CULTURA & SOCIETA'

Perle da cozze del Mediterraneo, un’innovazione sotto al guscio

Ora è possibile grazie a una tecnica ideata e brevettata dalla Stazione zoologica “Anton Dohrn” di Napoli grazie alla ricercatrice ischitana Sara Fioretti

DI GIULIA ASSOGNA

Estrarre perle preziose dai mitili (Mytilus galloprovincialis) del Mediterraneo è senza dubbio una ricchezza inaspettata. Quando Sara Fioretti, ricercatrice della Stazione zoologica “Anton Dohrn” di Napoli, ha avanzato la sua proposta, l’idea ha suscitato non pochi sorrisi. «Durante il dottorato – racconta la ricercatrice a Nuova Ecologia – ho seguito diversi allevamenti di mitili nelle coste flegree, tra Lucrino e Capo Miseno. Sono animali filtratori, noti per le proprietà organolettiche. Uno dei mitilicoltori mi ha parlato del suo desiderio di allevare anche ostriche a fini alimentari e non ho potuto evitare di pensare all’associazione ostrica-perla».

I più famosi molluschi perliferi sono infatti le ostriche della specie Pinctada margaritifera, pescati e allevati soprattutto nella regione indo-pacifica per la grande produzione di perle preziose. Fioretti e colleghi hanno scoperto però che non sono gli unici molluschi con questa caratteristica. «Nei mitili non era mai stata riscontrata la possibilità di generare perle, ma abbiamo immaginato che potesse essere un meccanismo diffuso tra le varie specie di molluschi».

In effetti, la perla è una sorta di conchiglia capovolta, una sfera costruita attorno a un agente estraneo entrato accidentalmente nello spazio compreso tra le due valve dell’individuo. Per difendersi, questo cerca di neutralizzare e rendere inerte il corpo estraneo rivestendolo di una struttura di carbonato di calcio. Compiendo indagini più approfondite, gli esperti hanno scoperto che anche la Pinna nobilis – più nota come “nacchera di mare”, il bivalve più grande del Mediterraneo – può produrre perle abbastanza grandi. E non è tutto. Le cozze nostrane condividono con le ostriche anche alcune proteine funzionali alla formazione della conchiglia esterna.

NON SOLO OSTRICHE

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Per verificare l’ipotesi che anche le cozze potessero produrre perle pregiate, i ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti all’Ischia marine center della Stazione zoologica. «Attraverso un piccolo buco, praticato sulla valva superiore della cozza, abbiamo inserito una sferetta di plastica nell’animale – spiega Sara Fioretti – in una posizione lontana da organi vitali, come le branchie, e lontana dalla cerniera che consente l’apertura e la chiusura delle valve». Il buco prodotto sulla valva è stato richiuso subito con una plastica termomodellante resistente all’acqua, per evitare danni all’animale: una tecnica di innesto (grafting) semplice e poco invasiva.

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«Il passaggio critico è non danneggiare l’individuo – chiarisce – Se le valve rimanessero aperte, l’animale sarebbe esposto a patogeni e altre minacce gravi per la sua sopravvivenza».

INNESTI DA BREVETTO

I risultati degli esperimenti non si sono fatti attendere a lungo. «Già dopo i primi sei mesi abbiamo notato la comparsa di un accenno di perla, in alcuni casi attaccata a una valva. Ma ci vuole almeno un anno per avere una perla completa». Secondo i ricercatori, che hanno depositato il brevetto della tecnica di innesto, il sistema sviluppato è persino migliore di quello tradizionale usato negli allevamenti del Pacifico sulle ostriche perlifere, dove le valve vengono aperte chirurgicamente per inserire l’agente estraneo, provocando spesso il rigetto o la morte degli animali. «Con il nostro trattamento – sottolinea la ricercatrice – la mortalità e la probabilità di rigetto sono molto basse».

Il sistema messo a punto a Ischia apre scenari inaspettati sull’intera filiera della mitilicoltura. Potrebbe essere l’origine di allevamenti senza sprechi, in cui gli esemplari adulti, in seguito al prelievo della perla, potrebbero essere utilizzati sul mercato alimentare.

La tecnica permetterebbe anche di sfruttare porzioni di mare non più adatte agli allevamenti, nei casi in cui l’acqua marina fosse dichiarata non più idonea allo scopo alimentare.

«Siamo al primo step di valutazione e non conosciamo ancora il livello di qualità che potremo raggiungere, ma la tecnica di grafting funziona. Ora dobbiamo dedicarci al miglioramento del processo per aumentare il valore commerciale delle perle», conclude Sara Fioretti, che a Trieste ha ricevuto il premio “Bernardo Nobile” per la miglior tesi di dottorato che abbia portato al deposito di un brevetto. Un’innovazione sostenibile e vantaggiosa, che attende di rivoluzionare il mercato dei molluschi. (fonte lanuovaecologia.it)

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