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Sindaci e consiglieri assolti? L’avvocato lo pagate voi, non il Comune

di Marco Gaudini

 

ISCHIA – Dalla Suprema Corte di Cassazione, giunge una sentenza, che si può con cognizione di causa definire rivoluzionaria. Si tratta infatti di un aspetto che sull’isola, e basta vedere i bilanci dei Comuni, non è trascurabile, circa il rimborso delle spese legali, sostenute dai pubblici amministratori per fatti connessi all’espletamento del servizio o comunque per l’assolvimento di obblighi istituzionali. Secondo quanto stabilito della Corte di Cassazione, Sezione I civile, Sentenza 17 marzo 2015, n. 5264, queste spese non devono essere più rimborsate. Infatti, il diritto al rimborso delle spese legali relative ai giudizi di responsabilità civile, penale o amministrativa a carico di dipendenti di amministrazioni statali o di enti locali per fatti connessi all’espletamento del servizio o comunque all’assolvimento di obblighi istituzionali, conclusi con l’accertamento dell’esclusione della loro responsabilità, non compete all’Assessore comunale, né al Consigliere comunale o al Sindaco, non essendo configurabile tra costoro (i quali operano nell’amministrazione pubblica ad altro titolo) e l’ente un rapporto di lavoro dipendente, non potendo estendersi quindi, nei loro confronti la tutela prevista per i dipendenti, né trovare applicazione la disciplina privatistica in tema di mandato. Il Sindaco o altro amministratore locale è un funzionario onorario, il cui rapporto con la Pubblica Amministrazione, è connesso all’attribuzione di funzioni pubbliche, e si distingue sia dai rapporti di pubblico impiego, sia dai rapporti di parasubordinazione o di collaborazione continuativa e coordinata, atteso che il funzionario onorario non è esterno all’Ente pubblico, ma si identifica funzionalmente con l’Ente medesimo e agisce per esso e il compenso allo stesso dovuto non ha carattere sinallagmatico – retributivo ma indennitario. In altre parole, anche dal punto di vista della retribuzione, l’amministratore pubblico, rispetto al dipendente comunale, non percepisce uno “stipendio” ma un’indennità.  Il diritto al rimborso delle spese legali, quindi, spetta solo a coloro che sono legati con l’ente pubblico da un rapporto di lavoro dipendente. Prima che intervenisse questa sentenza, i casi per i quali non era possibile avere il riconoscimento e quindi il rimborso delle spese legali sostenute, erano quelli o di condanna del pubblico amministratore, o di definizione del giudizio per prescrizione. Invece la Corte di Cassazione è stata su questo punto molto chiara definendo che l’esclusione del rimborso vale anche per i casi di assoluzione con formula piena.  La vicenda che ha portato alla definizione della Sentenza della Suprema Corte, nasce, in quanto il sig. O.L. era stato convenuto in giudizio dall’avv. R.A. per il pagamento del compenso dovutogli per la difesa nel procedimento penale nel quale era stato imputato dei reati, dai quali era stato infine assolto con formula piena, di corruzione e truffa, per avere ricevuto, nella qualità di consigliere, assessore e poi sindaco del Comune di Turbigo, dall’amministratore della società Delfino una somma di denaro per compiere atti contrari al proprio ufficio e a vantaggio della predetta società nella quale egli aveva interessi come socio e amministratore. L’O. si era costituito deducendo che il costo della sua difesa doveva essere sostenuto dal Comune di Turbigo poiché il procedimento penale riguardava una vicenda correlata al suo ruolo di amministratore pubblico. Il Comune di Turbigo si era costituito in giudizio, deducendo l’infondatezza della domanda sotto diversi profili e chiedendo di essere manlevato dalle compagnie assicuratrici Unipol e Assitalia, le quali si erano costituite in giudizio chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte. Il Tribunale di Rho aveva condannato l’O. a corrispondere l’importo richiesto all’avv. R.  ma aveva rigettato la sua domanda nei confronti del Comune di Turbigo e lo aveva condannato alle spese del giudizio sostenute dalle altre parti. L’impugnazione dell’O. è stata rigettata dalla Corte d’appello di Milano, con sentenza 13 maggio 2006. La Corte ha ritenuto che i fatti contestati all’O. non fossero connessi all’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale, in quanto posti in essere con abuso delle funzioni di assessore comunale e per scopi contrari ai fini istituzionali dell’ente pubblico, sicché le spese da lui sostenute per la difesa nel giudizio penale trovavano nell’ufficio pubblico solo un’occasione e non la causa; ha ritenuto che non vi fosse prova della preventiva designazione da parte dell’ente di un difensore di comune gradimento e che vi fosse un conflitto di interessi con l’O. , da valutare prima e a prescindere dall’esito assolutorio del procedimento penale, che precludeva la possibilità di riversare sul  Comune di Turbigo le spese della difesa. Così, l’O. ricorre in Cassazione e la Suprema Corte ha emesso poi la sentenza che abbiamo riportato. Tutta questa vicenda potrebbe avere sull’isola effetti di non poco conto. Infatti sono molti i Comuni gravati da numerose richieste di risarcimento delle spese legali per provvedimenti giudiziari nei quali sono stati implicati amministratori pubblici. In molti casi, proprio le richieste di risarcimento delle spese legali, hanno costituito un vero e proprio “assalto alla diligenza” delle casse comunali, tanto da far attuare alle amministrazione delle misure che potremmo definire “contenitive” attraverso la stipula di convenzioni o altre azioni. Da questa sentenza, quindi emergono aspetti che possono essere determinanti, non solo per le situazioni future, infatti adesso bisognerà tener conto dei quanto disposto dalla Suprema Corte, ma anche per le situazioni in essere.

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