CRONACAPRIMO PIANO

Processo Diotallevi, assolta la dottoressa del Rizzoli

Il fatto non costituisce reato: con questa formula il giudice Pizzi ha sancito l’estraneità alle accuse della specialista che visitò la donna recatasi al Pronto Soccorso in preda a un forte malessere

Si è chiuso con un’assoluzione il processo per la morte di Maria Diotallevi, la 28enne che spirò il 1° dicembre 2015 all’Ospedale Rizzoli di Lacco Ameno, dove già si era presentata due giorni prima al Pronto Soccorso in preda a un malessere. Tale malessere, dopo la dimissione disposta nella serata del 29 novembre, si era poi riacuito al punto da indurre i familiari a ricorrere nuovamente alle cure del nosocomio due giorni dopo, che tuttavia non poterono impedire il tragico epilogo. Il giudice Pizzi ha dunque assolto la dottoressa Pisano dall’accusa di avere, per colpa, mancato di diagnosticare una severa broncopolmonite, avendo omesso l’esecuzione di un esame clinico e un esame radiografico del torace, e l’emogas analisi, limitandosi ai soli accertamenti dell’apparato digerente, senza valorizzare l’iportermia. Circostanze che, secondo la pubblica accusa, configuravano una condotta colposa tale da portare alla morte di Maria Diotallevi.

Il pubblico ministero aveva invocato la condanna a tre anni di reclusione per aver omesso la diagnosi di broncopolmonite e di non aver disposto alcuni esami, circostanze che avrebbero portato alla morte della donna

Il lungo dibattimento si è concluso ieri con le discussioni finali delle parti in causa. Il pubblico ministero, sulla base delle conclusioni a cui erano pervenuti i propri consulenti, ha invocato la condanna dell’imputata a ben tre anni di reclusione, mentre i legali di fiducia delle parti civili avevano chiesto anche l’ulteriore sanzione costituita dal versamento di una somma pari a centomila euro. Successivamente è toccato all’avvocato Massimo Stilla, difensore della dottoressa Pisano, enunciare le articolate argomentazioni dirette a dimostrare l’estraneità della specialista alle accuse.

Argomentazioni che sono partite dal carattere apodittico delle affermazioni dei consulenti tecnici del pubblico ministero, che secondo l’avvocato Stilla non trovano riscontro nei fatti, rivelando il carattere viziato alla radice della metodologia con cui essi sono giunti alle conclusioni. In sostanza, avendo eseguito l’accertamento ex post, cioè a seguito dell’esame autoptico, e avendo accertato la presenza della broncopolmonite, essi hanno ritenuto, in modo appunto apodittico, e in assenza di un giudizio controfattuale “ex ante”, che la paziente presentava sintomi a livello toracico, cioè “perché, c’erano già segni persistenti, il torace aveva evidenziato dei segni tipici di semeiotica” e, quindi, fosse in atto la broncopolmonite. Un accertamento che secondo la difesa sarebbe del tutto privo di riferimenti, ex ante, alla possibilità che la dottoressa Pisano potesse arrivare il 29 novembre 2015 alla formulazione della presunta diagnosi, al momento della visita, di broncopolmonite ed alla prescrizione di rimedi risolutivi, avendo gli stessi consulenti fondato le loro conclusioni, come detto, solo sugli accertamenti dell’esame autoptico. Il sintomo della febbre, se davvero come sostiene l’accusa fosse stato legato alla sepsi, avrebbe dovuto avere un andamento a sinusoide, cioè altalenante: la temperatura sarebbe salita e scesa più volte, cosa che non si è verificata nel caso in questione. Il referto del Pronto soccorso sul punto parlava chiaramente di una diminuzione della temperatura in tre ore di osservazione della paziente, senza altri sintomi ricollegabili a problemi respiratori.

L’avvocato Massimo Stilla, legale di fiducia dell’imputata, ha contestato la ricostruzione dei consulenti dell’accusa, rimarcandone il carattere apodittico e senza riscontro con i fatti emersi in dibattimento, oltre all’assenza, durante l’accesso al pronto soccorso, di sintomi al torace che potessero legare la febbre alla sepsi

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Dunque il legame tra i sintomi febbrili e la sepsi non sarebbe mai stato dimostrato dalla pubblica accusa. I valori alterati scaturiti dalle analisi del sangue, secondo la difesa, ben potevano essere associati alla gastroenterite in atto, tra l’altro diagnosticata all’esito della visita condotta dalla dottoressa Pisano e dal dottor Di Scala. Infatti la ragazza era arrivata al Pronto soccorso con dolori addominali, diarrea e nausea, ma non erano stati riscontrati dolori toracici, dunque secondo la difesa è infondato affermare, come è stato fatto, che c’erano già segni persistenti al torace, ulteriore indice rivelatore, secondo l’avvocato Stilla, dell’errata metodologia usata dai consulenti della Procura, i quali – verificata la presenza della broncopolmonite in sede autoptica – hanno dato per scontato, in assenza di nessun altro elemento, sia clinico che strumentale, che la paziente presentasse già alla visita del 29 novembre 2015 sintomi a livello toracico di una broncopolmonite in atto, mentre invece dalle dichiarazioni della teste Campitiello e del dottor Di Scala è emersa l’assenza di manifestazioni cliniche a carico degli altri organi e apparati, tra cui al torace, in base alla completa visita medica attuata, ed avendo riscontrato ciò che era evidente ed emergente solo a carico dell’apparato digerente. Il penalista ha dunque ribadito l’accertamento della severa “lipomatosi”, una patologia cardiaca, che può condurre alla cosiddetta “fibrillazione ventricolare”, innescando un coma da alterazione dell’attività cardiaca. Dunque un “coma cardiogeno”, e non un coma settico come sostenuto dall’accusa. Fra l’altro, secondo il consulente della difesa il processo settico non poteva già essere iniziato durante il giorno del primo accesso perché una patologia virale come una gastroenterite acuta oppure una polmonite virale non sarebbe stata in grado, come tempistiche, di causare una sepsi, inoltre durante l’esame autoptico non erano presenti lesioni anatomico-istologiche in determinati organi, facendo quindi propendere per l’assenza di sepsi, e quindi per uno shock cardiogeno, ma non septico. Al termine delle discussioni, dopo una breve attesa, il giudice Pizzi ha dato lettura del dispositivo dichiarando assolta la dottoressa Pisano “perché il fatto non costituisce reato”, riconoscendo implicitamente la correttezza del protocollo seguito dai medici del Pronto soccorso. Per le motivazioni bisognerà attendere.

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