Ragazzi e Internet, occhio a non cadere nella rete. All’IIS “C. Mennella” convegno sui rischi del web
Quali sono i costi di questa nuova cittadinanza attiva che non riesce a prescindere dalla cittadinanza digitale (spesso incontrollata)? Forum della scuola isolana per comprendere meglio un fenomeno che fa parte della vita quotidiana di studenti, famiglie e insegnanti

Scuola, famiglia, amicizie, associazionismo: sono ancora queste le realtà formative delle nuove generazioni? Da dove viene la perdita di autorevolezza di quelle strutture un tempo indiscutibili e oggi, forse, sostituite da nuove forme più liquide, sfuggenti, come la rete e i social network? E’ davvero tutta colpa di internet, o ci sono anche altri elementi, altre responsabilità?
Navigare in internet rende più informati o è fonte di alienazione dalla realtà? In cosa consiste la dipendenza da internet e quali sono i rischi di una navigazione ‘alla cieca’?
Questioni attuali emerse nel convegno “Essere in rete? Cadere nella rete”, ospitato nella sede di Via Mazzella dell’IIS “Cristofaro Mennella” con l’Associazione di promozione sociale Social Skills. Un’occasione, per studenti, famiglie e insegnanti, di comprendere meglio un fenomeno che fa parte della vita quotidiana di chiunque, in (quasi) ogni angolo del globo.
«Non occorre essere scienziati, esperti, studiosi o addetti ai lavori per cogliere l’incessante dilagare della realtà virtuale.» ha ricordato Rosa Chiapparelli, assistente sociale e presidente di Social Skills. «Basta l’esperienza, anche banale, di una qualunque giornata tipo: smartphone, tablet, personal computer e altri innumerevoli strumenti digitali riempiono le nostre case, i nostri luoghi di lavoro, le scuole, le università, le nostre borse, le nostre tasche. Quelle di adulti, adolescenti e bambini. Essere connessi a Internet è diventato un bisogno fisiologico, come mangiare e bere. Facciamo moltissime cose online, 24 ore su 24, per scelta, per necessità, per obbligo. Lavoro, acquisti, prenotazioni, comunicazioni, svago, informazione, controllo, dialogo, gioco: tutto ormai avviene prevalentemente davanti a uno schermo, seduti, soli e irresistibilmente attratti da questa dimensione immateriale che coltiva la nostra onnipotenza. Le tecnologie digitali hanno creato, un ambiente ‘altro’, nuovo, virtuale alternativo a quello reale. Una vera e propria second life, parallela e contigua alla nostra esistenza corporea, che sempre più sembra destinata a prevalere, quantitativamente e qualitativamente rubandoci del tempo, della cultura, dell’identità, dell’attenzione, della memoria, spingendoci all’auto confinamento in insignificanti ridotte narcisistiche dove ci illudiamo di interagire con il mondo mentre ci limitiamo a dare voce, ed eco, al nostro piccolo io.»
La posta in gioco? La perdita diffusa della nostra intelligenza. Intesa come capacità di comprendere, elaborare ciò che vediamo, stabilire una gerarchia di significati, formulare concetti astratti, sviluppare una visione del mondo articolata, complessa, critica.
Una deriva, sempre più preoccupante, quanto più investe i giovani. Non sempre pronti a sapergestire con lucidità i rapporti che si sviluppano in questo tipo di ambiente, riconoscendo e gestendo le proprie emozioni. Di fronte all’entusiasmo e al coinvolgimento che possono provare in un chat, allo stupore di ottenere feedback immediati, le nuove generazioni finiscono spesso per dimenticarsi in un istante un divieto o un atteggiamento che sanno essere sbagliato. «Navigare in Internet – ha avvertito la pedagogista Simona D’Agostino – è un’attività che rischia prevalere sulla vita reale con le sue attività quotidiane: divertirsi con gli amici, fare sport, innamorarsi e conoscere nuove persone.» Da strumento “integrativo” a mezzo indispensabile per essere sempre connessi.
Ma quali sono i costi di questa nuova cittadinanza attiva che non riesce a prescindere dalla cittadinanza digitale (spesso incontrollata)?
Problemi di dipendenza (nota anche come “internet-addiction”), disturbi dell’ansia e dell’umore, sfide pericolose, solitudine amplificata, episodi di cyberbullismo, ricerca del rischio e superamento del limite. Qualcosa che in fondo è sempre stato parte dell’adolescenza, ma che oggi risponde forse anche a codici e pratiche diverse, che spesso ignoriamo o facciamo finta di ignorare.
Da dove ripartire? «Malgrado occupi una buona parte del loro tempo, la scuola non è più l’unico luogo dove i ragazzi si formano», ha commentato la Dirigente scolastica del “C. Mennella” Giuseppina Di Guida. «Anzi, è un luogo quasi residuale, vista la pervasività degli altri sistemi di formazione non regolati che sono quelli che viaggiano sul web. La scuola deve anzitutto conoscere queste nuove modalità che loro utilizzano; non per sostituirsi o entrare in concorrenza, perché la suola una conserva comunque la sua specificità, però più conosciamo quel mondo, più siamo in grado di costruire nuovi contesti di apprendimenti che per loro siano significativi.».
