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Chi mangia “distrugge” il pianeta, la conversazione su cibo e inquinamento all’Antoniana

A organizzare l’evento al quale hanno preso parte diverse classi dell’Istituto Telese la Condotta Slow Food di Ischia e Procida con l’agronomo Francesco Sottile

Può il cibo essere causa dell’inquinamento? E’ a questa domanda e a molte altre ancora che la condotta Slow Food di Ischia e Procida ha tentato di rispondere con la conversazione tenutasi sabato mattina alla Bilioteca Antoniana. “Il cibo: tra biodiversità e crisi climatica, tra piacere e difesa dell’ambiente”. Questo il titolo dell’incontro che ha visto ai microfoni di Riccardo d’Ambra e gli agronomi Silvia d’Ambra e Francesco Sottile membro, quest’ultimo, del comitato nazionale Slow Food Italia. In oltre agli studenti – superstiti dell’agrario, due classi del Telese dell’indirizzo Turistico e diversi appassionati al tema. Seduti in prima fila anche il direttore dell’Area Marina Protetta “Regno di Nettuno” Antonino Miccio e il Comandante del Porto Andrea Meloni.

A portare il suo saluto la direttrice dell’Antoniana, la dott.ssa Lucia Annicelli che ha sottolineato l’impegno della Biblioteca in costante sinergia con realtà forti del nostro territorio. «Il mio benvenuto – ha dichiarato Riccardo D’Ambra – va soprattutto ai ragazzi: la loro presenza significa che c’è futuro. Questa mattina non cerchiamo colpevoli anche se ci sono, non accusiamo nessuno; sono incontri di indagine per capire quanto il cambiamento climatico sia considerato un pericolo. Come slow food ci siamo sentiti in dovere di scendere in campo per carpire cosa sta succedendo». Quanto la spesa quotidiana incide sul clima e quanto è importante la difesa della biodiversità? E’ intorno alla risposta a questa domanda che si è sviluppato l’intervento dell’agronomo Francesco Sottile. «Non daremo informazioni ad alto contenuto scientifico, – ha sottolineato Sottile – ma guarderemo ciò che sta accadendo intorno a noi e cercheremo di capire come possiamo ottenere un mondo migliore facendo ognuno la sua parte. Dobbiamo fare in modo che i giovani evitino di pensare che per loro non c’è futuro».

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Nelle immagini proiettate dall’agronomo è chiaro che l’antico adagio “non esistono più le mezze stagioni” è ormai una consuetudine per le nuove generazioni. «E’ da diverso tempo che si discute dei cambiamenti climatici. Dal protocollo di Kyoto (1997) a Greta Thumberg si attende una risposta che, fino ad ora, è stata solo annunciata. Greta ha avuto la capacità di animare la discussione. Un presidente degli Stati Uniti che sente la necessità di rispondere a una ragazza di 16anni significa che ha determinato qualcosa nelle scelte dei suoi coetanei e non solo. C’è anche chi si è offeso perché è stata una ragazza a svegliare le coscienze, fatto sta che c’è una grandissima preoccupazione per il futuro. C’è anche chi ha provato a sminuire questa ondata di ragionamento, ma i giovani scendono in piazza e urlano una preoccupazione per il futuro». Ciò che sta avvenendo nel mondo negli ultimi tempi è qualcosa di mai visto prima e urge il confronto. Basta pensare alle ultime estati, dichiarate dai meteorologi tra le più calde degli ultimi tempi, o ai danni provocati dalle piogge torrenziali.

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Tuttavia, ognuno può fare la sua parte per limitare i danni. «Se tutta la popolazione del mondo vivesse come noi italiani avremmo bisogno di 2,7 pianeti. Se tutto il mondo vivesse come in Qatar avremmo 40 giorni per vivere in modo sostenibile». Ai ragazzi si è parlato dell’ Earth Overshoot Day, ovvero il giorno in cui l’umanità ha completamente esaurito le risorse a disposizione per l’intero anno. Per il 2019 è caduto lo scorso 29 luglio, tre giorni prima rispetto al 2018, segnando quindi un nuovo record, e quasi due mesi e mezzo dopo rispetto alla sola Italia, che dal 15 maggio ha già consumato tutto. A dirlo è stato il Global Footprint Network, un’organizzazione di ricerca internazionale che monitora l’impronta ecologica dell’uomo, segnalando la data in cui il consumo delle risorse che offre la natura eccede ciò che gli ecosistemi della Terra sono in grado di riprodurre per quell’anno. Da questo giorno, gli uomini cominciano a consumare più di quello che il pianeta in grado di riformare, bruciando le risorse per il futuro. Secondo i calcoli, quindi, il giorno di Earth Overshoot indica che l’umanità sta utilizzando le risorse della natura 1,75 volte più velocemente di quanto gli ecosistemi del nostro stesso pianeta possano rigenerare. Ciò significa verosimilmente che, in media, tutto il mondo ha consumato nel 2019 le risorse di 1,75 pianeti.

