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Parcheggio della Siena, parla il direttore dei lavori

ISCHIA. È stato il turno della difesa, ieri mattina, nel processo relativo ai presunti illeciti sversamenti in mare durante la realizzazione della struttura multipiano all’ingresso di Ischia Ponte. Una vicenda giudiziaria che nasce poco più di due anni fa, quando il cantiere fu posto sotto sequestro dagli uomini della Guardia Costiera e del Corpo Forestale con l’accusa di aver iniziato i lavori in assenza della prescritta autorizzazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico e dichiarata di notevole interesse pubblico, oltre al pericolo di deterioramento dell’habitat marino dell’Area marina protetta denominata “Regno di Nettuno”, e infine la circostanza per cui i lavori vengono eseguiti entro la zona dei 30 metri dal demanio Marittimo senza autorizzazione.

Dopo la deposizione di uno degli ufficiali della Guardia Costiera nell’udienza dello scorso aprile, ieri mattina era in programma l’esame di tre testimoni, ma si è presentato soltanto uno degli imputati, Giuseppe Mattera, il tecnico che ricopre il ruolo di direttore dei lavori. L’esame è stato condotto prevalentemente dalla difesa, sostenuta dall’avvocato Pasquale Coppola. Il penalista ha inizialmente focalizzato l’attenzione sull’imputazione relativa alla presunta violazione dell’articolo 256 del Decreto legislativo 152 del 200, cioè la presunta attività di gestione dei rifiuti non autorizzata. Il teste ha illustrato le origini dell’opera, a parte dall’ormai lontano 2009, spiegando che dal Comune di Ischia, tramite lo sportello unic, teoricamente sarebbe dovuta bastare un’unica autorizzazione. Ma le cose in pratica non erano affatto così semplici e la ditta si mosse autonomamente per ottenere ben dieci autorizzazioni, vista la complessità dell’opera.
Il successivo sequestro operato dalla polizia giudiziaria  riguardò il blocco della struttura corrispondente all’auditorium, adiacente al  parcheggio pluriplano: quest’ultimo “scende” più in profondità, ma il piano di copertura tra le due parti è allo stesso livello.

Mattera ha spiegato che il lavoro era diviso in due fasi.  La prima consisteva nel realizzare pali in calcestruzzo sul perimetro dell’area, per evitare crolli. Finita la perimetrazione, sono state costruite le fondazioni.  Dopo la fase di scavo, vennero inserite aste ravvicinate, con filtro, per aspirare l’acqua dal sottosuolo creando una  depressione, per poter lavorare all’asciutto. La punta di queste aste cattura l’acqua a una profondità ancora maggiore del piano di lavoro. Il tecnico ha spiegato che le pompe non potevano aspirare terra né sabbia, ma al massimo soltanto il limo. Tuttavia il filtraggio era così capillare che nemmeno quest’ultima sostanza veniva riversata in mare. Mattera ha infatti illustrato il sistema di aspirazione e di passaggio delle acque nelle vasche di decantazione, e ha spiegato che, al contrario di quello che molti credono, la struttura intera deve reggersi sull’acqua, per il principio di Archimede. Proprio come una nave sul mare.

L’avvocato Coppola ha quindi chiesto di specificare, ricevendo l’assenso del teste, se la vasca di decantazione fosse in pratica un mero scrupolo, per la teorica trattenuta del limo. Mattera ha confermato tale prospettazione, arrivando poi al cuore del problema: secondo la difesa, anche la Guardia Costiera ha ammesso che alcuni dati delle analisi furono interpretati in modo equivoco. Secondo il teste, fu individuato del materiale torbido dovuto alla “scapitozzatura” dei pali e alla pioggia (si era in ottobre) mista all’ acqua che affiorava sul posto, materiale che poi veniva smaltito nei modi adeguati. Tuttavia, secondo la difesa, quel materiale ingenerò allarmi negli uomini della Guardia Costiera, i quali  pensarono  che le aste aspirassero anche  quel materiale torbido, riversandolo in mare. Un equivoco, che secondo Mattera in realtà non aveva ragione di esistere in quanto la stessa ditta titolare dei lavori ritenne di procedere spontaneamente a delle analisi del materiale, i cui risultati furono riportati in un rapporto dell’ottobre 2014, poi consegnato nel febbraio 2016. Le quantità di arsenico erano ridottissime e la stessa Guardia Costiera, ha sostenuto la difesa, riconobbe il malinteso. In ogni caso i danni economici per lo stop dovuto al sequestro furono ingenti.
L’avvocato Coppola, sul finire dell’esame, ha rivolto l’attenzione a un altro capo d’imputazione, quello relativo all’articolo 55 del codice di navigazione, secondo cui la ditta avrebbe agito senza riguardo per il limite previsto dei trenta metri, oltre il quale per operare servono adeguate autorizzazioni. Il tecnico ha spiegato che, viste le numerose autorizzazioni ottenute, non avrebbero avuto alcun problema a cercare di ottenerne un’altra. A rigore sarebbe spettato allo Sportello unico per le attività produttive chiedere l’autorizzazione, e ad ogni buon conto dopo il sequestro ci si rivolse al Comune, che disse di non aver ritenuto di chiedere tale autorizzazione in quanto la costruzione non modificava il profilo della costa in modo pericoloso per la navigazione (e non sarebbero state apposte luci di segnalazioni ingannevoli per le imbarcazioni). Fra l’altro, ha spiegato Mattera, il parcheggio non violava il limite dei trenta metri e soltanto una piccola parte dell’auditorium era interessata dallo “sforamento”.
Concluso l’esame della difesa, il pubblico ministero ha rivolto una sola domanda al teste, chiedendo se la vasca di decantazione, che costituisce il vero nodo del contendere, fosse adeguatamente dimensionata. L’imputato ha assicurato che il sistema di filtraggio è assolutamente sicuro.
Il giudice ha aggiornato il processo al prossimo ottobre, quando saranno ascoltati tre testimoni, tra cui l’ingegner Fermo e una dottoressa dell’Arpac, l’agenzia regionale per la protezione ambientale.

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