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Pedane sequestrate, la salvezza passa dal Riesame

Il giorno dopo, i tre lidi sequestrati giacciono deserti lungo il litorale di Casamicciola. L’azione della Procura si è abbattuta come un temporale estivo, improvvisa e imprevista, sulle attività balneari che utilizzano le pedane sulle scogliere del comune termale. Un’azione forte, che impone un momento di riflessione per poi impostare la reazione. Adesso la partita si sposta nelle mani degli avvocati che sono stati mobilitati per cercare di trovare una soluzione, uno spiraglio in grado di permettere la riapertura degli stabilimenti e salvare in qualche modo la stagione 2017. L’amministrazione in questa fase resta silente, mentre i difensori hanno già presentato istanza al Tribunale del Riesame per ottenere il dissequestro, ma siamo ormai pericolosamente vicini al periodo di sospensione feriale, e se tale udienza non dovesse aver luogo entro fine luglio, slittando quindi a settembre, la situazione assumerebbe colori foschissimi per i tre gestori coinvolti, parliamo dei lidi “Acquamarina”, “Brezza” e “Blu Bay” rappresentati e difesi dagli avvocati Alessandro Barbieri e Francesco Capezza. Uno scenario assolutamente da scongiurare, perché un’udienza del Riesame fissata a settembre significherebbe la fine dell’attività economica delle tre strutture nei due mesi di punta della stagione estiva, con danni pesantissimi. Di fatto, un’intera stagione persa. La questione è abbastanza intricata e, come spesso accade, viene da lontano. Quasi un decennio fa furono montati i supporti per l’edificazione delle pedane e dei tavolati sulle scogliere del litorale casamicciolese, ma già all’epoca la Soprintendenza si mostrò contraria al rilascio del parere favorevole. E, come sanno ormai anche i sassi, alla fine di ogni stagione estiva i gestori avrebbero dovuto rimuovere integralmente tali strutture, dai volumi degli ambienti per bar e servizi, ai tavolati e alle stesse intelaiature di tubi. Compresi gli allacci elettrici e idraulici. Un impegno gravosissimo, sia dal punto di vista logistico che economico. Di fatto, dunque, tali strutture sono rimaste da anni sul posto, senza essere completamente smontate.

Un particolare che ha indispettito ancor più la Procura di Napoli, in quanto tutti sapevano o avrebbero dovuto sapere che questo stortura sarebbe prima o poi deflagrata, come in effetti è avvenuto. La Procura di fatto ritiene che si sia in presenza di un’occupazione di area demaniale in assenza di valide autorizzazioni. La mancata rimozione delle strutture avrebbe originato due tipi di reati, ma mentre quello edilizio è da considerarsi prescritto, resta in piedi quello di indebita occupazione di suolo pubblico. Fra l’altro, il pubblico ministero Persico inizialmente chiese un decreto di sequestro, che però non fece applicare, probabilmente perché ritenuto “debole”. Uno dei punti focali è l’aver concesso, da parte del comune, un’autorizzazione diretta su opere abusive colpite da ordinanza di demolizione, quell’ordinanza emanata dalla stessa amministrazione in primavera che fu poi trasformata in mera sanzione pecuniaria applicando l’art. 37 del DPR 380/2001 (Testo unico dell’edilizia), quando i gestori chiesero una Scia in sanatoria. Il pubblico ministero ha poi “costruito” una richiesta di decreto di sequestro ritenuta più “solida”, per poi farla applicare nei giorni scorsi. Adesso, come detto, si è passati dai tavolati dei lidi ai tavoli degli avvocati e del Tribunale per una partita che vede in gioco la sopravvivenza di tre attività balneari finite sotto la mannaia della legge, dopo un decennio in cui le criticità si sono variamente accumulate per poi arrivare al punto critico.

Francesco Ferrandino

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