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QUELLA DEL CIBO E’ LA STORIA DELL’UOMO

Angelo Roja

Il cibo, da bisogno fondamentale dell’uomo – per sopravvivere dobbiamo mangiare – assume significati diversi, diventa un simbolo, un feticcio che, pur nella nostra era tecnologica rappresenta valori cerimoniali extra-nutritivi. Quando si soffre di un disturbo collegato all’alimentazione, è il cibo che controlla la persona. Ritengo che tutto quello che ci sia, c’è stato o ci sarà da dire sul cibo, sia stato già scritto, raccontato, detto e ribadito. Non penso che la mia opinione possa contribuire alcunché alla causa delle persone che, in qualche modo, leggendo questo pezzo attendono la “rivelazione” per le loro problematiche fisiche o psichiche sul cibo. Con la consapevolezza che, già in partenza, il più sia già stato detto. La conferma d’altronde, mi viene dal contatto puro e fisico con la realtà: tutti ormai sanno cos’è un carboidrato, a cosa serve una proteina, la giusta funzione dei grassi, e poi, lo dice il dr Google, la TV e le riviste.

L’EVOLUZIONE DELL’UOMO

Il cibo ha essenzialmente una funzione energetica, ed è quindi fondamentale per far funzionare e rinnovare la macchina corpo, ma possiede inoltre, un aspetto più emozionale, legato a valori simbolici profondi. L’uomo primitivo, essenzialmente un raccoglitore e cacciatore, considerava il cibo, un mezzo di sopravvivenza, di nutrimento e, inizialmente, particolari importanti come la cottura e l’uso dei condimenti – che daranno poi vita all’arte della preparazione dei cibi – erano usati solamente per rendere più digeribile e quindi assimilabile la natura delle fibre della carne cacciata o delle carogne abbandonate dai grandi predatori. S’inizia a parlare di gastronomia, quando il cibo inizia a esser manipolato, trasformato, cucinato con l’ausilio delle prime rudimentali pentole mediante la modificazione delle molecole che lo compongono attraverso le alte temperature. L’uomo, migliorando le sue abitudini di vita – nutrizionali e igieniche – iniziò ad incontrare le prime difficoltà di rifornimento del cibo per l’aumento del numero delle persone da sfamare e l’iniziale scarsità delle prede. Cominciò a dedicarsi allo sfruttamento della terra e delle sue risorse: la nascita dell’agricoltura. Ricavando dalla terra alimenti importanti come gli ortaggi o il frumento, l’alimentazione diventa senz’altro più varia e ricca d’importanti elementi nutritivi che forniranno gusto e qualità alla dieta. L’uomo finì di vagare per il mondo alla ricerca di nuovi territori di caccia, abbandonò il nomadismo, nacquero le comunità agricole, iniziò ad allevare animali gettando così le basi del nostro lungo cammino verso la cosiddetta civiltà moderna.

Greci, Romani, Medioevo, Rinascimento e piatti cibernetici

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Dopo migliaia di anni di antri cavernosi e alimentazione occasionale, la nostra dieta subì delle variazioni importanti: ridotto apporto proteico con spettro aminoacidico incompleto perché proveniente anche da protidi vegetali. Aumento degli zuccheri, soprattutto dagli amidi e dai carboidrati semplici della frutta. Apporto lipidico aumentato anche a causa dell’allevamento degli animali, che non essendo più selvatici aumentava la loro percentuale di grasso. In Mesopotamia e nell’antica Roma dapprima il pane era ricavato dal farro e solo in seguito fu realizzato con la farina di frumento. Si raccoglievano i semi e si realizzavano delle pastelle che erano poi cotte su pietre roventi, un pane rudimentale, ben diverso da quello che conosciamo oggi e in realtà lo scarso benessere economico, costringeva a mangiarne molto di più rispetto ai giorni nostri. Per questo motivo il cibo cosiddetto nobile, le proteine, era definito companatico: ovvero, qualcosa “che accompagnava il pane”. Secoli dopo, con il Medioevo, la forte caduta sociale e culturale contagia anche il cibo e la gastronomia. Le diversità a tavola nel Medioevo sono ben note e, mentre i ricchi avevano vivande a dismisura, i pezzenti pativano una fame perpetua. Persino il vino era marcatamente classista: era il “Nobile” per i potenti, e un immondo liquame allungato d’acqua, aceto e d’altre schifezze per i poveracci. Con il Rinascimento, il cibo oltre ad arricchirsi con nuovi prodotti agricoli provenienti dalle Americhe, inizia a divenire diffuso e stigmatizzato status symbol. Per i privilegiati il cibo era mezzo per vantare una potenza commerciale, economica e politica – la pancia si ostenta e simboleggia potere – Il cibo ora è raffinata ricerca, spesso auto celebrativa, bisogna compiacere non solo il gusto ma anche altri aspetti spesso celati e soggettivi, talvolta effimeri. Oggi, ad esempio, dilaga la cucina molecolare e i consumatori chiedono sempre di più piatti innovativi e cibernetici. Tra l’uomo primitivo che consumava il suo pasto secondo natura ed i moderni piatti tecnologici vi è, ad ogni modo, un elemento d’indiscussa univocità: il bisogno di benessere fisico o psichico legato al cibo in ogni momento, senza trascurare che la ricerca sugli alimenti è doverosa all’esaltazione del gusto e dei sensi che alla fine danno qualità al nostro tenore di vita.

