CULTURA & SOCIETA'

Procida e la dura vita dell’isolano

Sono le otto e dintorni del 12 gennaio 2025; non è giorno chiaro, piove e fa freddo; l’acqua riga i vetri della finestra del mio studio; attraverso di essa vedo tutto il porto dal faro di ponente fino a capo Miseno. Di fronte Monte di Procida appare un po’ sfumata attraverso una nebbiolina opaca; non ci sono navi che transitano. Siamo isolati? Forse si. No|!No! sotto capo Miseno si vedono dei fari potenti. Li seguo con attenzione, avanzano lentamente, la nave ondeggia. il vento è forte. Passano alcuni minuti. si avvicina sempre di più; mi chiedo se va diretta per Ischia o attracca a Procida. Ho l’impressione che vada dritta. Passa qualche minuto; la nave beccheggia ancora più forte; all’improvviso vira sulla sinistra.

Si mette in direzione dell’imboccatura del porto. avanza ondeggiando. entra, inizia la manovra di accostamento alla banchina, sembra che il grecale la scarrozzi sul molo di ponente; ancora qualche minuto ed è accostata alla banchina; vien voglia di fare un applauso al comandante. Scarica quello che deve scaricare e riparte; il mare continua a scarrozzarla; esce dal porto; la vedo davanti a me sullo sfondo grigiastro del Monte; pochi attimi e scompare dietro la scogliera di ponente, verso Ischia. Mentre abbasso lo sguardo vedo un’altra nave venire da Ischia. Mi fermo a guardarla, non vira per Procida; va dritta e superba verso Napoli; Anche lei beccheggia perché prende il mare di prua. Ogni vo0lta che vedo passare una nave che non si ferma a Procida sento qualcosa che mi si torce dentro; mi sembra un’ingiustizia. Ma è così da sempre! Ero piccolo e vedevo le navi passare dritte nel canale. Rimango dietro i vetri. Di aliscafi neanche a parlarne. C’è troppo vento, anche se le onde non sono molto alte. Adesso il mare davanti la mia finestra è completamente libero; nessuna nave all’orizzonte.

Per fortuna non siamo completamente isolati. Ho avuto sempre il terrore dell’isolamento. Ricordo le nottate trascorse al letto di qualche ammalato in attesa che il tempo migliorasse per trasferirlo in terra ferma. Erano nottate di ansia dove si andava avanti a forza di caffè. Non potevi fare granché, ma rimanevi lì, accanto al letto dell’ammalato per dare forza, per dire una parola di conforto a lui ed ai parenti. Spesso fingevi alla grande, ma poi pensavi che se venivi meno crollava tutto. Quella povera gente si aspettava molto da te ed allora, quasi come a ringraziarti, giù caffè a ripetizione. E tu li bevevi perché sapevi che non erano semplici caffè, erano una sorta di bevanda degli dei che aveva tanti significati. Queste sensazioni mi ha riportato alla mente ed al cuore il tempo tempestoso di stamattina. Dio, ti ringrazio perché non siamo isolati. E ti rivolgo una preghiera: guarda con un occhio particolare gli abitanti di un’isola. Di tutte le isole…

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