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Giuseppe Luongo: parola di scienza

Non è il momento di politologi, giornalisti sensazionalisti, di talk show generalisti, di improvvisatori e tuttologi. Non è nemmeno tempo di magistrati ( lo è per gli accertamenti amministrativi di abusivismi,illegalità, mancanza di pianificazione, rigidità vincolistica, pratiche di condono clientelari, tutte cose che la classe politica si porta sulla coscienza. Ma questa è altra questione, non legata ai motivi scientifici che spiegano gli effetti amplificati dei danni di questo terremoto). Va lasciata, mai come adesso, la parola agli scienziati. E non a geologi, vulcanologi, sismologi di una qualunque parte del mondo. Va lasciata la parola a chi, come Giuseppe Luongo studia queste terre ( Ischia, l’Area Flegrea, il Vesuvio, l’Epomeo) da una vita. Luongo aveva lanciato in rete una comunicazione con la quale sperava di far chiarezza nell’intricata questione. Si soffermava sulle incerte notizie relative alla potenza del terremoto ( in un primo momento classificato in automatico al 3,6 grado della scala Richter, poi corretto a 4.0, secondo gli americani 4.3), ma soprattutto incertezza sull’epicentro, individuato prima a mare a 10 km di profondità e a pochi chilometri da Punta Imperatore, poi situata a nord dell’isola a 5 km di profondità e a pochi chilometri dalla costa tra Casamicciola e Lacco, Luongo aveva avanzato seri dubbi, per motivi scientifici ( che è difficile qui riassumere) e che ci limitiamo a definire “ particolarità del sottosuolo magmatico isolano “ dove agiscono stress da migrazione delle masse magmatiche verso la superficie e proprietà reologiche delle rocce.

Luongo ipotizzava, anzi, che l’epicentro fosse non a mare, ma esattamente a terra, a soli 2-3 km di profondità, dove si sono registrati i maggiori danni; altrimenti non si spiegherebbe il fatto che l’identico tipo di terreno della costa sia rimasto indenne. Questi sarebbero i motivi per cui, data la scarsa profondità del sisma, le rocce sono state spinte con violenza in superficie, dando la sensazione di un’esplosione e ( come testimoniato dal papà dei tre bambini salvati) di un salto della casa di circa due metri. C’ è da aggiungere che la replica di 1.9 gradi Richter è stata registrata a terra ( adesso si sa in area Epomeo) il che potrebbe far pensare ad un “ epicentro migrante” che renderebbe più complessa la lettura  del fenomeno. Dunque Luongo ha vinto su tutti i fronti! Ma adesso, che fare? Intanto liberare gli alvei dalle macerie e detriti provocati dai crolli, onde evitare gravi ripercussioni e alluvioni a valle, alle prime piogge torrenziali, probabili dopo un’estate così torrida.

Poi invocare un rapporto scientifico più approfondito e al più presto e se, come tutto lascia presumere, Ischia è soggetta non a singoli e indipendenti rischi ( alluvioni, eruzioni, terremoti) ma a rischi complessi che si intersecano e interagiscono tra di loro ( e sarebbe dunque sbagliato affrontarli separatamente) chiedere al Governo di istituire un Laboratorio Nazionale per la Valutazione del Rischio vulcanico,sismico e idrogeologico, come suggerisce Luongo in “ Ischia, Patrimonio dell’Umanità”, volume redatto per dimostrare che l’isola meriterebbe il riconoscimento Unesco per la sua singolarità, anche per l’unicità del sottosuolo ( nel bene e nel male). Alla fine , non dimentichiamolo, la straordinaria bellezza dei luoghi deve proprio a questa unicità delle condizioni ambientali i suoi pregi. E la proposta di un Laboratorio non deve farci temere la possibilità di un boomerang propagandistico, perché la ricerca di sicurezza e di prevenzione è, agli occhi estranei, la migliore garanzia di serietà e civiltà di una comunità.

SCAPPÒ ANCHE IL GRANDE IBSEN… MA INTANTO AVEVA SCRITTO IL “PEER GYNT”

Non prendiamocela con quanti, soprattutto personaggi noti, con case ad Ischia, hanno frettolosamente abbandonato l’isola. Non arrabbiamoci con i vari Luigi De Filippo o Lina Sastri e consoliamoci con le centinaia di atti di stima e solidarietà di altri personaggi noti, a partire da Angela Merkel, per andare a Sabrina Ferilli, a Gino Rivieccio, a Licia Colo’ e a Rocco Barocco. I terremoti che nella zona alta di Casamicciola e Lacco alto si sono susseguiti, in particolare dal 1228 al 1883, hanno sempre spaventato residenti e turisti. E sempre, tra i viaggiatori del Grand Tour, ci si è  divisi tra “temerari” e “ pavidi”. C’era chi, nonostante tutto, rimaneva anche dopo eventi calamitosi e chi preferiva allontanarsi subito, anche anticipatamente rispetto ai programmi di viaggio. Al fine di alleggerire l’attuale condizione psicologica degli ischitani, oscillante tra la depressione e la rabbia contro un’informazione strumentale e deviante, vogliamo simpaticamente rifare la storia dell’amicizia, nel 1867, tra lo scrittore danese Vilhem Bergsoe e il drammaturgo norvegese Enrick Ibsen. Il danese alloggiò ( non aveva grandi possibilità di spesa) in una dependance di due stanze esterne alla Piccola Sentinella di Monsieur Dombré ( a 20 franchi al giorno); Ibsen alloggiava a poca distanza, a Villa Pisani. Bergsoe era spavaldo e avventuriero, Ibsen timoroso. Il danese trascinò il drammaturgo in gite avventurose, dapprima nella Valle del Tamburo, poi a Punta Imperatore e quindi a Villa Pisani, dove aveva soggiornato Giuseppe Garibaldi, facendo impaurire Ibsen,che disse: “ Tu mi vuoi far morire!”. Ma l’avventura che fece collassare psicologicamente Ibsen fu la visita all’Epomeo.

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Dopo essersi fermato in un vigneto per rifocillarsi con una frittata e fiaschette di vino, i due compagni di avventura, traballanti presero la strada del ritorno. Presto incominciarono a  scivolare sul terreno, in un primo momento addebitando al vino l’incertezza del procedere, poi si resero conto di essere nel bel mezzo di un terremoto. Ibsen, terrorizzato, scambiò uno smottamento per una scorciatoia. Ma entrambi furono scaraventati fino alla strada principale. Da allora Ibsen si rifugiò a Sorrento e non volle più sentir parlare di Ischia. Intanto, però, ad Ischia aveva trovato l’ispirazione per scrivere gran parte ( l’aveva iniziato a Roma, lo finirà a Sorrento) del Peer Gynt, importante dramma in versi in 5 parti, sulla condizione umana, che successivamente fu anche musicato. Stranezza del dramma, che sembra un presagio: c’è una lunga parte dell’opera che si svolge nel buio più totale. Un black out, proprio come quello che si è verificato la sera del 21 agosto, in contemporanea col botto e la scossa sussultoria del sisma ad Ischia.

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Franco Borgogna

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