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Alfredo Romeo e i soggiorni a Ischia pagati per “ringraziare”

C’è anche la nostra isola nell’inchiesta che ha portato in carcere l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, nell’ambito dell’inchiesta Consip, nella quale sarebbero volate tangenti. Tutto parte dal 33enne imprenditore di Scandicci Carlo Russo, amico della famiglia Renzi e dunque di Tiziano, padre dell’ex premier, anch’egli iscritto nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica. Negli atti dell’inchiesta si legge che «Alfredo Romeo, previo concerto con Italo Bocchino, si sia accordato con Carlo Russo (a fronte di ingenti somme di denaro promesse) affinché questi, utilizzando le proprie relazioni (di cui vi è prova diretta) e le relazioni di Tiziano Renzi (con le quali lo stesso Russo afferma di aver agito di concerto e al quale parimenti, da un appunto vergato dallo stesso Romeo, appare destinata parte della somma promessa) indebitamente interferisca sui pubblici ufficiali presso la Consip, al fine di agevolare la società di cui Romeo è dominus».  Insomma, gli investigatori non sembrano nutrire dubbi sul fatto che le somme di denaro che tanto Russo quanto Renzi senior si facevano promettere mensilmente erano, si legge, «il compenso per la mediazione realizzata sfruttando mediazioni esistenti tra Tiziano Renzi e Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip».

Insomma, il ruolo di questo Russo ed i rapporti con Alfredo Romeo è senza dubbio uno dei capisaldi su cui si fonda l’indagine dell’autorità giudiziaria. Ma attenzione al punto che ci interessa più da vicino. Tra gli appunti che sono stati recuperati dai carabinieri tra i rifiuti dell’ufficio romano dell’imprenditore partenopeo, infatti, ce ne sono alcuni dai quali si evince in maniera inequivocabile che a novembre 2015 Alfredo Romeo pagò un soggiorno proprio a Russo ed alla sua signora in un albergo di Ischia di proprietà, pare, di alcuni suoi parenti. E su questo albergo c’è un filone dedicato da parte degli investigatori dell’Arma dei carabinieri, che ne hanno monitorato per bene i movimenti e soprattutto una serie di presenze all’interno dello stesso: gli inquirenti, infatti, non hanno dubbi e scrivono che l’albergo ischitano, insieme alla sua accorsata struttura ubicata sul lungomare di Napoli, veniva utilizzato da Romeo «quale contropartita per ricompensare i pubblici ufficiali infedeli nell’opera svolta per suo conto». Insomma, chi ha indagato sostiene senza mezzi termini che dalle nostre parti potrebbero essere transitati diversi personaggi o faccendieri coinvolti nell’inchiesta o che potrebbero esserlo a breve, visto che l’attività di indagine pare essere ancora all’alba.

Non è un caso, peraltro, che l’accusa, nella sua ricostruzione dei fatti, rimarca con inoppugnabile certezza come l’elemento della corruzione sia quello trainante e che caratterizzi ogni aspetto – anche quelli più reconditi – di questa vicenda. Insomma, Alfredo Romeo avrebbe cercato di giocare ad armi pari cercando di combattere una guerra a suon di tangenti con altri gruppi dai risvolti politici occulti dai quali l’imprenditore temeva sempre di essere “sconfitto”. Un teorema di cui è convinto anche il gip Gaspare Sturzo che definisce l’atteggiamento utilizzando un termine forse improprio ma efficace, quale quello di «legittima difesa criminale rispetto ad altri imprenditori e vertici politici e istituzionali volti all’esclusione dell’imprenditore campano». In parole povere, Alfredo Romeo avrebbe dovuto corrompere questo e quello per forza, per evitare che lo facessero altri e che così si potesse trovare ad essere estromesso dai “giochi”.

Gaetano Ferrandino

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