CULTURA & SOCIETA'

Quando i “pendolari” del passato prima di partire per Napoli chiedevano ai pescatori se era consigliabile “avventurarsi”

Nella vita, però, ci sono sempre degli imprevisti e non di rado è capitato ai pescatori dopo aver spinto al largo le loro barche con un tempo discreto, nelle more della pesca sono stati sorpresi da improvvisa tempesta o dalla minaccia del vortice, che in gergo è detto “ ‘a code ‘e zefere”.

Anche in queste poche note che buttiamo giù, nella nostra solita rubrica, lo storico ed archivista Don Camillo D’Ambra ci dà una mano preziosa. I pescatori isolani passati, secondo il racconto di Don Camillo, erano esperti meteorologi, non perché avessero studiato questa branca delle scienze (la maggior parte, infatti era addirittura analfabeta), ma per il fine intuito che possedevano, radicato sulla loro diuturna esperienza. Essi osservavano il mare dalla spiaggia e ne controllavano le metamorfosi con lo stesso occhio clinico del medico esperto che t’imbrocca la malattia senza misurare la pressione, tastare il polso o ascoltare i battiti cardiaci bastandogli uno sguardo alla cera del paziente e l’immediata percezione dell’odore del suo alito. Per questo in passato, quando, i mezzi di comunicazione con la terraferma lasciavano ben a desiderare, quelli che s’apprestavano a recarsi a Napoli in giorni in cui le condizioni meteorologiche apparivano precarie, si consultavano con i pescatori per accertarsi se era prudente o no imbarcarsi. E’ vero che ci sono stati sempre dei temerari che son partiti anche col mare forza sette: può andar bene se si è fortunati, ma…se è pericoloso scherzare col fuoco, non lo è da meno scherzare col mare. Nella vita, però, ci sono sempre degli imprevisti e non di rado è capitato ai pescatori dopo aver spinto al largo le loro barche con un tempo discreto, nelle more della pesca sono stati sorpresi da improvvisa tempesta o dalla minaccia del vortice, che in gergo è detto “ ‘a code ‘e zefere”. In tali frangenti se la son vista veramente brutta se si son trovati in mare aperto; trovandosi a poca distanza dalla costa si sono affrettati a remare con lena per raggiungere il porto e se i calcoli delle distanze non lo consentivano, essi che conoscevano le frastagliatissime coste isolane meglio che le tasche dei loro pantaloni, hanno trovato riparo nella prima caletta o nel più vicino anfratto, aspettando pazientemente il calar del vento ed il rabbonirsi delle onde per riprendere la traversata, memori del proverbio: “ntiemp ‘e tempeste ogne pertuse è puote” . Altre prerogative simpatiche nei nostri pescatori erano la loro religiosità, la loro generosità e la solidarietà con le altre categorie dei lavoratori. L’isola d’Ischia ha avuto a che fare anche col fenomeno naturale del bradisismo che non è affatto scomparso. In realtà si tratta dell’isola che si abbassa già da tempi molto remoti, allorquando il mare specie nella zona di Cartaromana ingoiò tante strutture, invase terreni, trascinò via case e assottigliò di molto la costa. Ne fanno ancora oggi testimonianza i cosiddetti scogli di S.Anna che non erano affatto scogli, ma parte integrante dell’isola e diventarono scogli quando il mare si infranse contro la loro mole granitica, dopo aver trascinato via la terra friabile che li circondava. A differenza dei faraglioni di Capri, che sono naturali, questi nostri scogli restano a testimoniare quell’antico violento bradisismo.

E quello che è avvenuto in questa plaga dell’isola si è verificato attraverso i secoli in tutto il suo circuito. L’isola si va assottigliando sempre di più. E’ impressionante paragonare le antiche carte topografiche con le attuali. Una pleiade di scogli che un tempo affioravano sono del tutto scomparsi. Il mare è l’invasore più temibile ed inesorabile

michelelubrano@yahoo.it

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