Riflessioni
di Francesco Alberoni
Imelda Marcos aveva 2.000 paia di scarpe e molte centinaia di vestiti. E non le bastava essere presente nelle innumerevoli occasioni ufficiali, cantava, voleva essere apprezzata, ammirata per il suo canto. Come lo chiamiamo, questo difetto, vanità? Alla voce vanità il dizionario Lombardi dice: «Fatuo compiacimento di sé e delle proprie capacità e doti, reali e presunte, accompagnato da ambizione, da smodato desiderio di suscitare plauso e ammirazione». L’aggettivo «fatuo» indica un giudizio di inconsistenza, di superficialità, di cosa sciocca.
Ma come distinguere la vanità dall’autocompiacimento giustificato? Nel film Amadeus di Forman, Mozart è assolutamente sicuro del proprio genio e quando qualcuno lo elogia è felice, compiaciuto. Per i musicisti della corte di Vienna però il giovane Mozart valeva poco e quindi lo giudicavano un vanitoso. Solo Salieri capiva il valore della sua musica e per questo—sempre nel film ovviamente— ne era invidioso.
L’invidioso si confronta con qualcuno che considera superiore. Si identifica con lui, lo prende a modello, vuol superarlo, pensa di riuscirci e fallisce. Sconfitto sta male e vorrebbe che l’altro sbagliasse, non succede e si rode il fegato. Allora cerca di svalutarlo per sradicarselo dalla mente come modello. Ma soprattutto cerca di convincere gli altri che non vale, lo denigra, lo ostacola, cerca di distruggerlo. Però mentre lo fa, oscuramente sente di ingannare se stesso. Il vanitoso invece riesce benissimo a ingannare se stesso. Non ha senso critico, si convince di essere superiore, si compiace del suo valore, lo ostenta, gongola. Gli altri vedono i suoi limiti ma, poiché a differenza dell’invidioso, non sparla, non denigra, non lo giudicano pericoloso e dicono che è un «vanitoso».
Confrontata con l’invidia che è cattiva, la vanità appare un vizio leggero, che fa sorridere. Ma solo se non si sposa con il potere! Perché allora diventa volontà di imporre la propria superiorità su tutti. Lenin, Stalin, Hitler, Mussolini, Fidel Castro, Mao Tze Dong, Khomeini hanno sterminato i rivali e fatto collocare i loro ritratti dovunque, anche nelle case private in modo che tutti ricordassero ogni istante chi era il padrone. Napoleone agiva in modo più sottile. Mentre i suoi generali caracollavano impennacchiati con uniformi rutilanti e spade dall’impugnatura d’oro, lui si presentava nel suo disadorno pastrano di caporale e il cappello con una semplice N.