LE OPINIONI

Potenziare la catena posteriore delle gambe

Eseguendo il box squat, sentendo la spinta dei piedi contro il terreno e puntando le ginocchia sempre all’esterno mantenendo il piano inclinato della schiena, ci pone nella corretta posizione per muovere alti carichi

Con lo squat, affondo e pressa la catena cinetica posteriore non è allenata al meglio e nei tecnici sorse la necessità di trovare l’esercizio che allenasse in modo specifico e completo i muscoli della catena posteriore. L’esercizio del Box Squat è la dimostrazione dell’evoluzione tecnica dello sport.

All’inizio si tentò di colmare il gup effettuando lo squat mettendo in tensione la catena posteriore andando all’indietro col busto prima di iniziare la discesa col bilanciere. Ricordo che verso la fine degli anni settanta facevo eseguire lo squat agli atleti che allenavo, specialmente quelli dei lanci e salti, in questo modo con buoni risultati rispetto allo squat tradizionale.

Ritti, un piede su due panche poste di lato, tenendo un manubrio scendere al parallelo o anche di più. Sedere su una panca scendendo su una sola gamba. In piedi su una panca scendere su una sola gamba tenendola distesa avanti. Tenendo una gamba su una panca scendere come in un affondo, ecc. Ma fu solo verso la fine degli anni ottanta che dopo aver provato con esercizi di ogni genere, tipo: ½ stacco enfatizzando la fase di messa in tensione dei posteriori, dell’uso dei cavi, posizionandosi dando le spalle al pulley e sollevando una gamba all’indietro con l’ausilio di una cavigliera, piegandosi in avanti a 90°, o distesi su una panca alta, con le spalle di fronte al pulley, sollevare le gambe indietro tirando su il cavo, o con il good morning e l’iperextension, ecc. ma ancora i risultati non erano soddisfacenti finché non si trovò l’esercizio idoneo. Si trattava di una variante dello squat effettuato andando quanto più indietro possibile con i glutei e poi sedersi su una panca. La rivoluzione fu sedere su un box, da cui il nome. In questo mod o si chiamavano in azione i posteriori, specialmente all’inizio della risalita quando i potenti quadricipiti nella prima fase non possono ancora esprimere la loro potenza. Fatte le debite premesse, analizziamo nello specifico l’esecuzione del box squat (B.S.).

BOX SQUAT

L’accosciata nel B.S. andando in giù fino ad arrivare a sedersi sul box, è un netto movimento in diagonale verso il basso. Come nello squat, posizioniamo il bilanciere sulle spalle, braccia che lo spingono contro le spalle, gambe tese e ginocchia serrate contraendo al massimo i quadricipiti, i glutei ed i lombari. Facendo un passo indietro mettiamo i piedi davanti al box.

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Tenendo sempre le gambe tese e i muscoli contratti inspiriamo normalmente ma riempiendo oltre alla parte superiore e centrale dei polmoni anche la parte inferiore, cosa che espande al massimo l’addome, ciò per trarre tutti i vantaggi dall’uso della cinta. Sempre con le gambe tese e le ginocchia serrate, immetteremo la schiena in un piano inclinato spostando indietro il bacino. Ricercheremo ciò, andando indietro col bacino, con la massima estensione possibile dei femorali, e solo dopo averla raggiunta, inizieremo a piegare le ginocchia. Le ginocchia puntano sempre all’infuori e dobbiamo sentire che le anche seguano la direzione imposta dalle ginocchia.

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Arrivati a sedere sul box, faremo una piccola sosta, mantenendo sempre la muscolatura contratta, ripartiremo ricercando la massima esplosività consentita dal carico, eseguendo lo stesso movimento e percorso seguito scendendo, arrivando alla posizione di partenza. E’ basilare che durante la risalita anche e ginocchia puntino, spingendo all’infuori, sempre verso l’esterno. Per non compromettere l’esecuzione dobbiamo assolutamente evitare di chiudere le ginocchia all’interno o perdere la spinta delle anche verso l’esterno.

Nella risalita, mentre spingiamo, con i piedi, con la massima potenza possibile, giù, contro il pavimento, dobbiamo costringerci a mantenere la posizione delle anche e quella della schiena, nello stesso piano inclinato con cui siamo scesi.

