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Ribelle Ri-bella: la palla al balzo!

La storia di Laura Buono, stella del Napoli Femminile under 17, che si racconta a Il Golfo: “Ne sono certa, sono nata con il calcio nelle vene…”

DI ARIANNA ORLANDO

Laura Buono, la quinceañera del Napoli femminile under 17, è un animale mitologico: è aquila, è tigre, è gatto, è leone, è farfalla. Il giorno in cui si innamorò del calcio nemmeno se lo ricorda perché in fondo: “come posso ricordare il giorno in cui sono nata, ti posso dire che quel giorno il calcio già era in me!”; così fin da piccolissima il calcio è stata una esigenza tanto naturale e istintiva da non scindere il momento in cui ha imparato a camminare-giocare-parlare da quello in cui ha iniziato a tirare calci al pallone. A Cava del Melo, dice Laura, mi divertivo a giocare nel campo impolverato, ero tutta impolverata: dai piedi fino alle scarpe ma non mi importava perché quando toccavo la palla, lei iniziava a vorticare a vorticare a vorticare ed ero sicura che se avessi tirato un poco più forte quella palla avrebbe toccato il cielo e buttato giù la luna!”. Poi Laura, a un certo punto della sua intervista, mi mostra da uno spiraglio la sua vita più riservata in cui il calcio si è aperto, da solo, una strada e dice:”Cavani mi piaceva perché aveva il mio stesso taglio di capelli e la fascia come me e per questo mi piaceva guardare il calcio in TV!”. Queste sono le reminiscenze di una dolcissima infanzia, note che ballano sul fondo di un mare su cui il divano di casa di Laura naviga come una zattera e i genitori, mamma Maria e papà Francesco, sono i custodi e i naviganti esperti che la guidano verso i suoi sogni. “Sono sempre stata una ragazza molto ribelle dal punto di vista della personalità. Io vengo da un contesto sociale, che non è quello della mia famiglia ma quello della società tutta, in cui  la divisione maschio-femmina era precisissima e senza sbavature, così marcata da sentirsii dire che alle femmine il calcio non piace perché il calcio non è da femmine e basta e a me invece il calcio piaceva e non ci potevo e volevo fare niente!”. Di calcio femminile si parla veramente pochissimo e l’attenzione di questo discorso vuole difendere una precisa istanza in particolare e forse sollevare anche delle riflessioni: che esista il calcio femminile è un fatto di cui la società fallo-centrica deve prendere atto-voglia o non voglia farlo-, che uomini e donne siano diversi anatomicamente parlando è una verità inconfutabile contro la quale, per ragioni di sopravvivenza della specie e non, non sentiamo l’esigenza di discutere. Ciò di cui vogliamo discutere invece, e vorremmo farlo ampiamente, è che-in caso di errore sul campo- a un calciatore maschio non vengono rivolte accuee alla sua “mascolinità'” piuttosto alla sua non-bravura, non-professionalità e a molte altre cose che,nella maggior parte dei casi (esistono pur sempre le eccezioni che confermano la regola) nulla hanno a che vedere con l’identita personale.

