LE OPINIONI

IL COMMENTO La depressione di Benedetto Croce dopo Casamicciola

Ischia,per le calamità naturali che la caratterizzano, ancora una volta è (giustamente) al centro dell’attenzione nazionale. Questa volta l’attenzione è rivolta agli effetti della frana del 26 novembre 2022 e alla necessità di mettere al più presto in sicurezza il territorio. Ecco, quindi, che venerdì scorso c’è stato un incontro istituzionale al Ministero per la Protezione Civile Musumeci, il Capo della Protezione Civile Curcio, il Commissario Straordinario Legnini e i Sindaci dell’isola (per Casamicciola la Commissaria prefettizia Calcaterra) e poi una conferenza stampa al Regina Isabella. C’è un aspetto, però, che viene sistematicamente eluso ed ignorato da questi incontri, pur necessari. Lo stress psicologico che rimane nella popolazione a seguito di eventi così disastrosi. Si può porre rimedio ai danni materiali: occorrono fondi e saper agire. Nel medio termine si può riavviare anche l’economia del paese ma quel che è più difficile da cancellare e rimarginare è la ferita psicologica, lo scossone dell’anima che tali eventi provocano nei cittadini più direttamente coinvolti negli eventi catastrofici. Il 6 febbraio del 2017 (anno che poi fece registrare il terribile terremoto che colpì in particolare Casamicciola, oltre che Lacco e Forio) il grande attore Toni Servillo, al Teatro Bellini di Napoli, recitò le “Pagine autobiografiche” di Benedetto Croce, curate dallo storico Giuseppe Galasso. Quelle pagine che, in via eccezionale, sono un breve racconto autobiografico, cosa che il grande filosofo non amava, ci disvela un lato oscuro che ci riguarda come isola e come ischitani.

I terremoti (come le frane) e, da ultimo, il terremoto del 2017 a Casamicciola, sconquassano sì la terra, le case, le strade, ma squartano anche l’anima degli individui, lacerano i tessuti connettivi che tengono insieme nuclei familiari, gruppi sociali, comunità locali. Crea, a livello individuale e sociale, lo “spaesamento”. Per cui quando parliamo di “ricostruzione” bisogna pensare anche alla ricostruzione di anime smarrite. E non c’è Commissario Straordinario per questo. E noi magari siamo portati a credere che un grande filosofo sia in grado di sostenere, più dei normali cittadini, il peso di uno sconvolgimento da calamità naturale. Benedetto Croce, alle ore 21,30 del 28 luglio del 1883 (era a villeggiare a Casamicciola assieme alla famiglia) fu colpito da un violento terremoto, in cui perse una sorella ed entrambi i genitori. Il fratello, Alfonso, si salvò in quanto era partito poche ore prima. E’ sconcertante che, a distanza di anni (nel 2011) lo scrittore Roberto Saviano abbia raccolta e diffusa una versione dei fatti che tenderebbe a discreditare il filosofo, secondo cui Croce, intrappolato tra le macerie del terremoto, promise soldi (centomila lire) a chi lo avesse aiutato ad uscire da quella situazione. Ricordiamo che stiamo comunque parlando di un giovane di 17 anni, attaccato – come è giusto che sia – alla vita tutta ancora da vivere. Ancor più sconcertante fu la richiesta di Saviano di risarcimento di 4,7 milioni di euro per danni morali al Corriere del Mezzogiorno che lo aveva criticato per la versione data, nonostante fosse stata smentita dalla nipote del filosofo, Marta Herling. Ma qui non interessa l’eventuale falsità e denigrazione della versione Saviano. Interessa un’altra cosa, che cioè, quel terremoto provocò una vera e propria depressione al filosofo. Il terremoto (o un’alluvione) fa paura, confonde la mente. Ne seppe qualcosa anche Don Giuseppe Morgera, parroco di Casamicciola, anch’egli estratto miracolosamente dalle macerie e terrorizzato a lungo dopo tale evento. Così scrive Benedetto Croce di se stesso: “Una brusca interruzione e un profondo sconvolgimento sofferse la mia vita familiare per il terremoto di Casamicciola del 1883, nel quale perdetti i miei genitori e la mia unica sorella, e rimasi io stesso sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo. Guarito alla meglio, mi recai insieme con mio fratello a Roma, in casa di Silvio Spaventa, che aveva accettato di diventare nostro tutore: atto del quale solo più tardi potei intendere il valore, perché lo Spaventa, sebbene tutto immerso nella politica, sebbene non fosse stato in relazioni cordiali con mio padre negli ultimi tempi, sentì il dovere di prendere come in protezione i due giovinetti superstiti di una famiglia la quale egli stesso, giovinetto, era stato oggetto di cure affettuose”.

A casa Spaventa (nomen omen) Croce appariva disorientato tra mille incontri di politica, diritto, scienza. Talché Croce scrive ancora: “Io non ero preparato ad accogliere in me quella nuova forma di vita…né poteva rincuorarmi di fiducia ed accendermi d’entusiasmo e levarmi in qualche modo dall’avvilimento nel quale ero caduto. Lo stordimento della sventura domestica che mi aveva colpito, lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gli incerti concetti sui fini e sul significato del vivere… Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio”. Croce era perfino incapace di concentrarsi nello studio. Ma per fortuna, così come capitò al Parroco Morgera che, dopo la fase di terrore post terremoto, riprese con maggior vigore la sua missione sacerdotale, così Benedetto Croce, dalla fase di spaesamento passò poi alla fase di studio profondo e profonda elaborazione filosofica. A favorire il passaggio psicologico di Croce dalla fase pessimistica alla fase razionale contribuì molto Antonio Labriola, le cui lezioni di filosofia morale lo indirizzarono a una fede sulla vita, sui suoi fini e sui doveri individuali e collettivi.

Non che Croce abbia dissipato del tutto l’angoscia post terremoto ma, come egli scrive: “L’angoscia acuta, della quale ho tanto sofferto in gioventù, è ormai un’angoscia cronica e da selvatica e fina si è fatta domestica e mite, perché ora ne conosco i sintomi, il rimedio, il decorso e perciò ho acquistato la calma, che la maturità degli anni porta a coloro che, beninteso, hanno lavorato per maturarsi”. Da ciò un messaggio di speranza per l’isola e per Casamicciola: il terremoto (come altre calamità) distrugge materialmente e spiritualmente ma, così come si può ricostruire la materia, si può ricostruire anche lo spirito. Certo, restano i morti, ma perlomeno per i vivi rimane la via d’uscita. Non è necessario per questo avere la vocazione di un grande sacerdote come Giuseppe Morgera o il genio di un grande filosofo come Benedetto Croce. Ci vuole forza d’animo ed intelligenza nell’agire. Ma soprattutto ci vuole un corpo sociale coeso e compatto, per il quale non importi l’avere individualmente scampato il pericolo, non importi abitare in una zona dell’isola meno esposta storicamente ai pericoli, ma importi essere parte del tutto e condividere il dolore e le difficoltà di chi è nel centro e nell’epicentro del rischio. E Ischia, nella storia, ha già dimostrato di esserne capace. Non smentiamo la nostra storia e facciamoci tutti carico dell’angoscia di una parte della popolazione. Sarà, per loro, più facile uscirne.

Ads

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex