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Parliamo degli Abu Dhabi di necessità
Di Graziano Petrucci
Comunicazione di servizio. Voglio fare i complimenti a Marilisa Ungaro, in arte «Mari di Guai». E’ riuscita a superare le audizioni che si sono svolte qualche giorno fa al Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo. Con l’augurio che possa rientrare tra i vincitori ed esibirsi sul palco del prossimo Festival della canzone italiana le mando il mio «in bocca al lupo». Vai Marilisa! Fine della comunicazione. E’ di qualche giorno fa la notizia che tra Barano e Casamicciola ci sono state venticinque richieste di rinvio a giudizio per altrettante persone. Parrebbe che il periodo di riferimento sia tra il 2009 e il 2010. Nella maggior parte dei casi i reati contestati si riferiscono all’abusivismo edilizio con il quale noi scimpanzé, abitanti delle isole su cui non è possibile a momenti neppure spostare una pietra per dedicarsi al relax domenicale figurarsi muovere i camion di notte per giocare e favorire le costruzioni per bambini, abbiamo una particolare relazione di odio/amore. Da un lato ci lamentiamo e cogliamo l’occasione per condannare o puntare il dito contro chi cementifica il territorio con il mattone selvaggio. Dall’altro strizziamo l’occhio, o li chiudiamo entrambi cui si aggiunge inseparabilmente la bocca, di fronte all’amico o all’amico dell’amico ed evitiamo di esporci nelle critiche e nelle prese di posizione che corrisponderebbero, in questo caso, alla difesa del territorio oltre che con la sospirata sostenibilità dell’ambiente contro chi mangia terra e sputa cemento. Se poi, come accade, qualche persona quasi influente, magari potrebbe essere il politico locale che rappresenta spesso il personaggio e l’ingranaggio chiave o un burocrate, riesce a farci la cortesia di non «denunciare» o renderci semplice la pratica e la costruzione della «Tour Eiffel» che renderà abitabili zone che prima non lo erano il gioco è fatto. Da quel momento la creatività nell’uso delle costruzioni prenderà forma occupando e in alcuni casi addirittura mischiandosi con il verde dei boschi. La Campania, secondo i dati di Legambiente del febbraio 2015, detiene un triste primato. Seguono poi nella classifica la Sicilia, la Calabria e la Puglia. A facilitarci la conquista della prima posizione ci sono circa 175 mila immobili abusivi mentre i reati legati al cemento illegale sono circa il 13.9% del totale su base nazionale. Napoli pare sia la prima provincia il cui numero d’infrazioni accertate raggiunge il 4.8% sempre sul dato nazionale. Subito dietro arriva Salerno con il 4.2%. Oltre ai numeri che per molti potrebbero non significare un cazzo, bisogna comunque rilevare che con la Legge n.68 da maggio 2015 sono stati finalmente inseriti nel Codice Penale i “delitti contro l’ambiente”. Gli addetti del settore hanno sempre richiamato l’urgenza di questa introduzione e dopo circa 21 anni sono stati ascoltati. Per un miracolo ci sarebbe voluto meno tempo. In ogni caso ci sono riusciti: amen. Si presume, a questo punto, che ci sarà qualche strumento repressivo in più per contrastare il fenomeno, anche quello degli abusi, che non accenna a fermarsi. Non voglio entrare nel merito e alimentare la discussione sull’abuso di necessità che talvolta mi sembra una grossa presa per il culo mentre in alcune singole occasioni la discussione ha un fondamento e un presupposto logico. Tuttavia ho una proposta per la situazione degli «abusi edilizi» e «di necessità», magari la riprendo un’altra volta altrimenti rischio di fare confusione. Quel che voglio evidenziare adesso, invece, è il rapporto malato che abbiamo, ahimè, con la «nostra terra». Forse chi continua a costruire dove non si potrebbe e dove tuttora vige il divieto assoluto lo fa per effetto di quest’aggettivo possessivo deviato nel suo senso ossia «la terra è mia e ci faccio quel che mi pare». Il che non connota soltanto lui come troglodita e ignorante ma tutti noi come una massa di aborigeni imbecilli e menefreghisti, cosa che ci farà schiantare contro un muro, forse pure questo abusivo, che abbiamo provveduto a consolidare nel tempo. Un amico architetto mi ha detto di andare su Google Earth, digitare “Ischia” e aspettare che la visione attuale dell’intera isola, dal satellite della NASA, mi esploda davanti. L’ho fatto, fatelo anche voi. Dopo tornate indietro nel tempo, sulla barra in alto, nel 2002 e soffermatevi sulle differenze. Se non vi basta, prendete una qualsiasi zona a caso in modo ravvicinato e confrontate la fotografia odierna con quella del passato seguendo la stessa procedura. Non sto dicendo che le costruzioni riprese nelle immagini – allegate- che ho preso ad esempio sono tutti abusi. Chi si sente chiamato in causa, può anche evitare di montare una polemica inutile e farsi un giro. Voglio solo farvi notare che il verde eroso dal cemento si nota subito ed è un pugno nell’occhio. Vi accorgerete che, complice lo scorrere lento del tempo, in qualche caso case e palazzi hanno preso vita dopo aver sradicato alcuni alberi, gettato un solaio dove prima non esisteva o spianato una strada da percorrere con il SUV fin sopra la montagna. In tutti questi anni avremmo potuto costruire pure un aeroporto internazionale e alimentare un sistema redditizio di scambi con Singapore e Abu Dhabi. Tanto nessuno se ne sarebbe mai accorto. Quanto siamo idioti.
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