Ma si ponga nella stessa e identica situazione una calciatrice donna che compie lo stesso errore che è stato appena citato, ecco che si configura un panorama differente e l’accusa/critica/talvolta insulto diventa categoricamente sessista, categoricamente dissacrante e categoricamente minatorionei confronti dell’integrità tutta del calcio femminile (sebbene, lo ricordiamo a rigore di cronaca, l’insulto sia da considerarsi una pratica indecente se rivolta all’una come all’altra parte e in questa sede è stato citato puramente come indice di analisi sulle differenze comportamentali). Allora non necessariamente noi vogliamo descrivere il ruolo della donna-nel calcio come in altri campi della vita- come intoccabile, anzi il nostro obiettivo- e su questo Laura è categorica- è quello di uniformare l’approccio. “Perchè desta scalpore una donna che gioca a calcio?”, chiede Laura, orgogliosamente femmina  audace di quindici anni che quando tira il pallone adesso non mira più al cielo ma ai muri di pregiudizi e discriminazioni. “Quando non sono brava sul campo, quando faccio qualche errore madornale-e ne faccio! Il bello è anche questo!- dimmi che ero con la testa altrove, criticami la tecnica, accusa i miei muscoli di essersi addormentati-come faresti con un calciatore uomo- e non con le mie gambe! Non con il mio essere donna!”, dice Laura.   Il calcio femminile può aprire una breccia nel mondo diviso tra maschio e femmina perché l’insulto o una critica rivolto a una calciatrice donna è sempre un insulto o una critica alla persona e mai un insulto o una critica  all’attitudine e alla non professionalità. “Io mi impegno moltissimo” dice Laura “io vivo e studio al liceo delle scienze umane a Napoli, non mi pesano tutti gli allenamenti e nemmeno tutti i sacrifici perché io amo il calcio ed è questo quello che voglio fare nella vita! Io non mi sento una ribelle perché faccio calcio, io non sono una ribelle perché sono una femmina che fa cose che molti credono possano fare solo i maschi, io sono una ribelle perché credo nei miei sogni e non ho paura di scontrarmi con i giudizi e so che i giudizi arriveranno.So che a differenza dei miei colleghi maschi, quando sbaglierò un rigore, non mi giudicheranno per quel rigore sbagliato ma mi diranno che il calcio non è stato fatto per me.” Un errore di scrittura nella stesura di questa intervista ostinatamente segnava “ri-bella” invece di “ribelle”e forse questo è il senso dell’avventura di Laura: la calciatrice ischitana venuta al mondo che sembra credere a una bellezza che si inventa ogni giorno sul sacrificio, l’impegno e il sudore di cui nessuno parla perché è più soddisfacente credere che le donne, al pari di Eva, siano venute al mondo già belle e perfette per compiacere i maschi e non per farli arrabbiare tirando calci a un pallone nel televisore.

Io non ho intervistato Laura perché lei è un curioso animale esotico da studiare e nemmeno perché è un’amazzone della vita colei che sfida il pregiudizio della società maschiocentrica. Io ho intervistato Laura Buono perché è una creatura normale nata con la propensione per il calcio e come tale e solo come tale va celebrata. A cosa occorre dire che per il maschio e la femmina Dio creò il mondo, (così lo creò!) se ci ostiniamo a dire quanto grandiosa sia Laura che fa il calciatore, o per meglio dire la calciatrice (sono femmina e lo voglio far sentire), ed è così abile-figurarsi se non lo è!- a farsi strada nel mondo. Non è bene sottolineare la figura della donna che riesce a fare qualcosa, come se fosse una eletta sebbene la cosa più difficile sia sicuramente convivere con il sessismo perché “i miei sbagli sono gli sbagli dell’intera categoria visto che: le femmine cosa ne possono capire di calcio?”

“Io ho iniziato nei campetti di calcio a Fontana, io sono stata sempre stimolata e supportata tantissimo dai miei genitori! Ho finito con il giocare nella scuola calcio di Panza-Forio, ho giocato con i maschi e avevo un’allenatrice come maestra e io ero felicissima. A lei devo le mie basi per il calcio. Poi ho giocato nel Barano, mi sono fatta notare per le mie capacità e il Napoli mi ha preso! Quel giorno, il giorno in cui sono entrata nel Napoli, il mio cuore è scoppiato di gioia!”. Il calcio è arte, dice Laura, i corpi contorti dei calciatori nello sforzo di tirare il calcio vincente sono un disegno bellissimo. Se fosse esistito il calcio ai tempi di Mirone, un altro Discobolo avremmo trovato e domani, magari, nuovi scultori imprimeranno sul marmo il disegno muscolare di un calciatore o forse di Laura Buono, l’animale mitologico dell’under 17 femminile del Napoli destinata a cogliere la palla al balzo che gli eroi del calcio hanno tirato anche nella sua direzione prima di lei.

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