LE OPINIONI

IL COMMENTO Ischia e le isole Marshall, riflessione sulla Cop 28

DI BENEDETTO MANNA

Con la COP 28, chiusa di recente, si sarebbe dovuto sancire l’uscita dai combustibili fossili – Phase out – per il contenimento delle temperature medie atmosferiche di 1,5°C e arrivare, con una tabella di marcia dettagliata nel 2050, all’azzeramento delle emissioni clima alteranti. Solo nell’ultimo giorno si è arrivato, in realtà, a un accordo dove si è camuffato l’obiettivo dell’eliminazione dei fossili con una transizione generica graduale per raggiungere lo zero netto – Transition away – senza specificare chi ridurrà di quanto e come (nucleare ?!?), né chi controllerà, prima di quella data. Gli scienziati hanno già indicato che se si vuole contenere l’incremento della temperatura a solo più 1,5 °C, bisogna lasciare sottoterra il 90% di carbone e il 60% di gas e petrolio.

A livello di oggi, guardando a quanto si investe nel settore dei combustibili fossili, siamo già adesso ad un incremento di 2,7 °C, ben al di sopra dei 1,5 °C, che viene propagandato. Pertanto bisognerebbe ridurre gli investimenti e obbligare, anche se visto in modo insopportabile, ad una limitazione del libero mercato, che, nel caso specifico, non rappresenta la soluzione del problema, ma la causa. Secondo il Fondo Monetario Internazionale vengono destinati nel mondo 7 trilioni all’anno di denaro pubblico al settore dei combustibili fossili, che già di per sé fa profitti senza fine e che viene pure finanziato, quando invece potrebbero essere sostenute le rinnovabili per risolvere il problema. Basti pensare che ogni giorno vengono estratti 100 milioni di barile di petrolio, per i quali, tolti 5 euro per le spese, trattandosi di giacimenti già in essere, e 10 per le royalty, arrivare a poco meno di 100 dollari al barile è tutto guadagno. Così si capisce come il settore del petrolio, del gas e del carbone sia troppo remunerativo, per volerlo abbandonare drasticamente. E’, per “i padroni del vapore”, veramente l’affare del millennio,

non lo è certo per il pianeta, l’ambiente e la nostra umanità. Questo è il punto che va focalizzato con urgenza, senza sentirsi rassicurati nella coscienza da espressioni fuorvianti, come appunto Transition away, dietro la quale non c’è niente se non di proteggere interessi consolidati.

Ne sanno qualcosa già adesso, in quanto stanno vivendo sulla loro pelle e nella loro terra, l’effetto inarrestabile dei cambiamenti climatici, le comunità dei 39 stati insulari del mondo. Per esempio se si fallisse la possibilità di contenere l’aumento di temperature entro 1,5°C, 42mila persone delle isole Marshall, un arcipelago del pacifico sulla linea dell’Equatore, che vivono due metri sopra il livello del mare, dovrebbero iniziare a progettare migrazioni nella seconda parte del secolo. I cosiddetti migranti climatici, che non ancora riusciamo a comprendere nel loro dramma, fin quando non toccherà alle nostre stesse esistenze essere vittime dello stesso problema, se non verrà seriamente e consapevolmente affrontato con urgenza. In effetti il testo dell’accordo uscito da COP 28 è da più di mezzo mondo (un blocco di ottanta paesi che va dall’Unione europea ai più vulnerabili) considerato irricevibile, pericoloso e contrario alle richieste della scienza. Per contenere la crisi climatica serve una cornice temporale più stretta e iniziare con un’uscita vera dalle fonti fossili. L’unico risultato positivo è la costituzione del fondo “loss and damage” (Perdite e Danni), che dà la possibilità di rifondere chi abbia avuto danni per perturbazioni metereologiche a carattere violento. Oggi più che mai c’è da capire che la transizione energetica non la governiamo noi, la governa la crisi del clima. L’agenda non la decidiamo noi, quindi niente sigle astratte transition away, perché poi subiamo per trauma un cambiamento che avremmo potuto assumere per intelligenza.

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L’arcipelago delle isole del Pacifico stanno anticipando, alla luce di oggi, uno scenario di possibile sparizione, per innalzamento dei livelli del mare per effetto del riscaldamento globale, che, a rigore di logica, senza intenzioni di fare catastrofismo, potrà essere comune a tutte le altre isole, prima o poi, e quindi Inclusa anche l’isola d’Ischia. I figli di questi petrolieri come i nostri figli saranno sulla stessa barca, senza potersi riparare da questo dato di fatto, oramai internazionale, come giustamente denunciano quelli di ultima generazione. Certo il più ricco resiste meglio evidentemente, ma poi in ultima analisi si avranno degli spostamenti, sconvolgimenti tali che servirà molto poco arroccarsi nella parte ricca e averla difesa anche con le armi. In conclusione serve uscire in fretta da questa situazione e non lentamente.

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* MANAGER PER LA SOSTENIBILITA’

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