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Negozi chiusi di domenica, un pericoloso salto nel passato

Nella corsa forsennata per il consenso, senza sosta e senza limiti, l’arci Ministro Luigi Di Maio insiste e rassicura che la legge per la chiusura dei negozi, nelle domeniche e super feste, avverrà immancabilmente entro la Fine dell’anno. Si vuole così fare contenti gli ortodossi di vario genere, che da tempi immemorabili, sostengono che di domenica, caschi il mondo, non bisogna lavorare. Decisioni che sarebbero andate bene negli anni 50, quando l’Italia rurale influenzava le abitudini, l’uso del tempo libero ed i ritmi di vita. Nelle famiglie di quell’epoca, difficilmente si lavorava in due; allora, i beni alimentari e altri beni, erano ben lontani dall’essere totalmente industrializzati, potendo contare ancora su un circuito di distribuzione informale, soprattutto nella campagna, in quell’epoca sensibilmente più abitata di ora. Ma ai giorni d’oggi, le famiglie avrebbero qualche problema se dovesse sottrarsi loro la possibilità degli acquisti nei giorni di festa. Il modello attuale di vita ha ritmi molto sostenuti: tutti i membri sono occupati nel lavoro ed altri obblighi, e i giorni di festa rientrano nelle occasioni più utili per la spesa di famiglia. Infatti, è molto agevole poter parcheggiare l’auto nei centri commerciali, fare le compere e nel contempo usufruire degli svaghi delle zone attrezzate a giochi per i bambini, usufruire di sale cinematografiche, ristoranti e pizzerie. Poi sul numero sterminato di negozi e servizi nelle Città turistiche con il movimento economico che procura e i relativi flussi di persone, non hanno bisogno di fare analisi particolare per capire l’importanza di mantenere le aperture liberalizzate.

Questa è la realtà della modernità da molti lustri, e più che una costrizione, è ritenuta una opportunità ormai da tutti. Quanto ai risvolti riguardanti il lavoro, si sa, i posti di lavoro si ottengono quando le imprese sono sane e se per loro è conveniente investire. Che segnale si darebbe agli investitori della grande distribuzione e non? Il salto nel passato costerebbe il calo grave degli attuali occupati. Il Governo forzare l’attuale sistema, almeno tre ragioni: le stime dicono che gli incassi dei negozi nei giorni festa equivalgono al 25% degli incassi settimanali e si perderebbero; le vendite on line si incrementerebbero ulteriormente con ripercussioni pesanti, la ‘distribuzione’ in nero’ si incaricherebbe di produrre ancora più danni in ogni senso. Gli attuali supermercati e negozi in generale, hanno organici che sono stati tarati per l’organizzazione del lavoro compatibile con il sistema liberalizzato. Qualora gli incassi dovessero diminuire, drasticamente perderemmo irreparabilmente posti di lavoro e molte attività commerciali ‘salteranno’. Quando sono stati allestiti, il conto economico degli investimenti, ha considerato gli introiti correnti del modello odierno, in un regime di grande concorrenza.

Ma c’è di più: i piccoli commercianti che a prima vista potrebbero sembrare trarre giovamento dal provvedimento, oltre a temere i vari Amazon, dovranno preoccuparsi anche della vendita on line che alcuni supermercati praticano con la loro piattaforma logistica-informatica, che i piccoli commercianti non potranno contrastare. Senza parlare dei lavoratori e studenti che hanno contratti di impiego per i picchi di lavoro, che verrebbero licenziati. Quindi, tutto dovrebbe consigliare a fare il contrario di ciò che si dice; per gli interessi generali, quelli delle famiglie, quelli dei lavoratori e delle imprese. Da troppo tempo oramai in Italia non si considera il presupposto principale del nostro benessere economico. Ed ecco che istintivamente viene da dire: “In quale guaio irreparabile si sta cacciando l’Italia, con questi annunci?”. Troppe promesse giustificate solo da profitti elettorali: le promesse di benefici ai cittadini somigliano a quelle del ‘paese dei balocchi’ del Collodi, come i conti economici delle spese ed entrate fondate sul ‘campo delle monete d’oro’ che hanno attratto Pinocchio nella celeberrima fiaba. Allora, se si decidessero ‘ le chiusure ‘, i segnali non sarebbero affatto positivi per i mercati. Infatti non capirebbero le picconature sempre più frequenti degli italiani, contro modernità ed economia, e nel contempo, promettendo benefici a urbi et orbi.

Raffaele Bonanni GIA’ SEGRETARIO GENERALE DELLA CISL

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