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Ri-forma. Sarai più fortunato

 

di Graziano Petrucci

Pochi giorni ci separano dal voto al quale siamo chiamati per il referendum confermativo sulla Costituzione. (Piccola parentesi: nel “referendum confermativo” non c’è un “quorum” da raggiungere ma si basa sui voti validamente espressi. Per affermare il proprio pensiero bisogna andare a votare!). I sostenitori dei due schieramenti, quelli che sbandierano le ragioni del «SI» e quelli che oppongono resistenza ai primi con il «NO», si stanno comportando come se dovessero assaltare l’ultima diligenza. Perché magari non ne passeranno altre e, specie per chi vuole la modifica di una parte della Carta Costituzionale, potrebbe essere davvero l’ultima occasione per cambiare il sistema “Paese”. del deoEvito di proposito il merito della questione e mi baso invece su ciò che si può tranquillamente osservare. Orde di costituzionalisti popolano i social come allenatori di cui l’Italia è notoriamente provvista. Verrebbe da chiedersi se l’Italia, appunto, al contrario di ciò che si pensa, non abbia anche esperti della Costituzione in grado, e meno male, di capirla. Va osservato che finalmente qualcuno ha cominciato a leggerla, anche per curiosità va bene, dopo l’eliminazione dell’educazione civica dalle scuole. Sembra di trovarsi nel mezzo di una discussione mentre si osservano le due formazioni azzuffarsi. Non tanto sul bisogno di staticità o di modifica dell’impianto costituzionale ma sulla possibilità di cambiare o tenere così come è un regolamento di condominio. Il Sindaco di Barano Paolino BuonoSe riflettete bene, al netto dei settori peraltro complessi, ma su cui si può continuare a discutere anche per giorni – pensate che molti docenti di diritto costituzionale non sanno prevedere con certezza cosa accadrà in entrambi i casi- alla fine si ha l’impressione che l’Italia, più che un “Grande Paese” sia diventato, appunto, un “Gran Bel Condominio”. Cui mancano alcune basi e capacità, alcune delle quali fondamentali, nel riuscire a ricucire una serie di fratture, come per esempio tra la Storia e l’Economia o tra quest’ultima e la Geografia. Il discorso, insomma dovrebbe allontanarsi da quello squisitamente politico e impastarsi in altri ragionamenti che, inevitabilmente, ci hanno sempre condizionato la vita grazie pure alla miopia che ci caratterizza. Veniamo a noi e dedichiamoci a questo pezzo di scoglio del golfo di Napoli, alla gente che ci vive che, a sua volta, è rappresentata da altra gente. M’interessa poco stabilire il modo con cui gli odierni rappresentanti hanno conquistato il numero necessario di voti tale da permettergli di sedere nei consigli comunali. Qualcuno a fatica, qualche altro invece a mani basse, oggi sono li quale risultato di “libere” elezioni. Contano altrettanto poco i discorsi sui patti tra famiglie nelle composizioni delle liste che, in certi casi e forse addirittura spesso, hanno risentito dell’influenza d’interessi di piccole zolle imprenditoriali. La settimana scorsa ho lasciato una domanda. Forse qualcuno ne ha colto l’essenza. Cioè, chiedevo, se vi foste accorti del perché non si riesce a far decollare una servizio di raccolta rifiuti unificato ed evitare, perciò, l’aggravio sulle casse comunali e nelle tasche dei cittadini. Per qualche strano motivo – magari qualcuno una certa idea è riuscito a farsela o l’aveva già – ogni comune gestisce da se e fa gare per assegnare l’appalto a questo o a quello che opererà la raccolta e il trasporto d’immondizia in terraferma in giorni diversi rispetto a quelli di altri comuni isolani. Il sindaco Giacomo PascaleDetto semplicemente stiamo parlando d’interessi e soldi – non vi dico quanti – che se dirottati e usati bene, invece, potrebbero garantire la nascita e il mantenimento di servizi di cui abbiamo necessità, favorendo così quella specie in estinzione di politica economica produttiva e consapevole. Chi non vorrebbe trovarsi di fronte alla possibilità di pagare la tassa sui rifiuti sulla quantità effettivamente prodotta e non, come accade oggi, sulla metratura di casa? Chi non vorrebbe realizzare un risparmio per soddisfare i propri bisogni? Mettendo da parte la parvenza di democrazia, in cui s’insinua il meccanismo per cui Tizio prende o prenderà più voti di Caio alle prossime elezioni – per esempio le prossime si terranno a Ischia- , magari promettendo fiumi di soldi o vacanze, il dato sconfortante è che se l’Italia è diventato un «grande condominio», l’isola nella sua gestione tecnica e amministrativa corrisponde a una specie di «favelas». Le cui dinamiche, sia chiaro, non sono per niente simili a quelle delle originarie brasiliane. FOTO 1 - Il sindaco di Casamicciola, Giovan Battista CastagnaGià solo il tenore di vita o la ricchezza come la tranquillità sono elementi che ci consentono una rapida distanza con quel mondo fatto di povertà diffusa. Tuttavia «favelas» e «povertà» se sono il binomio caratterizzante per le città brasiliane possono esserlo pure da noi. Alla povertà nei ragionamenti corrispondono «favole» amministrative – raccontate da amministratori- e l’impossibilità di guardare ai bisogni e agli interessi del territorio e delle persone. A sua volta questo mondo rispecchia l’arroganza di certi sindaci che nel fare le cose, perseguendo interessi che con la collettività hanno poco a che vedere, si nascondono dietro a uno stupido: “la legge me lo consente”. Questo comportamento ottuso dalla “legge”, che hanno molti dei nostri rappresentanti, elimina l’ampliamento sulle prospettive che saranno, in certi casi già lo sono, i nuovi scenari e leve che coinvolgeranno pure la nostra economia che dovremmo cominciare a tutelare. Secondo voi a qualcuno di questi che è anche sindaco manca il coraggio o la comprensione dei problemi?

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