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Paolucci: «Questa riforma è un autentico pasticcio»

Di Francesco Ferrandino

ISCHIA. Non ha usato diplomatici giri di parole l’onorevole Massimo Paolucci, vice-capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento Europeo, per definire il progetto di riforma costituzionale che sarà sottoposto al referendum confermativo il prossimo 4 dicembre: «Un autentico pasticcio, anzi direi un pastrocchio». Così si è espresso il deputato democratico, principale ospite dell’incontro tenutosi ieri mattina nell’ospitale cornice del Bar Calise di Piazza degli Eroi.

Un incontro organizzato e moderato dal consigliere comunale di Ischia Ciro Ferrandino e dal gruppo consiliare “Ischia Nuova”, durante il quale sono state illustrate tutte le criticità, molte delle quali di non poco conto, che  la riforma Renzi-Boschi provocherebbe sul nostro sistema costituzionale. Durante la mattinata sono intervenuti nel dibattito anche l’ex sindaco di Ischia, l’avvocato Luigi Telese, e l’ex primo cittadino di Forio, Franco Monti. Presente anche l’avvocato Mariangela Calise, a capo del Comitato isolano per il No al referendum. Il meeting è iniziato con la relazione del dottor Ciro Dioguardi, che, nell’illustrare la riforma sul quale saremo chiamati ad esprimerci, l’ha anche confrontata col precedente tentativo di modifica costituzionale del Governo Berlusconi nel 2006, bocciata dall’elettorato. In quel caso, si trattava comunque di una riforma che espressamente conferiva maggiori poteri al premier. Secondo Dioguardi, l’attuale riforma cerca di raggiungere lo stesso obiettivo, ma in modo più “occulto”, senza alcuna dichiarazione espressa nel testo, facendo in modo che siano proprio il Primo Ministro e il Governo a dettare l’agenda al Parlamento.

Sono stati richiamati anche altri progetti di modifica costituzionale, dove però il Senato sarebbe comunque rimasto elettivo, mentre adesso se vincerà il Sì non potremo più scegliere i cento senatori, togliendo ulteriore spazio alla democrazia diretta. Tra l’altro, è stato chiarito che il nuovo Senato continuerebbe a legiferare su molteplici materie, aumentando e non diminuendo il contenzioso che nascerebbe dall’interpretazione delle rispettive competenze. Secondo Dioguardi, in sostanza, non ci sarebbe la semplificazione tanto invocata, dal momento che con la richiesta di un terzo dei senatori, anche le proposte di legge su materie di competenza della Camera passerebbero comunque al vaglio del Senato, vanificando ogni presunto risparmio di tempo, così come esploderebbero nuove controversie grazie alla “clausola di supremazia”, che consentirebbe alla Camera di legiferare anche in materie di competenza delle Regioni. L’unico punto positivo della riforma, secondo il relatore, sarebbe l’abolizione di un organismo sostanzialmente inutile come il Cnel (il Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro), ma non c’era bisogno di una simile riforma costituzionale per eliminarlo.

Insomma, una bocciatura su tutta la linea, che ha fatto da preludio all’intervento dell’onorevole Paolucci, il quale in relazione alla campagna governativa ha parlato senza mezzi termini di «bugie oltre ogni limite», a cui è necessario rispondere colpo su colpo: «Siamo appena all’inizio, la vera campagna sarà quella che inizierà a due settimane dal referendum». Le obiezioni che Paolucci ha sollevato sono di duplice natura: sul metodo e sul merito. Sul metodo, il deputato Pd ha infatti affermato che un documento fondamentale come la Costituzione non si cambia “a colpi di maggioranza”, perché sarà destinata a durare e non deve diventare il bersaglio dei vari governi che a turno si avvicenderanno. Inoltre, e su questo punto Paolucci è stato molto categorico, sarebbe stato molto più sensato dividere il quesito referendario sui quattro argomenti principali: superamento del bicameralismo, riduzione costi, Cnel e titolo V, mentre invece a dicembre voteremo un enorme coacervo, un “librone” di modifiche eterogenee, da accettare o da respingere in blocco. In tal modo, il referendum si trasforma in una sorta di plebiscito sulla figura di Renzi.

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Il parlamentare europeo ha poi esposto la principale obiezione nel merito della riforma, sottolineando un aspetto fondamentale che spesso nei dibattiti non è sufficientemente ribadito: il collegamento tra la riforma costituzionale e la legge elettorale, il famigerato “Italicum”. Una legge ordinaria che, di fatto, sbilancia pesantemente l’equilibrio dei poteri in favore del Governo, rendendo il Parlamento ancor più debole di quanto già sia diventato negli ultimi anni, e togliendo ulteriore valore al voto popolare. «Non è un voto pro o contro Renzi – ha affermato Paolucci – perché una riforma va pensata per qualsiasi panorama politico e governativo futuro». Fra l’altro, l’esponente dem ha spiegato che in Europa, come in Italia, non esiste un contesto bipolare e che la riforma Renzi non supera affatto il bicameralismo perfetto: «Il problema non sono le due camere, visto che l’83% delle leggi viene varato con un solo passaggio per ciascun ramo del Parlamento. Il problema è la mancanza di volontà politica e le pastoie burocratiche dei decreti attuativi. Di certo, nessuna modifica alla Costituzione potrà mai trasformare un mediocre politico in un grande statista, mentre con questo progetto si moltiplicherebbero le controversie tra Camera e Senato vista l’impossibilità di definire i confini tra le rispettive competenze, dal momento che manca una “norma di chiusura”», ha continuato Paolucci, che ha ricevuto il plauso dei numerosi presenti in sala, da Peppino Mazzella, che ha ribadito la fondamentale importanza della legge elettorale e il ruolo dei piccoli partiti nel consolidamento della democrazia italiana, ad Aniello Carcaterra, che si è scagliato contro i pericoli di deriva autoritaria connessi alla riforma e la mancanza di vera politica, sacrificata in nome di una malintesa “governabilità”.

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«In un momento dove in vari Paesi aumentano i populismi, spesso di destra – ha concluso Paolucci – mi sembra molto saggio evitare un’ulteriore diminuzione di poteri al Parlamento. Se si voleva un esecutivo più forte, si sarebbe dovuto giocare a carte scoperte, cioè elaborando espressamente un premierato forte o una repubblica presidenziale, ma con gli adeguati e necessari contrappesi per bilanciare il potere del governo».

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