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Peculato, i perchè della condanna del vigile ischitano

ISCHIA. Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di primo grado nei confronti del Maresciallo Michele Costagliola Di Fiore, sottufficiale del corpo di Polizia Municipale di Ischia accusato di peculato. Come si ricorderà, il vigile aveva sottratto alle casse comunali nell’arco di cinque anni una cifra vicina ai 90mila euro, pressoché interamente dilapidata al gioco d’azzardo: Di Fiore è infatti colpito da “ludopatia”, la dipendenza patologica dal gioco. Di fronte alle richieste del pubblico ministero (4 anni e sei mesi di reclusione), la difesa del maresciallo aveva infatti invocato l’assoluzione per difetto di imputabilità dovuto all’incapacità d’intendere e di volere o, in subordine, l’applicazione delle attenuanti generiche con una pena sostitutiva o la sospensione condizionale, proprio alla luce dello stato psichico sofferto dall’imputato, incensurato. Il giudice Mario Morra, ha invece accolto quasi interamente le richieste del pubblico ministero, dichiarando la colpevolezza del vigile, pur riconoscendo le attenuanti generiche e riducendo la pena (la difesa aveva infatti chiesto e ottenuto il rito abbreviato che diminuisce la pena di un terzo), che si sono tradotte nella condanna di quattro anni di reclusione e al pagamento delle spese processuali. Il sottufficiale, com’era prevedibile, è stato sottoposto anche alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ed è stato quindi dichiarato concluso il suo rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. La sottrazione della rilevante cifra alle casse comunali, denaro che proveniva dalla riscossione delle sanzioni inflitte per le infrazioni al Codice della Strada, ha indotto il magistrato all’altrettanto prevedibile confisca dei beni dell’imputato per riparare al danno. Circostanza che, nelle motivazioni, viene riconosciuta come improbabile dallo stesso giudice, attese le condizioni economiche del Costagliola, che è eufemistico definire critiche. Il giudice ha totalmente escluso lo stato d’incapacità di intendere e di volere dell’imputato al momento della commissione dei fatti, protrattisi nell’arco di quasi cinque anni.

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