Procida, occorre una bussola per una migliore convivenza civile

Di Michele Romano
PROCIDA – Le vicende giudiziarie che in questi giorni hanno investito l’isola, insieme all’acuta e documentata rappresentazione fatta, dalle colonne di questo giornale, intorno alla fenomenologia del bullismo e del cyber bullismo, purtroppo assai presente dentro il corpo adolescente e giovanile della nostra comunità, costituiscono un indicatore molto preoccupante dello stato di salute della società locale dentro i sentieri della convivenza civile, dell’onestà, della legalità, della trasparenza, della condivisione di valori che traghetta gli esseri umani fuori dal buio delle caverne della ferocia belluina, in cui si sta compressi. Tale sintomatologia, di dimensioni alquanto gravi, non consente più alla politica, alla scuola e ad altre istituzioni di rimare osservatori inerti o, addirittura, sotto certi aspetti, collusi o compiacenti. Per quanto riguarda il ceto politico, visto la deplorevole situazione in cui si trova la struttura sistemica del “modus vivendi” dell’isola, deve comprendere che è terminato il tempo di agire con compromessi e ambiguità, ignorando, coprendo, sottovalutando e chiudendosi nell’angusta rocca della propria idiota autoreferenzialità, invece sta arrivando velocemente il vento che spinge intensamente ed è ora di alzare le vele dell’Etica della responsabilità per produrre atti ed azioni tendenti a cambiare verso alla perniciosa e perversa gestione della “res publica” della nostra amata terra. Certamente non si pretende di trasferire dentro la polis micaelica il coraggio, la determinazione, l’eroismo del martire sindaco pescatore Angelo Vassallo, caduto per rendere laboriosa, fertile, gioiosa e giusta la propria Pollica Acciaroli, anch’essa baciata dal dono naturale della bellezza, ma almeno acquisire come punto di riferimento la visione di come deve essere concepito il vivere dentro un luogo dove il compagno di viaggio è il mare.
Per quanto riguarda la “carica belluina”, che sta attraversando anche il pianeta dei giovanissimi procidani, pone la scuola, principalmente quella secondaria, davanti ad un bivio non di poco conto: scivolare sempre di più verso una funzione superflua e irrilevante, esprimendo esclusivamente asettici contenitori nozionistici, oppure entrare a tutto campo in un dinamico “iter formativo”, come amava ribadire il mio maestro nonché caro zio, Don Libero “la scuola conservi il proprio ruolo creativo di educazione, attraverso la interazione tra docenti e discenti”.
Infatti, se l’oggetto dell’educazione si fossilizza nell’imbottimento, l’insegnamento diventa, come avverte Kant, una funzione simile a mettere sempre più noci in un sacco, ma inadeguato ad attrezzare un alunno a saper esprimere qualche cosa su se stessa. E’ auspicabile, pertanto, che la programmazione scolastica si orienti ad essere l’insieme di una animazione di valori e di principi educativi lasciando che i contenuti abbaino ad attingere alle fonti stesse della vita, della realtà umana. Questa riflessione vuole essere un sobrio contributo a far comprendere alla politica e alla scuola del territorio, in questo momento così critico e degradato del “vissuto sistemico” della nostra quotidianità, di uscire dal guscio del proprio “IO” ed aprirsi al mare aperto e cristallino del “NOI”, perché nei volti, negli sguardi, nelle paure, nei bisogni, nei desideri, nell’isolamento, nella solitudine delle persone si legge lo spaventoso timore di essere inghiottiti e scomparire dentro il fango melmoso e schiacciati dal dolore di chi è vinto.
Poiché credo nella speranza, è sufficiente che la politica e la scuola cessino di recitare da solisti fuori dal coro e riprendano per mano, ciascuno per il proprio ruolo, il filo conduttore del pensare e della’agire, altamente etico e fertile. D’altra parte sia ben chiaro che, attualmente, ci troviamo, metaforicamente parlando, davanti ad una devastazione e distruzione simile a quella che il Vesuvio riversò su Pompei.