LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «In nome del Comune Unico e “la mer” di oggi» 

Sono trascorsi dieci anni dal referendum sul Comuni Unico che avrebbe cambiato il corso storico di Ischia. Un tempo che secondo alcuni fa apparire tuttora fuori luogo parlare di “fusione tra Comuni”. Il Comune Unico tuttavia non era, non è, una fantasticheria che metteva insieme sfaticati e scappati di casa che si battevano per una causa già persa, secondo una certa ortodossia dedita all’immobilismo fatta di assessori, Sindaci, una parte del mondo intellettuale e giornalisti. Antonello Iacono, Mario Goffredo, Angelica Iacono, Davide Iacono, tanto per citarne alcuni insieme a molti altri, per tanti erano solo un manipolo di sconosciuti che sostenevano un’idea di società nuova, non compiuta ma da costruire.

Il Comune Unico tuttavia non era, non è, una fantasticheria che metteva insieme sfaticati e scappati di casa che si battevano per una causa già persa, secondo una certa ortodossia dedita all’immobilismo fatta di assessori, Sindaci, una parte del mondo intellettuale e giornalisti. Antonello Iacono, Mario Goffredo, Angelica Iacono, Davide Iacono, tanto per citarne alcuni insieme a molti altri, per tanti erano solo un manipolo di sconosciuti che sostenevano un’idea di società nuova, non compiuta ma da costruire. Già solo per questo si sarebbe potuto riscrivere le sorti (amministrative ed economiche, oltre che sociali) di Ischia 

Già solo per questo si sarebbe potuto riscrivere le sorti (amministrative ed economiche, oltre che sociali) di Ischia. Pur con la capacità, magari discutibile, di mettere quattro parole in croce rispetto al sottobosco amministrativo del 2011, in molti ritenevano che fossimo un circo itinerante. Sì, anch’io ho contribuito a dare una mano. Eravamo – per loro -solo un mix che amalgamava clown di qualsiasi colore politico, piccoli uomini dalla super forza inutile in una comunità spezzettata in sei amministrazioni, presunti domatori del potere radicato in logiche e rapporti inscalfibili, donne spinte dalla forza del senso civico inservibile insieme a nani (politici) e casi umani che lottavano con la tenacia della logica e del ragionamento la nomenclatura ghiacciata nei pollai comunali. Anche su facebook, quando si poteva discutere.

Una compagnia itinerante, insomma, che cercava autori e un modo per scimmiottare amministrazioni più grandi di questo scoglio del Mediterraneo, in qualche caso sconosciuto pure ai suoi abitanti. Il comune Unico era, ed è, un’idea. Era e resta una visione. Un modo nuovo di interpretare occasioni e opportunità, mentre il mondo a nostra insaputa nel frattempo ha aumentato la sua velocità e il Covid la sta spingendo a tavoletta. Quel referendum ha rappresentato una capacità potenzialmente diversa di amministrare la “Res-pubblica” e oggi avrebbe fatto sicuramente meglio di quanto le amministrazioni non stanno facendo. Per esempio sono molti a non aver capito, pur rinforzati da un’esperienza amministrativa, che quando si affrontano temi economici è inutile la distinzione tra comuni e le azioni diverse fanno più danni. Abbiamo attraversato un tunnel di dieci anni per trovarci allo stesso posto. Non è da escludere che nell’essere ammalata di apatia, l’isola sia peggiorata. Rimane il problema con sei società di raccolta dei rifiuti, resta l’assenza di un piano traffico e di trasporti e la presenza degli scarsi servizi a causa dei confini tra amministrazioni. Per farla breve, parlare di Comune Unico ha sempre voluto stabilire una linea di separazione, una cultura del “senso” e del “buonsenso”. Quello civico su tutti. Un salto in avanti, rispetto all’asfissiante diatriba fra tribù locali il cui blocco torna prepotente nelle campagne elettorali messe in scena nelle sei frazioni. Lo abbiamo vissuto a Lacco Ameno lo scorso settembre, lo vedremo a Serrara Fontana dopo l’estate e lo stesso si manifesterà in tutti gli altri. Squadre di sostenitori e tifoserie che si scontreranno nell’arena ripetitiva della politica le cui vittime, come dieci anni fa, resteranno i cittadini.

Il comune Unico era, ed è, un’idea. Era e resta una visione. Un modo nuovo di interpretare occasioni e opportunità, mentre il mondo a nostra insaputa nel frattempo ha aumentato la sua velocità e il Covid la sta spingendo a tavoletta. Quel referendum ha rappresentato una capacità potenzialmente diversa di amministrare la “Res-pubblica” e oggi avrebbe fatto sicuramente meglio di quanto le amministrazioni non stanno facendo. Per esempio sono molti a non aver capito, pur rinforzati da un’esperienza amministrativa, che quando si affrontano temi economici è inutile la distinzione tra comuni e le azioni diverse fanno più danni. Abbiamo attraversato un tunnel di dieci anni per trovarci allo stesso posto. Non è da escludere che nell’essere ammalata di apatia, l’isola sia peggiorata