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Mangiare è un bisogno fondamentale degli esseri viventi.

Nella scelta degli alimenti però l’uomo, al contrario degli animali – che sono guidati dall’infallibile istinto, affinato nelle migliaia di anni dell’evoluzione – risente di fattori sociologici e culturali, tradizioni nazionali e suggestioni pubblicitarie che fanno di un gesto naturale come alimentarsi, un atto che nulla ha a che vedere con l’introduzione nel nostro organismo di grassi, proteine, carboidrati, sali minerali e vitamine. Che ti piaccia o no Lettore, il modo in cui mangi è strettamente correlato a ciò che sei o che vuoi diventare. Per molte persone, le immagini evocate da un alimento possono veicolare un percorso emotivo. Come molti bambini hanno ingurgitato spinaci guardando i cartoni animati di Braccio di Ferro, è altresì probabile che molti adulti siano stati invogliati a provare per la prima volta un Martini dry guardando un film di James Bond. Mangiare quindi come fenomeno culturale.

– Cultura è anche il significato che l’uomo attribuisce al cibo, attraverso il modo in cui lo consuma e le scelte che opera, con criteri legati sia alla dimensione economica sia nutrizionale del gesto, sia ai valori simbolici di cui il cibo stesso è investito. (Montanari)

Fette biscottate a colazione, merendine e latticini senza grassi

Un processo fondamentalmente primitivo, si può far risalire ai nostri antenati cacciatori che, a quanto sembra, ammiravano gli animali forti e imponenti e credevano di assorbirne la forza mangiando parti del loro corpo. Tralasciamo momentaneamente la parte sensitiva, non si può negare che il primo approccio con il cibo sia soprattutto di natura culturale, sociale e organizzativa. Quanti di noi oggi hanno il tempo di fare la spesa secondo un criterio diverso da quanto proposto dal nostro super/ipermercato preferito? Le persone, oggi, mangiano così perché non hanno scelta, stritolati dall’avidità dei produttori e degli industriali dell’alimentazione che operano senza nessun controllo. Soprattutto, godendo dell’approvazione di una classe medica che continua a consigliare fette biscottate a colazione, latticini senza grassi e merendine, tralasciando le reali necessità nutrizionali dell’individuo. Oggi, entrando in un variopinto e multicolore supermercato, ci troviamo di fronte a miracolistiche proposte di colazioni, pranzi e cenette “rapide e gustose”, assolutamente “povere di grassi” e proposte con alimenti “naturali”. Come biasimarti Lettore se, uscendo dall’ufficio affranto da una giornata con i colleghi pastasciuttarì, sopravvissuto a un paio d’ore di traffico selezionatore della specie, sudato e stremato da un micromicrociclo Bll anti cortisolo, tre sms isterici di tua moglie, due mms hot dell’amante, Facebook e due gocce di pioggia, trovi il tempo di pelare brassicaceae, pulire e lavare germogli indiani, spinare e insaporire pesci morti senza stress. Condire con olio delle montagne vergini, coltivato da vestali illibate, spremuto da piedi di bambini, figli di premi Nobel in un centro agrario gestito da contadini laureati in astrofisica con certificazione del DNA, di essere contadini da 30 generazioni. Insomma, una bella e variopinta busta surgelata e via. Ah certo, e un Martini grazie.

 

 

 

 

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