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Processo Cpl, Pinto: «Così la Coopgas mi boicottava»

È continuato ieri mattina l’esame dei testimoni indicati dal pubblico ministero nel processo per le presunte tangenti nell’ambito della metanizzazione sull’isola d’Ischia. Avrebbe dovuto testimoniare  anche  la sorella di Giosi Ferrandino, Anna, più volte citata dalla Procura che però tramite l’avvocato Furgiuele ha fatto pervenire un documento per motivare l’assenza in aula. Presenti invece Nicola Verrini, Francesco Simone e Maurizio Rinaldi, imputati nel ramo modenese dell’inchiesta e chiamati a testimoniare dal sostituto procuratore Celeste Carrano. Ma i tre dirigenti della Cpl Concordia hanno preferito  avvalersi della facoltà di non rispondere  loro  riconosciuta dall’articolo 210 del codice  di procedura. A salire per primo sul banco  dei testimoni è stato così l’imprenditore ischitano Antonio Pinto, il quale nel progressivo dipanarsi delle  domande del pubblico ministero ha illustrato la sua carriera e l’attuale ruolo ricoperto nella ditta  Ambrosino, che si occupa di trasporti e vendita di prodotti petroliferi. La dottoressa Carrano ha voluto scandagliare i vari aspetti del rapporto tra la ditta di Pinto, la Cpl Concordia e l’amministrazione comunale dell’epoca, in particolare ovviamente con l’allora sindaco di Ischia Giosi Ferrandino e l’ex responsabile  dell’Ufficio tecnico, l’architetto Silvano Arcamone, anche  ieri entrambi presenti in aula.

TENSIONI PINTO-CPL. Antonio Pinto ha spiegato che quando fu iniziata la costruzione della condotta  di gas destinata a servire l’isola, la sua ditta fece istanza per la vendita di gas metano. I ruoli erano ben definiti: la  Cpl come società distributrice, la Ambrosino invece come ditta venditrice sul territorio. Ma esisteva un elemento perturbatore: la Cpl a Ischia aveva  una ditta collaterale che vendeva anch’essa il gas ai clienti finali, la Coopgas, che così entrava in diretta concorrenza con la società di Pinto. I rapporti divennero piuttosto tesi, anche per una serie di ragioni che il teste ha poi sviscerato. Infatti, gli allacci alla rete del gas devono sottostare a una serie di norme, che richiedono tempi tecnici incomprimibili. Eppure, ha dichiarato Antonio Pinto, mentre i clienti della Ambrosino per un allaccio dovevano attendere anche mesi, i clienti della Coopgas riuscivano a vedersi ultimato il servizio in tempi nettamente minori, ovviamente con grande danno per la competitività sul mercato della ditta guidata da Pinto. In alcuni casi le richieste  arrivavano da clienti di zone in cui  la rete metanifera non era  ancora  stata realizzata. Laddove c’era la rete, ha continuato Pinto, gli allacci da parte della Cpl venivano fatti nei termini massimi consentiti, mentre per la Coopgas le operazioni erano molto più veloci. Laddove non c’era la rete, c’era bisogno di chiedere l’autorizzazione per l’estensione della stessa. La ditta ischitana attribuiva dunque alla Cpl Concordia i ritardi che colpivano le operazioni di allaccio.

I RAPPORTI CON L’AMMINISTRAZIONE. Nessun problema invece nei rapporti con l’amministrazione, che tramite l’ufficio tecnico e il dirigente Silvano Arcamone, garantiva che non c’era alcuna pregiudiziale verso le richieste della Ambrosino, purché fossero presentate. Con ciò facendo intendere che talvolta tali richieste non venivano sollecitamente presentate dalla Cpl Concordia. Nella seconda parte della deposizione il p.m. Carrano si è concentrata su un paio di riunioni tra i dirigenti Cpl e l’amministrazione ischitana. Nella prima venne trattato il problema del rispetto del regolamento emesso nel 2005 dall’amministrazione Brandi, in relazione agli alloggi dei contatori del gas. La Cpl non aveva inizialmente rispettato il regolamento, ma l’intervento dell’ufficio tecnico, che ricorse ad apposite cassette di rame a ridotto impatto ambientale, risolse tempestivamente il problema. Il Pm insisteva nel voler sapere se in questi incontri c’era l’ingegner Lancia e il sindaco Ferrandino. In un’altra riunione, caldeggiata dal sindaco, si parlò dell’installazione di un distributore di gas per autotrazione. Il sindaco, ha spiegato Pinto, aveva interesse che sul territorio vi fosse un impianto di rifornimento a basso impatto, vista la recente  metanizzazione dell’isola. Durante l’incontro, a cui parteciparono anche Verrini, Lancia e Polizio, si parlò in particolare della possibilità di realizzare due impianti, uno nella proprietà privata di Antonio Pinto, e uno nell’autoparco dell’Eav Bus. La Cpl – ha specificato Pinto – era presente in quanto detentrice del know how necessario all’installazione, ma il preventivo di 260mila euro ci fece desistere». La dottoressa Carrano ha poi indirizzato una serie di domande al teste circa i suoi rapporti con Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone: «Personalmente ho sempre avuto stima di loro – ha aggiunto l’imprenditore – ma non posso dire che fossero rapporti di amicizia visto che nel privato non ci frequentiamo», spiegando di aver fatto parte fino al 2012 della stessa compagine politica, prima di uscire dalla maggioranza e passare all’opposizione. Il Pm ha poi cercato di capire in quale forma l’azienda di Pinto si lamentasse con l’amministrazione circa la “concorrenza sleale” della Cpl nella vendita del gas. Il teste ha spiegato che il geometra Monti si recava all’ufficio tecnico per esporre tali doglianze, ottenendo sempre massima collaborazione dall’architetto Arcamone e dagli altri componenti dell’ufficio. Doglianze dovute al fatto che la Cpl non effettuava le necessarie richieste al comune per gli allacci alla rete secondaria che dovevano servire i clienti della ditta Ambrosino.

