vittime” incolpevoli dell’incapacità e della sordità del governo, che invece di pensare a potenziare gli ospedali, i tracciamenti, i trasporti e le scuole, passava l’estate ad aprire i porti ai clandestini, a smontare i decreti sicurezza, a preoccuparsi della legge contro l’omofobia e transfobia, ecc. Ma, al di là degli attacchi ripetuti e durissimi in aula, alcuni dei quali, soprattutto di parlamentari della Lega e di FdI, particolarmente feroci e giunti a chiedere a Conte e al governo di andarsene a casa, alla fine le pressioni di Mattarella sono state in qualche modo accolte e uno scambio di attenzioni e intese tra i due poli c’è stato: tanto che il governo ha votato alcuni dei punti della mozione del “centro-destra”, mentre quest’ultimo si è astenuto sulla mozione della maggioranza contenente le linee del nuovo DPCM, che è stata approvata.

Evidentemente non solo Berlusconi, ma anche Salvini e Meloni si rendono conto che finché dura la pandemia è impensabile far cadere Conte e andare a nuove elezioni, ed inoltre anche i loro governatori potrebbero essere travolti dall’ira delle masse senza il parafulmine del governo centrale. Perciò sono costretti a non tirare troppo la corda, adattarsi per quanto loro possibile a fare i “responsabili”, ed andare a vedere le carte di Conte; il quale però, pur non potendo ignorare le pressioni del Quirinale, non pare avere molta voglia di cedere quei poteri personali a cui si è abituato per favorire il clima di unità nazionale invocato da Mattarella.

Non cedere sui diritti costituzionali

Da parte nostra non accettiamo di collaborare con chi è responsabile di questa situazione drammatica in cui ci troviamo, non avendo fatto nulla in questi ultimi mesi per preparare il Paese ad affrontare la prevista seconda ondata della pandemia: parliamo cioè del governo centrale del dittatore antivirus Conte, al servizio del regime capitalista neofascista, ma anche delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali della destra e della “sinistra” borghesi, che a livello territoriale ne condividono in pieno le gravi omissioni e responsabilità. In ogni caso, qualsiasi misura venga presa in nome del contenimento dell’epidemia, dobbiamo difendere strenuamente i diritti costituzionali intangibili, a cominciare dal diritto di sciopero e di manifestazione; nonché il diritto al lavoro, alla sanità, alla scuola e, nel rispetto delle misure basilari di sicurezza, anche il diritto alla mobilità, specie nel Mezzogiorno. Parimenti dobbiamo respingere con forza le proposte razziste di confinamento degli anziani, avanzate recentemente dagli incensatori della “produttività” capitalista come il presidente neofascista della Liguria, Toti. Più in generale non bisogna dare tregua a questo regime capitalista neofascista, che sta cercando di uscire dalla crisi più devastante del dopoguerra scaricandola sul proletariato e le masse lavoratrici e popolari. Non siamo tutti sulla sua stessa barca. Il nostro obiettivo deve essere rovesciare questa marcia società capitalista, non salvarla.

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