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L’allarme di Pezzullo: «Il commercio sull’isola è in ginocchio»

“Profondo rosso” per negozi, bar e bad & breakfast. Tra le cause della crisi ci sono il lockdown, la stagione turistica breve ed il commercio on line: l’analisi del presidente locale della Confesercenti

Locali vuoti, saracinesche abbassate, tavolini ammassati e sedie impiliate. Questo il triste scenario di numerosi negozi rimasti chiusi dopo il lockdownd. Una situazione che riguarda tutto il Paese e l’isola di Ischia non ne è da meno.  « Basta fare un giro sull’isola e contare. Sono davvero tanti i negozi che non hanno riaperto. Solo a Forio sono poco meno una decina gli imprenditori che non hanno avuto la forza di rimettersi in moto. Si tratta di negozi uccisi dal Coronavirus».

La denuncia è di Francesco Pezzullo presidente della sede zonale di dell’isola di Ischia della Confesercenti, che lancia l’allarme: «Al termine della stagione estiva quando l’isola si chiuderà nuovamente, sarà ancora peggio: ci sarà uno spargimento di sangue». Per Pezzullo questa situazione non è solo colpa dell’emergenza Covid. «è anche figlia della mancata programmazione isolana», incalza. «A fine stagione solo pochi imprenditori chiuderanno in attivo. In tanti non avremo guadagni. Con gli incassi riusciremo a stento a pagare le spese». Per Pezzullo il commercio sull’isola è in crisi da anni ed a dare la mazzata finale ci sta pensando l’emergenza Coronavirus. «Ad ottobre ci ritroveremo a lottare contro le ataviche problematiche legate al commercio isolano con un’aggravante: la pandemia. Noi commercianti e piccoli imprenditori viviamo con il turismo. E con minore turismo, siamo anche noi in ginocchio. Dal post lockdown abbiamo lavorato davvero poco.

Abbiamo lavorato nel weekend e nel mese di agosto. per il resto, siamo spesso ore in attesa di clienti. Ma lavorare solo nei weekend non ci consente di arrivare a fine mese, di pagare i fitti, le bollette ed il personale». Pezzullo analizza la situazione. «Negli ultimi anni il commercio isolano già viveva una grande crisi a causa della stagione corta, poi la pandemia ha acuito i problemi preesistenti. A questo punto i Comuni devono schierarsi dalla parte degli imprenditori e dei commercianti per non farci morire». Nonostante l’emergenza Covid-19 abbia costretto tantissime imprese del commercio, del turismo e dei servizi a rimanere chiuse ed inattive o, quando aperte, con attività notevolmente ridotta, la macchina infernale della burocrazia e l’esigenza dei comuni di fare cassa rimettono in moto l’incubo della Tari. Proprio in questi giorni da parte di alcuni comuni sono partite e stanno partendo le richieste per la riscossione relativa al 2020. La tassa di raccolta rifiuti è un’imposta che finanzia un servizio di cui fruiscono cittadini ed imprese, «ed è giusto che ciascuno paghi proporzionalmente al servizio goduto. Come sappiamo bene, però, i primi 6 mesi del 2020 – e purtroppo anche i successivi – sono stati speciali. Molte imprese chiuse, molte inattive, tante con attività ridotta non hanno prodotto rifiuti o comunque ne hanno prodotti meno dello scorso anno, e non hanno quindi goduto dello stesso livello di servizio. In questo scenario, richiedere l’intero importo della Tari vuol dire trasformare la tassa sui rifiuti in un’odiosa ulteriore gabella», ha detto ancora Pezzullo.

I dati della Confesercenti anche a livello nazionale parlano chiaro: fra bar, ristoranti, B&B e hotel sono circa 90mila le aziende fallite a causa del Coronavirus. E 600mila sono ancora a rischio. Ma c’è di più: sono mezzo milione le aziende pronte a licenziare e eliminare posti di lavoro, sia tempo indeterminato che a tempo determinato. Confesercenti ha realizzato un sondaggio da proporre ai suoi associati. Elaborato grazie a Swg, il 7% delle attività di pubblico esercizio, commerciali e turistiche hanno dichiarato fallimento. Quasi un’attività su due, poi, non sa cosa succederà nei prossimi mesi. In particolar modo ristoranti, bar e locali hanno paura dell’autunno: i dehors, avvicinandosi all’inverno, non saranno più utilizzabili, sarà impensabile mangiare all’aperto e dovranno riuscire a barcamenarsi con i pochi metri quadrati rimasti a disposizione all’interno. A oggi a soffrire per le limitazioni degli spostamenti, il rinvio dei viaggi internazionali, i controlli sanitari alle frontiere sono soprattutto le strutture extra alberghiere, che ormai rappresentano la gran parte dell’ospitalità turistica, e gli hotel. Dati confermati dalle rilevazioni istituzionali. Secondo la memoria sul decreto Agosto depositata una settimana fa dall’Istat in commissione Bilancio del Senato, la quota di imprese che ha lamentato seri rischi operativi che ne mettono in pericolo la sopravvivenza nel 2020 è pari al 38%, ma risulta assai più alta in alcuni dei principali settori tourism-oriented, spiazzati dall’emergenza. Secondo il documento, la percentuale sale infatti al 57,8% nel settore dell’alloggio, al 60% per quanto riguarda cultura, sport e intrattenimento e al 66,5% nella ristorazione. Le imprese più colpite sono quelle di minori dimensioni con situazione più grave al Sud e nelle Isole. Ischia compresa.

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