GIOSI E LA CPL. Concluso l’esame di Antonio Pinto, è toccato a Giovanni Di Tella deporre dinanzi il Tribunale. Di Tella è titolare di una ditta che ha lavorato in subappalto per la Cpl durante i lavori di metanizzazione, a partire dal febbraio 2006, oltre ad essere stato coinvolto in un processo connesso, riguardante la metanizzazione dell’agro aversano e conclusosi con un patteggiamento. L’accusa ha subito focalizzato l’escussione sui rapporti tra la famiglia Ferrandino e i dirigenti della Cpl. «So che i rapporti erano tali che il fratello del sindaco andava a pesca col presidente della Cpl», ha detto Di Tella confermando le sommarie informazioni rese il 30 marzo 2015. Il pubblico ministero  ha poi chiesto conferma della voce, che Di Tella ha sostenuto arrivare da alcuni dipendenti Cpl, secondo cui i rapporti inizialmente freddi tra Giosi Ferrandino e la Cpl si fossero improvvisamente distesi dopo la stipula della convenzione tra la cooperativa e l’hotel Le Querce per ospitare i dipendenti della società, che in alcuni casi alloggiavano invece altrove. Questa convenzione, insieme al contratto di consulenza tra il fratello del sindaco e la cooperativa, secondo le voci apprese dal teste, sarebbero state operazioni di facciata per far ottenere denaro alla famiglia Ferrandino, ma Di Tella su questo punto ha spesso glissato, non confermando tali affermazioni rese due anni fa, ma soprattutto non volendo o non sapendo chiarire se tali voci fossero soltanto considerazioni personali dei dipendenti, oppure se chi le affermava si fosse basato su circostanze ben precise. Il teste ha spiegato che esisteva la convinzione diffusa secondo cui, a causa di uno screzio tra l’ingegner Lancia della Cpl e il sindaco Ferrandino, i lavori  inizialmente incontrarono vari intoppi e rimasero fermi per oltre un anno, per poi riprendere speditamente dal  2008-2009 in poi. Stessa cosa per i pagamenti degli stati di avanzamento dei lavori, la cui puntualità lasciava a desiderare per poi diventare tempestiva dal 2008 in poi. Tuttavia il collegio difensivo di Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone, accennando al fatto che la convenzione “incriminata” fu stipulata soltanto nel 2012, cioè ben quattro anni dopo, ha fatto intendere che tali voci fossero senza fondamento concreto, vista la grande distanza temporale tra le due circostanze.

IL CASO FELIX. Un altro aspetto variamente esplorato nella deposizione ha riguardato alcuni lavori “extra”, che la ditta di Giovanni Di Tella effettuò su presunta richiesta dell’ingegner Lancia all’amministrazione, per esaudire una richiesta fatta dalla famiglia Di Meglio, proprietaria dell’albergo Felix. La richiesta era relativa alla posa di una tubatura nello stesso scavo dei lavori di metanizzazione. La tubatura avrebbe dovuto portare l’acqua termale tra una proprietà e l’altra della famiglia Di Meglio. In sostanza, l’albergo si sarebbe giovato dei lavori in corso per propri interessi. Di Tella ha affermato che tale prestazione-extra non fu mai pagata alla sua ditta. Più volte il pubblico ministero e il collegio difensivo ha cercato di capire se Di Tella ricordasse la data iniziale di tali lavori “per conto” dell’hotel Felix, ma il teste ha sempre ripetuto di non ricordarlo, fino a che, verso la fine dell’udienza, la difesa ha prodotto un documento, consistente in una certificazione con annesse ordinanze emesse dal comando della polizia municipale, che dimostrano l’inizio dei lavori nei pressi del Felix a marzo 2006, cioè quando il Comune di Ischia era retto dall’amministrazione Brandi. Un “colpo di scena” in grado di provare che Giosi Ferrandino e Silvano Arcamone non avrebbero avuto niente a che fare con l’autorizzazione a tali lavori che avrebbero “facilitato” l’hotel della famiglia Di Meglio. Il processo è stato aggiornato al 6 luglio, quando verranno esaminati proprio l’ex sindaco di Ischia e l’ex dirigente dell’Ufficio tecnico.

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