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«Il problema dello spreco o dell’ uso insostenibile delle risorse naturali – ha continuato Sottile – deve essere visto senza confini politici. Il cambiamento climatico coinvolge tutti anche chi contribuisce poco a questo cambiamento climatico. Ischia potrebbe diventare l’ isola più sostenibile del mondo, ma non è detto che non patisca le conseguenze». Tra i vari esempi viene riportato quello del Lago di Bracciano che nel 2018 ha raggiunto livelli che non si vedevano da circa 70 anni. In zone limitrofe si è avuto, invece, il problema opposto: le forti piogge hanno portato a diverse inondazioni. «In Africa – ha detto ancora Sottile – c’è una risi idrica di cui nessuno parla; stanno ricorrendo a riserve che prima non venivano utilizzate. Cape Town è senza acqua dalla fine della scorsa primavera, un problema di risorsa idrica per l’intera società civile. Poi, però, in pieno deserto è stato costruito un campo da golf che nasce attraverso l’uso di risorse idriche». Secondo gli esperti il 25 % della emissione di gas serra viene dall’ agricoltura. Per quest’ultima s’intende tutta la catena: da ciò che viene prodotto per fare agricoltura fino ad arrivare ai trasporti.

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La Cina, ad esempio, produce molto del suo riso in Africa, avendo acquisito le terre senza imposizioni, alcuna su come dover lasciare quelle stesse terre tra 50 anni. «Tutto si misura in emissione di Anidride Carbonica. Ad esempio, un individuo che si nutre seguendo la dieta nordamericana ha, ogni giorno un’impronta ecologica di 26,6 metri quadrati e immette nell’atmosfera circa 5,4 Kg di Co2. Un individuo che si nutre seguendo la dieta mediterranea ha, ogni giorno, un’impronta eologica di 12,3 m quadrati e immette nell’atmosfera circa 2,2 Kg di anidride carbonica». Dunque, non è tutta l’agricoltura a inquinare, ma è l’agricoltura legata alla produzione intensiva, che usa pesticidi, fitofarmaci che sta deforestando l’Amazzonia o il Borneo per l’impianto alla produzione di olio di palma. Un’ agricoltura di tempo intensiva in cui si tende allo sfruttamento di ogni metro quadro di suolo per monoculture. «Da studente – ha concluso Sottile – i suoli si desertificavano per mancanza di acqua, oggi avviene per mancanza di biodiversità. Cosa possiamo fare per evitarlo? Praticando agroecologia, ossia applicando dei principi ecologici alla produzione di alimenti, carburante, fibre e farmaci nonché alla gestione di agrosistemi. Un modello che noi come Slow Food sosteniamo». I ragazzi del Telese hanno prodotto e proiettato un video per testimoniare di essere davvero sensibili al tema: da parte delle loro insegnanti è già partito l’invito a non usare più plastica monouso, una delle best pratices per tentare di avere un mondo migliore. «E noi a Ischia? Siamo indietro! Facile dare la colpa alla politica, – ha concluso Silvia D’Ambra – ma la verità è che c’è anche poca sensibilità comunitaria. L’agricoltura non presenta solo una visione romantica, ma anche un futuro economico. Dobbiamo spingere verso la consapevolezza che l’agricoltura non si inventa.

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Può essere anche turismo, ma si deve fare con coscienza. Purtroppo mancano strumenti a livello collettivo isolano. Personalmente ho un senso di colpa soprattutto nei confronti di chi si è iscritto all’indirizzo agrario. Sono rimasti in 9 e, in cinque anni, non si sono trovati altri iscritti per formare altre classi. È una battaglia che abbiamo perso, ma la guerra è ancora in atto». Cambio tema e location per il pomeriggio. La condotta si è infatti riunita a Villa Maria dove si è tenuto un laboratorio sull’olio di palma. Per la prima volta in tutta Italia, direttamente dalla Guinea Bissau e in esclusiva per la condotta ischitana, un assaggio dell’olio di palma selvatico presidio Slow Food! Le palme da olio (Elaeis guineensis) sono nate migliaia di anni fa nelle foreste dell’Africa occidentale. In Guinea Bissau, ancora oggi, esistono numerosissime palme selvatiche. Le comunità raccolgono i grandi grappoli di bacche rosse e le trasformano artigianalmente, ottenendo un olio denso e aranciato, che profuma di pomodoro, frutta, spezie. Un olio buono e nutritivo, grazie alla presenza di carotenoidi e vitamina E. La raccolta è compito degli uomini mentre alle donne è affidata la trasformazione, lunga e laboriosa. Le tecniche sono leggermente diverse, a seconda della zona e delle tribù (come i Balanta e i Manjaca), ma alcuni passaggi sono fondamentali per la qualità finale.

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