CRONACAPRIMO PIANO

Non paga gli alimenti, c’è la condanna bis

Il giudice monocratico della sezione distaccata di Tribunale di Ischia ha inflitto 4 mesi di reclusione ad Antonello D’Abundo per violazione dell’art. 570 del codice penale. Una condotta omissiva, la sua, che gli era costata già analoga sorte con un excursus giudiziario che si chiuse con la Cassazione che ritenne inammissibile il suo ricorso

Una nuova tegola, una nuova condanna con l’accusa di aver di fatto ignorato le esigenze dei propri figli. E’ chiara la sentenza pronunciata dal giudice monocratico della sezione distaccata di Tribunale di Ischia, dott. Pietro Rocco che – come si legge nel dispositivo – si è così pronunciato: “Letti gli artt. 533 e 535 cpp dichiara D’Abundo Antonello colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio in ordine al reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 538 comma 1, 539 comma 1 cpp condanna D’Abundo Antonello al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Arcucci Rene e rimette le parti innanzi al giudice civile per la liquidazione. Letti gli artt. 539 comma 2 540 comma 2 cpp a richiesta della costituita parte civile Arcucci Rene condanna D Abundo Antonello al pagamento in suo favore di una provvisionale che liquida in complessivi euro 18.000 immediatamente esecutiva e da computarsi sulla definitiva liquidazione dei danni; Letto l’art 541 cpp condanna D’Abundo Antonello al pagamento delle spese processuali in favore della costituita parte civile Arcucci Rene che liquida in complessivi euro 1.796 oltre rimborso forfettario del 15 CPA e IVA come per legge”. Il D’Abundo, classe 1971, era accusato di violazione dell’art. 570 bis del codice penale “perché violava gli obblighi di natura economica in materia di mantenimento dei figli minori così come statuito dal Tribunale di Napoli I Sezione Civile con sentenza pubblicata il 27 novembre 2018 sottraendosi all’obbligo di corresponsione della somma mensile di euro 500 per i figli minori quale contributo mensile al loro mantenimento e di partecipazione nella misura del 50 per cento alle spese straordinarie di carattere sanitario non coperte dal servizio sanitario nazionale, scolastiche e di istruzione, di natura ludica e parascolastica in Forio dall’anno 2021 in maniera perdurante”. Parte offesa, naturalmente la madre dei minori Renè Arcucci, rappresentata dall’avvocato Michelangelo Morgera.

Per Antonello D’Abundo, difeso da Gianluca Maria Migliaccio, arriva la condanna bis per lo stesso argomento a dimostrazione della reiterazione della sua condotta. Una vicenda che si era conclusa nello scorso novembre quando la Suprema Corte di Cassazione aveva ritenuto inammissibile il ricorso presentato dopo una condanna a otto mesi di reclusione emessa in primo grado e confermata poi anche in appello. Nella sentenza di primo grado, a dimostrazione della similitudine e della reiterazione della condotta criminosa, si leggeva tra l’altro quanto segue: ““Nel merito, all’esito dell’istruttoria dibattimentale è stata acquisita la prova della colpevolezza dell’imputato in ordine al solo reato ascrittogli sub b). Invero nel corso dell’udienza del 25/11/2020, con il consenso delle parti, sono state acquisite anche nel loro contenuto, ai sensi ed agli effetti dell’art. 493 comma 3 c.p.p., le querele presentate dalla persona offesa Arcucci Renè, costituitasi poi parte civile, che è stata comunque escussa in qualità di testimone. Ora, la Arcucci ha dichiarato che il marito D’Abundo Antonello, anche a seguito della separazione consensuale del 2015, non versò in suo favore l’assegno dovuto per il mantenimento dei figli minori, se non per i primi tre mesi. Per l’appunto, dall’accordo di separazione raggiunto tra i coniugi e poi omologato dal Tribunale di Napoli con decreto del 12/3/2015, accordo allegato al fascicolo del dibattimento, risulta che era stato stabilito a carico del D’Abundo un assegno di mantenimento per i due figli minori, affidati in via condivisa ma collocati in via preferenziale presso la madre, nella misura di complessivi euro 500… Nel contesto di tale sentenza il Tribunale di Napoli ha evidenziato che il D’Abundo, pur asserendo di avere una condizione economica precaria, aveva sempre concluso perché fosse confermato l’assegno di mantenimento di euro 500 previsto in sede di separazione, salvo chiedere una riduzione ad euro 300 mensili in sede di atti difensivi finali ex art. 190 cpp”. E poi ancora: “Il padre, che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli, risponde del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, se non dimostra in maniera specifica di essere assolutamente impossibilitato, a causa di una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti, ad adempiere alla sua obbligazione. Infatti la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà non escludono il reato de quo. Tale prova non è stata fornita, per cui il D’Abundo va dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 570 c.p. commesso in danno dei figli minori”.

Articoli Correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Pulsante per tornare all'inizio