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E via così, ancora con gli stessi meccanismi con l’unica eccezione del tempo che passa. Restano i Comuni, elefanti in una cristalliera. Che non prestano attenzione alle politiche locali, alla tutela del lavoro degli stagionali, ai temi sociali ed economici. Neppure hanno raggiunto una consapevolezza al minimo sindacale in grado di fargli comprendere che attraverso gli atti amministrativi s’incide la vita del paese e si disegnano le tasche di chi ci vive. Che con un atto si determina la riuscita o l’affossamento di un Comune rispetto a un altro e si può contribuire a creare talvolta un ambiente positivo o talaltra uno stagno malsano. Dieci anni fermi nello stesso punto di prima. L’unica opposizione possibile è lo sforzo di non lasciarsi fagocitare dalle correnti primitive travestite da pseudo modernità, i cui agenti “politici” restano aggrovigliati a matassa dentro calderoni riservati che si “muovono”, loro sì, come “Comune Unico” espandendo i propri interessi a raggiera. Gli oppositori al referendum nel giugno del 2011, chiamarono in causa il passato romantico di un’isola che fu ma che già allora non era attuale. Con una mano si aggrapparono all’identità “locale”, dopo averla rispolverata per bene. Dissero che la fusione avrebbe annichilito le tradizioni (falso ma roba buona evidentemente per chi ci ha creduto) e si guardarono bene dal discutere degli argomenti che avrebbero consentito la trasformazione delle criticità in opportunità. Con l’altra tennero in piedi lo spauracchio degli “uomini neri”. Quelli dalla dubbia personalità politica cui si sarebbe potuti sfuggire solo evitando di unirsi. Soltanto in questo modo Ischia, il suo corpo sociale, li avrebbe espulsi. Erano i Giosi Ferrandino, i Domenico De Siano ai quali si sarebbero sicuramente uniti altri, da evitare come la peste. Era diventato imperativo filarsela davanti alle presenze oscure che avrebbero aumentato il proprio potere e danzato intorno al fuoco per cannibalizzare l’isola. La paura in fin dei conti ha soverchiato la logica e la razionalità. I detrattori lasciarono perdere i temi che riguardavano la riduzione dei costi, tra i tanti la costituzione di una sola azienda per la raccolta dei rifiuti (avrebbe consentito di risparmiare circa 20 milioni di euro all’anno).

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Restano i Comuni, elefanti in una cristalliera. Che non prestano attenzione alle politiche locali, alla tutela del lavoro degli stagionali, ai temi sociali ed economici. Neppure hanno raggiunto una consapevolezza al minimo sindacale in grado di fargli comprendere che attraverso gli atti amministrativi s’incide la vita del paese e si disegnano le tasche di chi ci vive. Che con un atto si determina la riuscita o l’affossamento di un Comune rispetto a un altro e si può contribuire a creare talvolta un ambiente positivo o talaltra uno stagno malsano. Dieci anni fermi nello stesso punto di prima. L’unica opposizione possibile è lo sforzo di non lasciarsi fagocitare dalle correnti primitive travestite da pseudo modernità, i cui agenti “politici” restano aggrovigliati a matassa dentro calderoni riservati che si “muovono”, loro sì, come “Comune Unico” 

Evitarono di guardare alle ipotesi di creare cabine di regia uniche (risolvere problemi come il terremoto nelle zone colpite, oggi, sarebbe stato più semplice, idem riprendere il Patto per lo sviluppo Socio Economico per accedere ai miliardi di euro in arrivo dall’Europa) per garantirci accessi a un ampio palcoscenico di finanziamenti e l’aumento del potere contrattuale nel dialogo con lo Stato e la Regione. Queste e altre furono, e restano, le ragioni principali che spinsero alcuni di noi, animati dal giornalista Giuseppe Mazzella cui va dato atto di aver realizzato il Comitato per il Comune Unico con relativa pagina su facebook, “Per il Comune Unico dell’isola d’Ischia”. Agli oppositori, dopo10 anni andrebbero dette un paio di cose. Che non è importante il “dove” ma il “come” si fanno le cose. Perciò siamo nella stessa situazione di dieci anni fa, con i medesimi dubbi e gli identici problemi a fare da cornice. Anzi forse la situazione è peggiorata. Il “come” non è cambiato e allo stesso modo di prima non si è mai elaborata una visione su “come” risolvere problemi che ci coinvolgono tutti. Dall’altro chi si opponeva era favorevole all’Unificazione dei Servizi. Fu usata come narrazione da sostituire all’inutilità del Comune Unico. Valida soluzione, se qualcuno si fosse impegnato a realizzarla all’indomani del referendum che non raggiunse il quorum del 50% + 1, (con 12.500 voti a favore e 2500 contro). Le responsabilità di chi si contrappose, oggi sono enormi e pesano più di allora. A questi spettava il dovere di realizzare l’Unificazione dei Servizi, almeno quella. Sappiamo tutti com’è andata e del perché non cresciamo. Da allora la pletora estesa di scribi ortodossi in questo tunnel lungo dieci anni ci ha dimostrato che l’opposizione al Comune Unico nascondeva la difesa di privilegi e rapporti di potere. Le stesse suppellettili che riempiono le nostre giornate, e non solo quelle. Non sono le idee che non valgono nulla. Certi uomini come certe donne, sono disposti a tutto pur di convincerci che le “visioni” diverse non sono buone (perché stravolgono lo schema dei loro interessi, ma non ve lo diranno mai) e che gli “zoppi” non sono loro ma sempre gli altri. Neppure vi diranno che sono stati gli artefici della riduzione dell’isola a un cumulo d’ipocrisie spacciate per virtù e difesa delle tradizioni. Non vi diranno che grazie alla miopia, in certi casi dolosa, (anche di una parte dell’opinione pubblica) continuano a mantenerci a galla e proteggere i loro interessi. Questo gli basta. Lo avevamo intuito allora, oggi lo sappiamo. Bisogna soltanto stabilire di che mare si tratta. 
Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci 

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