Respirazione diaframmatica

Inspireremo come nella respirazione dell’Hata Yoga, senza alzare le spalle o gonfiare la cassa toracica, riempiendo la parte inferiore dei polmoni come a voler gonfiare un palloncino nell’addome, manovra che nella pratica spinge il diaframma verso il basso. Contraendo gli addominali contro la cinta risulterà una maggiore pressione intraddominale, contraendo al massimo anche i lombari e stabilizzando la colonna.

Evitiamo invece di immettere aria gonfiando la parte superiore dei polmoni dato che si gonfierebbe anche la cassa toracica, e utilizzando la cintura si creerà uno spazio tra essa ed il corpo con perdita di stabilità.

Iniziamo il movimento di sitting back

Per effettuare il “sitting back”, sposteremo indietro il bacino mettendo in tensione i femorali come a volerli caricare, proprio per una questione di bilanciamento, la schiena si sposterà in avanti. Manterremo per tutta l’esecuzione questo piano inclinato in avanti, col bilanciere che risulta idealmente in una linea allineata col ginocchio o di poco più arretrata. A chi mastica poco di powerlifting, l’esecuzione del box squat può apparire una via di mezzo tra un good morning e uno squat. Ma ad una attenta analisi, risulta evidente la differente dinamica tra i due esercizi.

La differenza sostanziale è che nel B.S. la schiena ha un minor angolo di inclinazione e sorregge il carico non lo spinge come fa nel good morning. La discesa in giù, avviene solo dopo aver raggiunto la massima estensione dei femorali, ricercando una seduta in diagonale. Estendendo indietro i femorali impediremo alle ginocchia di muovere in avanti. Muovendo i glutei indietro verso il box, ci concentreremo sulla direzione delle anche, e senza muovere le ginocchia in avanti impediremo l’intervento dei quadricipiti, eseguendo un perfetto movimento di sitting back. Riepilogando: s’inizia spostando il bacino indietro, mai piegando le ginocchia, ricercando il massimo caricamento di femorali e glutei. Col bilanciere sulle spalle in posizione eretta e contratta di quadricipiti, lombari, glutei e addome si ricerca il piano inclinato della schiena caricando la catena cinetica posteriore. Solo dopo aver raggiunto la massima estensione dei femorali, si piegheranno indietro le ginocchia.

Le ginocchia sono il nostro timone, i femorali delle molle: spingere le ginocchia all’esterno, ci consentirà di stabilizzare l’anca e avere un assetto compatto determinando la direzione in cui dovremo sprigionare la nostra forza.

Posizione dei piedi e apertura delle gambe (stance)

Assume un ruolo fondamentale in questo tipo di esecuzione. Atleti con una buona mobilità dell’anca riusciranno ad adottare degli stance anche molto accentuati (wide / ultrawide).

Il vantaggio di questo tipo di assetto è sicuramente quello di ridurre il ROM (range of movement) dell’esecuzione, lo svantaggio invece è rappresentato dalla difficoltà di raggiungere la posizione di accosciata completa oltre i 90°. La scelta dello stance quindi è del tutto soggettiva e dipende dalla conformazione fisica dell’atleta. La si può determinare solo con dei tentativi. La spinta infuori della anche può in ogni caso essere insegnata ed allenata. E’ chiaro che maggiore sarà lo stance adottato, maggiore sarà la tentazione di chiudere le ginocchia verso l’interno per cercare di attivare i quadricipiti in fase di spinta. Non dobbiamo per nessun motivo cadere in questo tranello. Sentire la spinta dei piedi contro il terreno e puntare le ginocchia sempre all’esterno mantenendo il piano inclinato della schiena, ci pone nella corretta posizione per muovere alti carichi. Durante la fase di discesa, dovremmo avere la sensazione che i nostri femorali si stiano caricando come delle molle, pronti a restituirci tutta la potenza necessaria per risalire in velocità nella fase concentrica. Avere a mente questo tipo di situazione, cioè una molla che si carica, ci aiuta a visualizzare meglio quello che fisiologicamente succede all’interno delle nostre gambe.

In fase di accosciata, la contrazione è massima e tutti i muscoli sono in tensione; la nostra accosciata oltre il parallelo li carica appunto come una molla, pronti a restituirci indietro la massima potenza.  

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