LE OPINIONI

IL COMMENTO Rimettere a regime i terreni per la nostra economia… e vita

È finita un’altra stagione di lavoro ed è il momento dei bilanci e dei programmi. Lo è per gli operatori del settore turistico, ma anche di quello vitivinicolo. Finita la raccolta delle uve, nelle cantine, si comincia a verificare le evoluzioni che il mosto sta seguendo fino a diventare vino, che si spera sia buono anche per l’ottima vendemmia. Per la nostra Isola fino a qualche decennio fa era il momento cruciale di un tessuto socio economico che, almeno per alcune aree territoriali, viveva prevalentemente dei prodotti della terra. Ma non era solo il valore economico del frutto che sosteneva la nostra economia e la vita delle nostre famiglie, erano soprattutto i valori ai quali essa si riferiva. La civiltà contadina, il valore del lavoro, della solidarietà, del rispetto reciproco, la stessa dignità e l’orgoglio, ormai perduto, erano elementi fondanti di un popolo che aveva la piena e giusta consapevolezza di vivere in una terra bella e ricca e che andava difesa.

E così, anche in una prima fase della trasformazione socio economica, quei valori tennero ed anche la presenza di grandi uomini della cultura e della impresa non scalfirono la integrità di quel popolo. Poi qualcosa è successo e cosi insieme alle migliaia di ettari abbandonati sono andati persi anche quei valori non riferibili solo ad una tradizione, ma ad una cultura, ad una storia. Ne è testimone la circostanza che oggi dal più grande imprenditore all’ultimo cialtrone, magari anche delinquente, pensa di invadere la nostra isola e dettare l’agenda delle cose da fare, sempre più funzionali agli affari, suoi. Altro che saraceni, altro che il compianto commendator Rizzoli. Non altri tempi, altra gente, loro e i “nostri”. Si appropriano dei nostri spazi, li fanno propri, e la cosa drammatica è che lo fanno con la nostra complicità e connivenza. Nessuno che gli racconti la storia bella ed importante di un Isola fatta di altri uomini che merita rispetto, almeno per non offendere la loro memoria. La nostra Isola. Forse quella storia non possiamo raccontarla perché non l’abbiamo mai conosciuta, non possiamo più raccontarla perché ci è stato “comodo”(???) dimenticarla, o ancora peggio, perché non ne siamo degni, ma decisamente non possiamo venderla o svenderla. È certo che quei valori, quella tradizione, quella storia, la nostra storia potrebbero e dovrebbero diventare occasione di sviluppo, di riqualificazione dell’offerta turistica, di occupazione. Ma sono morti, e da tempo. Al netto delle chiacchiere non vedo alcuno sforzo serio per fare di questi fattori una nuova e diversa strategia d sviluppo.

Rimettere a regime quelle migliaia di ettari di terreno, ormai incolto, è fondamentale per la nostra economia, ma ancora di più per la nostra vita. C’è un problema di sostenibilità economica ma anche e soprattutto di sostenibilità del territorio, se pensiamo al rischio del dissesto idrogeoligico conseguenza anche dei continui incendi estivi. Quei terreni sono espressione e sintesi dei nostri fallimenti, ma possono essere l’elemento del riscatto, anche economico ed occupazionale della nostra Isola. Ma c’è bisogno che qualcuno, ogni tanto, dia uno sguardo alle proprie spalle per guardare quei terrazzamenti a sostegno della nostra terra ed a difesa delle nostre case, ma anche e soprattutto si volti indietro per ripensare alla storia della nostra gente. Ma ora, intanto è il tempo di festeggiare, è il momento del ringraziamento del frutto della nostra terra e del nostro lavoro. Il vino è simbolo della festa, è buon testimone di storia e tradizione, ma soprattutto è espressione di una terra incredibilmente bella e vocata. Non lo dimentichino quelli che vengono da fuori ad invadere barbaramente la nostra isola ma, soprattutto, lo ricordi ha ricevuto il testimone di in un patrimonio di valori, di bellezza, di bontà dei quali troppo spesso non ne è stato degno erede.

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