Rettitudine e moralismo

All’inizio del mondo moderno Lutero ci ha ricordato che una azione non ha valore morale se la facciamo per evitare un danno o per avere un vantaggio. Non è morale fare il bene per paura dell’inferno o per desiderio del paradiso.
Quando si sono indeboliti i comandamenti religiosi, Kant li ha sostituiti con i comandamenti della ragione. Anche per Kant un’azione ha valore morale solo se non viene compiuta in vista di qualche interesse o per paura di una punizione. La persona morale agisce in base al puro senso del dovere. Porta la legge morale nel suo cuore sempre e dovunque. Non ha bisogno di controlli esterni, di giudici o di poliziotti. Non si trincera dietro scuse e giustificazioni.
L’imperativo morale dice: Ogni volta che compi un’azione, qualsiasi tipo di azione, devi sempre agire in base alla norma che vorresti erigere a legge universale. Quella che vorresti che tutti applicassero, sempre e dovunque. Una volta stabilito quale sia, dovrai esser tu a rispettarla fino in fondo. Vorresti che tutti dicessero la verità? Allora dirai sempre la verità. Vorresti che tutti pagassero le tasse? Allora tu denuncerai fino all’ultima euro. Vorresti che tutti rispettassero i limiti di velocità? Allora non li supererai mai.
La morale non dà diritti, ma solo doveri. Non ci si può appellare alla morale per esigere questo o quello.
Non ammette nel modo più assoluto scuse del tipo: Ma lo fanno tutti. La morale non impone nulla agli altri, non parla degli altri. Essa impone dei doveri soltanto a te, dice cosa devi fare tu.
La corrispondenza immediata fra sapere che cosa è bene e sentirsi impegnato a farlo è la rettitudine. Una cosa che noi italiani abbiamo poco. Lo diceva anche Hegel: gli italiani conoscono l’universale, ma non lo rispettano. L’automobilista dice che tutti dovrebbero rispettare i limiti di velocità, però lui va a 180 all’ora. Lo studente sostiene che i professori sono ingiusti, però
lui copia il compito da un compagno. Il commerciante si lamenta perché la gente non paga le tasse, però lui evade l’Iva. Il politico accusa l’avversario di menzogna, però anche lui dice il falso. Questa moralità ipocrita, rovesciata, è il moralismo. Il moralista, come il Tartufo di Molière, si atteggia a moralizzatore integerrimo, poi fa quello che vuole. Ha sempre in bocca espressioni morali come diritto, dovere, bene, male, giusto, ingiusto. Però, come nella parabola del Vangelo, vede il fuscello nell’occhio dell’altro, non la trave nel suo. I sentimenti specifici della moralità sono il senso del dovere, il senso di colpa, il pentimento e il rimorso. Invece il moralista condanna, si indigna, protesta, stigmatizza, chiede giustizia, punizioni esemplari. Guarda sempre gli altri, mai se stesso.
L’interiorizzazione della morale universale come rettitudine è una delle più grandi conquiste della civiltà occidentale. Rende possibili i rapporti fra gli uomini anche quando non c’è una legge esterna, il gendarme a controllarli. E la base del credito e del funzionamento del mercato. E l’unico fondamento per l’onestà politica.