«I ragazzi si muovono in un universo ludico, la modalità è quella del gioco.», continua la preside. «Noi vogliamo che dopo il gioco, si passi a una realtà molto più complessa. Ormai anche i docenti si sono impossessati si stanno impossessando velocemente di questa strumentazione. Non ne farei tuttavia un discorso tecnico ma valoriale. Gli insegnanti devono capire che non sono in competizione con i social ma hanno delle qualità professionali diverse, che i ragazzi devono saper apprezzare. E’ qui che si gioca la partita dell’educazione nei prossimi anni.»
Se il ruolo della scuola non è inseguire il mondo (la scuola azienda dove uno su mille ce la fa), ma contribuire a creare una comunità pensante, e un pensiero sul mondo, un compito delicato e complesso spetta anche alla famiglie, spesso fin troppo remissive verso questa generazione di nativi digitali. Ai genitori non spetta saper smanettare bene e tanto quanto i loro figli, ma offrire loro strumenti e modalità adatte ai bisogni e allo sviluppo dei loro figli. Che non significa regalare un potentissimo smartphone a un bambino di 8 anni.
«Così come inutile e dannoso è controllare i propri figli, anche se con le migliori intenzioni», precisano la Chiapparelli e la D’Agostino. «E’ un atteggiamento che mina la fiducia e distrugge l’autostima di chi è spiato. Al contrario, è bene osservare i ragazzi: un approccio fiduciario che permette di comprendere e quindi, se necessario, di intervenire con celerità e maggiore consapevolezza. Bisogna insegnare ai giovani a trovare il giusto punto di equilibrio tra i propri interessi e quelli degli altri, perché non deve essere la tecnologia a dettare le regole del nostro fattore umano ma il contrario.»
«È indispensabile – continuano – che la partecipazione ai social network venga limitata, come dovrebbe essere, almeno fino al superamento di 14 anni. E che i genitori stessi guidino, almeno all’inizio, l’utilizzo della rete. Occorre evitare di mantenere la connessione mentre si sta studiando e mettere in guardia i ragazzi dei pericoli, rendendosi disponibile a consigli e condivisione di problemi.»
Non è più il tempo delle riflessioni, ma quello dell’agire. Non è colpa della tecnologia, è colpa nostra. Adulti che preferiscono non avere responsabilità ed attribuirle agli altri. Dobbiamo invece trasferire le nostre conoscenze a coloro che iniziano a costruire la propria strada; riappropriarsi di valori morali, etici, di senso civico perché solo così saremo in grado di far crescere individui capaci di relazionarsi in modo equilibrato con altri. Solo così fenomeni ormai fin troppo diffusi come sexyting, cyberbullismo, stalking diverranno marginali e circoscritti.
Sulle fake news e la manipolazione del consenso è intervenuta la giornalista Isabella Puca, che ha ricordato due episodi clamorosi avvenuti sull’isola: la clonazione del profilo Facebook del sindaco di Ischia Enzo Ferrandino (con falsi post) e un fotomontaggio di Miro Iacono che faceva sbarcare a Ischia il divo di Hollywood Richard Gere. «Nel primo caso – ha ricordato la Puca – l’inganno non funzionò. Nel secondo sì. Tutti credettero che l’attore fosse giunto sull’isola d’Ischia. Ancora oggi, se si fa una ricerca su Google, i risultati sono migliaia. Bisogna arrivare al quarto per capire che sia una bufala. I social hanno cambiato completamente il modo di guardare alla comunicazione e ai media ufficiali. Siamo diventati meno autorevoli, tutto ciò che viene messo su un social viene preso per vero, come una notizia affidabile. L’antidoto? La cultura. Quando c’è, è molto probabile che non si cada nel tranello della fake news.» Insomma, altro che utopia dell’informazione. La Rete può diventare lo spazio per uno tsunami di dati, ognuno dei quali può essere vero e può essere falso.
La Rete, però, non è solo una discarica di maleducazione, aggressività e trappole insidiose. Ci sono utilizzi positivi anche in ambito medico. Per Vincenzo De Luca, che si occupa dell’applicazione delle tecnologie informatiche in ambito sociale e sanitario per l’unità di Ricerca e Sviluppo dell’Azienda ospedaliera Università Federico II di Napoli, «le tecnologie informatiche offrono un vantaggio indubbio nell’accessibilità e gestione dei servizi sia sociali che sanitari, ma soprattutto per l’integrazione delle cure tra i diversi livelli di assistenza. Le tecnologie supportano i cittadini soprattutto nei casi in cui una comunicazione più frequente con il personale sociale e sanitario permette di affrontare le esigenze di salute in maniera più efficiente ed efficace. Favorendo, ad esempio, una maggiore umanizzazione delle cure. Penso all’isolamento sociale di un paziente anziano, nei cui confronti l’intervento sanitario può essere a più livelli, maggiormente preciso ed efficiente.».
Per l’occasione, la preside Di Guida ha presentato le allieve della prima classe dell’Indirizzo Servizi per la Sanità e l’Assistenza sociale. Dieci studentesse che, novità assoluta per l’isola, impareranno specifiche competenze utili a co-progettare, organizzare ed attuare, con diversi livelli di autonomia e responsabilità, interventi che rispondano alle esigenze sociali e sanitarie di singoli, gruppi e comunità, finalizzati alla socializzazione, all’integrazione, alla promozione del benessere bio-psico-sociale, dell’assistenza e della salute in tutti gli ambiti in cui essi si attuino e/o siano richiesti. Una buona notizia per la scuola isolana. E incoraggiante per un settore, quello della sanità, in costante affanno ma che rappresenta un nodo fondamentale della nostra economia e del nostro sistema sociale.