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ALCUNE RIFLESSIONI SUL CINEMA DI STANLEY KUBRICK

DI FRANCESCO FRIGIONE

Gentili Lettrici e Lettori,

in vista della conferenza “STANLEY KUBRICK: DISTRUTTIVITA’ E COSCIENZA”, che terrò a Roma il 10 febbraio prossimo per il Centro Studi di Psicologia e Letteratura, desidero condividere con voi alcune riflessioni psicologiche sul cinema del grande regista newyorkese. Mi soffermerò, in particolare, sulla relazione tra violenza distruttiva e difensiva e sul loro rapporto con l’annichilimento e la sviluppo creativo della Coscienza.

Le opere di Stanley Kubrick rappresentano infatti un patrimonio dell’umanità, in grado di offrire, a ogni nuova fruizione, un impulso fondamentale non soltanto all’evoluzione del mezzo cinematografico ma alla cultura critica della società moderna e all’evoluzione psichica e spirituale degli spettatori.

D’altronde, anche nella mia pratica clinica ho fatto puntualmente esperienza di come le immagini di quei film riescano come poche a essere simboli, a mediare, cioè, tra gli aspetti contingenti della vita quotidiana dei pazienti e quelli fondamentali dell’Anima, costruttrici di un ponte tra l’immaginazione profonda e il pensiero cosciente.

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IMPOTENZA, VOLONTÀ DI POTENZA E DISTRUTTIVITÀ

 

In questa mia breve introduzione al cinema di Stanley Kubrick (nato il 26 luglio 1928, a New York, negli  U.S.A. e morto il 7 marzo 1999, a St Albans, nel Regno Unito) non seguirò un criterio strettamente cronologico. Sebbene sia rintracciabile, infatti, un’evoluzione del talento e nella presa di coscienza dei propri mezzi e fini artistici da parte del regista, ciò che più impressiona è proprio che sin dal lungometraggio d’esordio – una produzione totalmente indipendente -, Fear and Desire (“Paura e Desiderio”), realizzata nel 1953, si rivelino i temi portanti su cui il genio americano tornerà a lavorare, da svariate angolazioni, durante l’intero arco della vita. Vi è dunque una circolarità dell’opera in cui ciò che è posteriore illumina meglio il passato e i futuri sviluppi. In questa ottica, il film cardine è per me è l’ineguagliato capolavoro del 1968, 2001 Odissea nello Spazio.

Tornando a Fear and Desire, la storia rivela attraverso una trama bellica indeterminata nel tempo e nello spazio, che l’essere umano s’illude miseramente di mantenere il controllo sulle proprie fantasie psichiche e sulle pulsioni biologiche: queste, infatti, lo sopraffanno non appena egli si viene a trovare in una condizione di spaesamento, penuria e impotenza. La paura domina allora onnipresente, divenendo non solo l’emozione che garantisce la sopravvivenza ma che procura contemporaneamente la morte dell’Anima e la follia psicotica. Il desiderio che in questo clima alligna non può che essere rapace e distruttivo, privato com’è del sentimento della fiducia. Il soldato che, nella foresta vergine, tenta di stuprare una ragazza senza riuscirci e poi l’ammazza, avendo ucciso con essa l’immagine della propria Anima non può che andare alla deriva su una zattera lungo il fiume, avendo perso il senno ed essendo regredito a uno stato mentale totalmente infantile. Così, i suoi commilitoni che ammazzano un plotone di nemici inermi, mentre stanno rilassandosi durante un pasto, scoprono con orrore ed angoscia che i volti dei cadaveri sono i propri. La scena è icastica, anche se intellettualistica, e dà pienamente l’idea che vi sono condizioni che la Natura ha imposto all’uomo nel corso di centinaia di migliaia di anni e che questi ha replicato e amplificato nella costruzione delle strutture sociali, alcune delle quali particolarmente trasparenti nella loro paranoia, come l’esercito. Ma il demistificatore Kubrick è pronto a rinvenire ovunque questo rischio perenne della meccanizzazione dell’essere umano, che trova simboli evidenti nella notturna lotta finale in un magazzino di manichini tra il protagonista, Frank Silvera, e l’antagonista, Felice Orlandi, del Bacio dell’assassino (1955), o nel braccio del fanatico e grottesco scienziato nazista Stranamore (Peter Sellers), che gode al pensiero degli scenari apocalittici che si aprono nel momento in cui l’inconsceità dei potenti del mondo ha “macchinizzato” ogni decisione e aperto la strada alla fine del mondo attraverso la guerra atomica.

Neppure il gruppo, vuoi di teppisti, vuoi di scienziati, e la famiglia sono al sicuro da questo amore per la distruzione e la violenza, come illustrerò nella prossima puntata. Eppure, la grandezza di Kubrick consiste anche nel mostrare come tutto ciò che uccide l’uomo potenzialmente lo eleva e viceversa.

 

 

 

 Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma in una scuola di specializzazione per psicoterapeuti, formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma e a Ischia. Ha fondato e dirige il webzine e il quadrimestrale internazionali “Animamediatica”.

Contatti

E-mail: francescofrigione62@gmail.it

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