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La barca vince la Festa a di Sant’Anna, il PIDA spegne le polemiche

Ischia – Continua nei bar e sul web la polemica innescata durante l’ultima edizione della festa a mare agli scogli di Sant’Anna che ha visto la vittoria della barca dell’Associazione Premio Ischia d’Architettura, per alcuni uno schiaffo alla tradizione della festa. Poco legno, tanto ferro, proiezioni che, seppure hanno garantito un effetto spettacolare, d’altro canto per molti sembrano aver annullato le tradizionali direttive date ai costruttori. E’ Giovannangelo Di Meglio che prova a spegnere la polemica con un lungo post pubblicato su social network dove spiega l’origine e lo sviluppo di quella che è stata la creazione degli architetti ischitani.

UN’APOCALISSE RISPETTO AI CANONI DELLA FESTA?

“Il miglior modo per prevedere il futuro è inventarlo.” Cosi scriveva F. Ford Coppola, genio del cinema moderno e regista di pellicole come Il padrino ed ApocalypseNow. Ed in realtà, l’edizione che si è appena conclusa dell’86ma festa a mare agli scogli di S. Anna da qualcuno è stata interpretata come una vera e propria apocalisse rispetto ai canoni “tradizionali” della festa, ovvero del concetto di barca allegorica. Merito per i più e colpa per chi è arrivato secondo è stata l’idea rivoluzionaria di barca portata in scena per la prima volta dagli architetti dell’Associazione PIDA, Premio Internazionale Ischia di Architettura. Un’avventura iniziata due mesi fa quando decidemmo di accettare la sfida del direttore artistico della festa, Cenzino Di Meglio, il quale, in un una riunione preliminare con chi fosse interessato a partecipare disse: “quest’anno dovete regalare al pubblico barche spettacolari, dovete metterci cuore, passione e inventiva, perché la Festa di Sant’Anna è da sempre innovazione e originalità”. Da quel giorno queste parole iniziarono a scolpire l’idea di barca che man mano prese forma cercando di rispondere al meglio il tema che a sorteggio ci fu assegnato, ovvero raccontare la Napoli tra gli anni ‘70 e ’90, quella dei miti come Pino Daniele, Massimo Troisi e Diego Armando Maradona.

LA NAPOLI DEGLI ANNI ’70 E ’90: TRA SIMBOLI E CONTEMPORANEITA’ IL LUNGO APPLAUSO DELLA BAIA

Analizzando quel periodo emergeva forte e chiaro il sentimento di riscatto, la voglia di evadere dai cliché sociali e culturali che ingabbiavano Napoli a “na carta sporc e niscuno se ne importa”. Senso che in quegli anni fu in parte appagato dalla vittoria dello scudetto, dai film di Troisi e dalle canzoni di Daniele. Ma la barca viene costruita oggi, nei nostri tempi, e come si fa a negarle la possibilità di lanciare un messaggio utile alla società in cui viviamo, sarebbe una grande occasione persa. Ed ecco che da quelle gabbie si vogliono liberare altri preconcetti, quelli legati a chi non perdona un carcerato e lo condanna a vita anche se ha espiato la sua pena o magari non aveva colpe; quelli legati a chi ha un colore diverso dal tuo o che venga da un paese meno ricco e fortunato del tuo, a chi pensa che le gabbie psicologiche in cui ci intrappoliamo siano una malattia incurabile, a chi vuole bene a qualcuno del suo stesso sesso, a chi pensa che la donna sia solo un oggetto del piacere ed un essere inferiore.Questa voglia di riscatto e libertà dai preconcetti si trasformano in una gabbia che nel suo mutarsi usa il sentimento e l’amore per aprirsi e affrancare agendo le armi della bellezza, della sorpresa, della musica e del cinema, arrivando al cuore attraverso la vista e l’udito.Una macchina scenica SEMPLICEMENTE COMPLESSA che a guardarla spenta risultava banale e quasi senza senso, ma che nascondeva nella sua semplicità geometrica sorprese e magie che le hanno permesso di conquistarsi non solo il primo premio della giuria presieduta da SylvainBellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, ma anche quello della giuria popolare intitolato al giornalista Domenico Di Meglio, che con il fragoroso e lungo applauso accompagnato della sirene delle imbarcazioni l’hanno conclamata vincitrice nel cuore degli spettatori, quello per la barca più innovativa intitolato ad Andrea Di Massa ed infine il premio Nerone per la barca che rievoca meglio le più antiche tradizioni. Un poker che fino ad oggi non si era mai realizzato.

