CRONACA

Panza, le lastre di marmo restano al loro posto

Il Consiglio di Stato si è pronunciato al termine di una singolare controversia legata a strutture recanti la dicitura “Proprietà Privata” e poste nella zona di Piazza San Leonardo

Le lastre di marmo recanti la dicitura “proprietà privata”, affisse nella pavimentazione della piazza S. Leonardo di Panza, possono restare lì dove sono. A deciderlo sono stati i giudici della sesta sezione del Consiglio di Stato che hanno respinto il ricorso di Maria Iacono contro il Comune di Forio nei confronti Nicola D’Abundo per la riforma sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania del 2014. Nel 2010 il Tar ha respinto il ricorso presentato da Maria Iacono per l’annullamento del provvedimento del Comune di Forio concernente l’archiviazione del procedimento relativo alla sua richiesta di rimozione di lastre di marmo recanti la dicitura “proprietà privata”, affisse nella pavimentazione della piazza S. Leonardo di Panza. La donna in primo grado sosteneva che l’amministrazione non avesse (o non correttamente) esaminato i grafici e gli atti che le avrebbero consentito di verificare che l’area controversa e sulla quale apre i battenti il terraneo di proprietà del sig. Nicola D’Abundo fosse identica alla intera restante superficie della piazza, aperta al pubblico godimento senza limitazione alcuna o diversa destinazione. L’amministrazione comunale era rimasta contumace, mentre si era costituito in giudizio il controinteressato sig. Nicola D’Abundo, che contestava le affermazioni della ricorrente e rilevava che le lastre con la scritta “proprietà privata” preesistevano ai lavori che hanno interessato la piazza e sarebbero corrispondenti ai confini che hanno sempre caratterizzato il cortile privato della famiglia D’Abundo. Il T.A.R., ha ritenuto corretto il comportamento dell’amministrazione comunale.

L’appello di Maria Iacono contesta l’erroneità della pronuncia di primo grado e deduce in un articolato motivo di gravame l’erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, omessa pronuncia su punti decisivi della controversia, eccesso di potere e contraddittorietà, illogicità ed insufficienza della sentenza. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Forio ed il controinteressato Nicola D’Abundo, che chiedono di respingere l’appello, in quanto infondato. L’appellante contesta la statuizione del giudice di prime cure in merito alla corretta ricostruzione fattuale ed all’erronea individuazione dei presupposti per l’archiviazione del procedimento. Il TAR avrebbe errato a dichiarare legittimo il comportamento del Comune in quanto la mera comparazione delle fotografie non sarebbe sufficiente, non avendo nessun valore indiziario. In più, lo stesso ufficio tecnico del Comune avrebbe accertato la natura pubblica dell’area. La sentenza sarebbe frutto di un travisamento dei fatti e dei documenti depositati in giudizio. La pronuncia in primo grado sarebbe inoltre errata. Nel contempo l’amministrazione comunale contesta l’ammissibilità del ricorso, in quanto l’azione dell’appellante sarebbe finalizzata ad accertare la pretesa natura pubblica del cortile, chiuso fra fabbricati, trattandosi di questione afferente al regime dei diritti soggettivi e patrimoniali e, quindi, la giurisdizione sarebbe di competenza del Giudice Ordinario che dovrebbe valutare la portata dei titoli e la sussistenza di un possesso che incida sui rapporti privatistici. Nel giudizio il Comune di Forio ha contestato espressamente di essere proprietario del suolo (né per titolo, né per acquisizione sulla base della destinazione e della fruizione pubblica del bene). Anche Nicola D’Abundo ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per genericità delle censure e per essere una mera riproposizione delle argomentazioni dedotte nel primo grado del giudizio. Invece sostiene che la statuizione dei primi giudici in merito alla legittimità del provvedimento risulterebbe corretta, avendo l’amministrazione valutata tutta la documentazione (quindi anche quella prodotta da Iacono nell’ambito del procedimento).

«La sentenza impugnata – a dire del controinteressato – sarebbe logica, avendo il TAR accertato la legittimità del provvedimento di archiviazione del Comune per essere stato adottato all’esito di una complessa istruttoria, con acquisizione ed esame anche della memoria difensiva del controinteressato con allegati titoli di proprietà, foto, perizie ed atti notori di persone anziane del luogo, di cui si è dato conto anche nella relativa motivazione, così da renderla immune dai denunciati vizi. Il Comune non poteva emettere un provvedimento diverso dall’archiviazione in quanto sarebbe stato privo di alcun titolo di proprietà e non aveva la materiale disponibilità o il possesso dell’area, mai assoggettata ad uso pubblico o utilizzata come piazza, da cui era sempre stata distinta». Inoltre le dichiarazioni del tecnico comunale del 2009 si limiterebbero ad un mero ed astratto richiamo all’antica mappa di impianto, non idonea a provare la proprietà e comunque neppure aggiornata ai luoghi, risalendo ancora ai tempi dei Borboni con evidenti disagi che ciò determina per chi l’attuale accatastamento dei beni. In essa risulterebbero riportati come piazza S. Leonardo anche intere zone oggi occupate da secolari fabbricati, come attestato anche nelle due perizie giurate del geom. Gioacchino Migliaccio in atti ove si dà anche atto, allegandola, della esistenza al catasto di una mappa di revisione dell’impianto aggiornata ma non ancora approvata. Contrariamente, le perizie versate non sarebbero mai state impugnate né contestate dall’appellante; esse sarebbero avallate da titoli, foto satellitari, foto dei luoghi ed antiche cartoline di inizio secolo che già all’epoca riproducevano il cortile privato del sig. D’Abundo, ben distinto dalla limitrofa piazza di Panza e sul cui limite esisterebbe una antica cappella votiva dedicata ad un’ava del controinteressato (D’Abundo Maria), datata 1919, ad ulteriore conferma appunto della natura privata dell’area oggi in contestazione. I giudici, quindi, prendendo in esame i  titoli di proprietà risalenti al 1927 che attestano l’appartenenza al controinteressato (ed alla sua famiglia) dell’area delimitata dalle contestate lastre con la dicitura “proprietà privata” in quanto corrispondente esattamente al cortile pertinenziale alla sua abitazione; e numerose foto della zona prima e dopo gli ultimi lavori di rifacimento della piazza che attestano la preesistenza di tali lastre ed il possesso della detta area in capo al sig. D’Abundo hanno respinto l’appello condannando l’appellante alla refusione delle spese di lite a carico del controinteressato Nicola D’Abundo, che si liquidano in 3mila  Euro, oltre gli oneri di legge, compensando invece le spese del Comune di Forio.

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