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Questa è l’acqua

di Graziano Petrucci

Premessa uno. David Foster Wallace, scrittore e saggista americano purtroppo morto suicida nel 2008, per la cerimonia delle lauree al Kenyon College il 21 maggio 2005, si presentò con una storiella. Ve la suggerisco. «Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”». David foster wallaceCome David, io non sono il pesce anziano e neppure saggio. I motivi sono da ricercarsi nel fatto che altri di sicuro lo sono, e pure più di me. Perciò gli lascio tranquillamente il posto, come sugli autobus a chi ne ha diritto. Tuttavia la storiella ha diversi significati. E da ogni livello può trarsi una lezione che ognuno per se, se ciò non gli comporta difficoltà, potrebbe imparare a interiorizzare per poi scoprire, dopo, per quanto gli è possibile, di guardare punti di vista differenti. Fantastiche prospettive fino a quel momento precluse tanto a causa della forza oscura dell’oscurantismo mentale, quanto da quella delle certezze acquisite. Ovviamente chi legge non deve prenderlo come un insulto ma solo come la naturale osservazione secondo la quale c’è chi può arrivare a capire certe cose, secondo i suoi tempi, e chi, invece, non ci arriva per niente perché non gli interessa (e non è detto che debba interessargli per forza). La storiella dei pesci è significativa. La metafora può adattarsi al quotidiano di ogni individuo come ai grandi fatti che spesso ci coinvolgono o travolgono. La prima cosa che potrebbe risultare evidente in chi legge la breve storia è il ruolo. C’è un pesce più grande e due più piccoli. Fuor di metafora si tratta dell’esperienza o anche del ruolo sociale. In genere, con riferimento a quest’ultimo, più è elevato e più vi dovrebbe corrispondere pari saggezza ma non sempre è così. Anzi forse non è mai -stato- così, salvo rare eccezioni. Comunque, questa roba dell’esperienza deve essere meravigliosa. Non si capisce come mai e per quale motivo una stessa esperienza – appunto – possa avere un significato diverso se vissuta da due persone diverse. Forse perchè diverse sono le sensibilità come il bagaglio culturale. box valentinoDiventa un problema quando si perde di vista l’obiettività e si ragiona, invece, per partito preso. Senza alcuna possibilità di costruire, a questo punto, un dialogo su cui fondare, si spera, un confronto. Si resta prigionieri di una mentalità chiusa, una trionfale cornice di cui l’isola offre delle degne diapositive che contribuiscono a comporre il ruolo sociale di ogni individuo. Una bolla. Di chi crede che le proprie certezze debbano diventare di tutti e chi non è disposto a seguirle sarà perciò bersaglio d’ira e resistenza da parte dei primi. Il modo più semplice, oltre che stupido, è quello di creare una dicotomia perché si pensa, in funzione preordinata e quasi automatica, che siamo noi il centro attraverso cui passa il mondo come la sua lettura. Premessa due. Anche quest’anno ci sono eventi che ritmano l’estate. Del «Premio Ischia Internazionale di giornalismo» ho già parlato la volta scorsa. In sintesi si potrebbe usare – poichè secondo me se ne sente la necessità- questo momento di riflessione internazionale per coinvolgere il territorio e la gente che avrebbe piacere a esserne coinvolta. La stessa cosa va detta per le altre due occasioni che, a distanza quasi ravvicinata, ci accompagnano nel mese di luglio. L’Ischia Film Festival, di Michelangelo ed Enny Messina,Michelangelo Messina alla Bit di Milano (foto secondaria in basso a sinistra pag 12) e l’Ischia Global di Pascal Vicedomini. Dovrebbero cominciare ad aprirsi – di più, benché non in maniera eccessiva; magari organizzare passerelle degli ospiti illustri o conferenze o incontri di questi con il pubblico incorniaciata da qualche foto o stretta di mano- e dispiegare la propria potenzialità d’indotto turistico oltre che economico. Su un’isola, o almeno una sua gran parte, che avverte il bisogno di non esser chiusa e limitata e usata solo come terreno di accoglienza e confinata a proiezioni di film gratuti. Ha urgenza di qualcuno che, saggio, sia capace di traghettarla fuori dalla dicotomia in premessa e agevolare, così, la costruzione di un nuovo processo di sbocco al mondo.pascal vicedomini In grado di farci nuotare, come pesci, finalmente nell’oceano. A quel punto uscire dall’isola. Quel tipo d’isola che con la presenza di «preti fasulli, matrimoni invalidi e politicanti da fiera», nel progetto del regista Paolo Genovese intervistato da Gianluca Castagna, doveva far da sfondo a un suo film in cantiere e che per certi versi potrebbe somigliare alla nostra. Quando gli eventi diventano «isole sull’isola» ci si ritrova catapultati in una trincea tra due opposti eserciti. Quello dei pesci che lanciano condanne ad altri e chiedono ai propri simili dell’acqua e questi, l’altra fazione, che si chiedono “ma cosa diavolo è l’acqua?” continuando a procedere come sempre. Poi, alla fine, se si guarda bene, siamo tutti dentro una pozzanghera nell’illusione di essere il centro del mondo. O il mondo.

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