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LA GENESI DI “LIBERAMARE”

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“Finalmente una barca che si vedeva bene dall’inizio alla fine su tutti i lati e non dovevi aspettare che ruotasse verso di te e ti passasse vicino per capirla, bravi!” E’ uno dei commenti che aiutano a capire il perché di una scenografia sviluppata intorno ad un cerchio. Aspetto che se da un lato semplificava ed aiutava, dall’altro ci obbligava a farle cambiare più volte coreografia e messaggio nei suoi venti minuti di evoluzione. Normalmente sfilano barche che hanno un lato predominante dove avviene la scena principale che nel suo percorso man mano si ripete più volte presentandosi agli spettatori che nel periplo della baia l’aspettano. Nel nostro caso la scelta di una forma semplice ha reso più complessa la soddisfazione dell’attesa. Il silenzio è una condizione ambientale che con migliaia di persone è difficile aspettarselo, eppure era li, magicamente ad accompagnarci, figlio della concentrazione e dell’attesa, misura della magia che dalla barca leggevamo negli occhi di chi ci osservava, interrotto a gratificarci solo dagli applausi e dalla felicità che ad ogni cambio di scena ci veniva donata. L’energia che si respirava al centro della scena era indescrivibile…

L’IDEA RAPPRESENTATA AL CENTRO DELLA BAIA

In sequenza cronologica le scene che si sono alternate hanno visto aprire le danze alla band di Emanuele Belloni, cantautore che, sulle proiezioni di un racconto disegnato ad hoc da Camilla Watkins, figlia d’arte di Matthew, porta sul palco un suo pezzo dal titolo Solo cose più buone, la storia di un portantino che lavora nelle carceri di Rebibbia. Il corridoio percorso dal portantino è un viaggio verso il percorso rieducativo che ciascun carcere deve garantire ai suoi detenuti. La detenzione non è la colpa, neppure la pena ma una fase di riflessione che ciascun carcerato affronta come un romantico eroe. La libertà è la presa di coscienza che passa attraverso ciascuno: per il detenuto è commisurata all’entità della colpa e per la società acquisisce il senso di responsabilità che la definisce società civile.A seguire la scena in cui vengono proiettate alcune immagini icone di quegli anni che contestualizzano il periodo e raccontano attraverso il parlato la storia del periodo assegnato dal tema. Periodo del quale, subito dopo, vengono proiettate ritagli di perle della cinematografia di Troisi quali Ricomincio da tre , alternati a video di Pino Daniele e Maradona. Sono passati pochi minuti e sul video di Je so pazz si spengono i proiettori che lasciano il posto alle sagome dei figuranti con un semplice gioco di luci ed ombre giganti manifestano la loro pazzia ed irrequietezza che alla fine sfocia nel rompere la gabbia e far cadere il telo che li separa dalla libertà. Sugli spalti vengono lanciati dei palloni giganti illuminati che fanno giocare e tornare bambini gli spettatori agendo attraverso il gioco il senso di libertà e spensieratezza che si vuole trasmettere. La canzone viene continuata “dal vivo” dalla voce di Sara Sileo che, accompagnata dalla chitarra di Belloni, dai fiati di Alessandro Papotto e dalle percussioni di Massimo Ventricini, intonano un medley di Yes i knowmy way e a me m piac o blues. E mentre i musicisti suonano Pino vengono messi in scena spezzoni di quella Napoli, il sangue di San Gennaro che non si scioglie, il terremoto, Maradona che palleggia, i contrabbandieri che smerciano sigarette, il postino di Troisi che con la sua bicicletta gira in tondo, gli scugnizzi che giocano e le comare che civettano riempiono la zattera di teatralità.Nella sesta scena scatta la sorpresa più grande, il concetto di libertà prende la forma di quattro acrobate, due su cerchi (Raffaela Gianfrano e Mariagrazia Manzo) e due su tessuti (Claudia Salomone e Gigliola Acunto) che sui relativi quattro bracci che intanto si sono aperti sulla cupola, si librano in volo volteggiando ed incantando la baia mentre la band suona Sentimento degli Aviontravel. E’ il momento clou dell’esibizione in cui tutta la pesantezza della vita lascia il passo alla leggerezza dell’essere liberi. La settima scena racconta invece il sentimento dell’amore e sulle note di Qualcosa arriverà le comparse iniziano ad abbracciarsi, ballare e baciarsi. Libertà ed all’amore sono i sentimenti di cui l’essere umano sente più il bisogno. L’ottava ed ultima scena è affidata alla spensieratezza, effetto del benessere dato dall’amore e dalla liberta. Ed è qui che sulle note di Figli delle stelle tutti i presenti sulla barca, ballando, terminano la loro performance tra gli applausi e le sirene delle barche, con la consapevolezza e soddisfazione di essere riusciti a ricevere e donare emozioni…

RINGRAZIO MIO PADRE E MIO NONNO: 30 ANNI FA COSTRUIVANO BARCHE

Sono stati giorni in cui chi scrive si è sentito alla punta di un iceberg fatto di persone meravigliosamente volenterose e tenacemente visionarie, a tutti loro va la mia stima, il mio ringraziamento ed abbraccio. Dedico questo risultato a mia madre Lucia ed ad alcune persone a me care che non sono più qui, l’adorata zia Anna e mio padre Luigi che insieme ai fratelli ed a mio nonno Federico ormai trenta e più anni fa realizzavano anche loro barche con le quali alcune volte vincevano per la qualità artistica messa in campo.Ringrazio l’amministrazione Comunale che ha realizzato un’edizione bellissima per tanti aspetti e che attraverso le capacità di persone come Luigi Di vaia, Cenzino Di Meglio, Dario della Vecchia e tanti altri ci ha dato la possibilità di esprimere le nostre idee sulla festa, fuori dalle gabbie e dai preconcetti.Concludo con un una frase di Oscar Wilde che forse racchiude meglio di altre il risultato di questa edizione della festa, “La tradizione è un’innovazione ben riuscita”3

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