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Noi, i bengalesi del Pio Monte della Misericordia

di Sara Mattera

CASAMICCIOLA.  Esistono luoghi sulla nostra isola che versano in uno stato di degrado e abbandono. Luoghi dimenticati da tutti, perfino dalle stesse amministrazioni competenti e che, ridotti ad essere fantasmi di ciò che un tempo essi hanno rappresentato per la comunità isolana, sono ormai considerati tutt’altro che accoglienti e frequentabili. Eppure, nonostante lo stato di degrado in cui versano, questi luoghi finiscono per trasformarsi, spesso e volentieri, in rifugi di prima necessità per chi ha pochi spiccioli in tasca ed è costretto a lasciare la propria casa e la propria famiglia per cercare lavoro in terra straniera. Ed è in uno di questi anfratti abbandonati della nostra isola che oggi si nasconde una realtà non visibile agli occhi dei più. Stiamo parlando del Pio Monte della Misericordia, un tempo luogo di accoglienza per ammalati e poveri e che, oggi, ridotto ormai in macerie, ospita un gruppo ristretto di immigrati, tutti originari del Bangladesh, costretti a vivere in uno stato tutt’altro che piacevole.  «Veniamo ogni anno qui ad Ischia  – ci dice Faruq che vive in Italia da quasi otto anni e l’unico del suoi compagni che riesce a comprendere e a parlare discretamente l’italiano – veniamo d’estate per lavoro. Gli affitti della case, però, costano tanto sull’isola e  non ci possiamo permettere di pagarli. Così ci accampiamo qui. Non è facile, ma ci adattiamo».

E di spirito di adattamento, Faruq e i suoi altri tre connazionali ne hanno, infatti, da vendere. Delle rovine di questo luogo abbandonato, privo di luce artificiale e di qualsiasi confort, ne hanno fatto una sorta di casetta fai da te, attrezzandosi con coperte, materassi, e secchi ricolmi di acqua in cui lavarsi. Nel loro bizzarro accampamento sbuca  perfino una corda su cui appendere i vestiti lavati e una sorta di cucinino, con il quale, ogni giorno, il gruppo di bengalesi prepara i proprio pasti, costituiti per lo più da riso e verdure. Tutti prodotti – specifica Faruq – che acquistano al supermercato ubicato in zona.  Tra le macerie del Pio Monte, questo gruppo di immigrati trascorre le ore dopo il lavoro con il quale cercano di guadagnare qualche soldo da poter inviare alle proprie famiglie. «Mi sono sposato – ci racconta Faruq – nell’ottobre dello scorso anno, ma ovviamente mia moglie non può vivere con me in queste condizioni». Nonostante il forte spirito di adattamento e la buona volontà, la vita per Faruq e i suoi compagni non è, infatti, facile. Pur accampandosi lontano da occhi indiscreti, senza cagionare problema alcuno, qualche ragazzino poco educato, in diverse occasioni, non ha mancato di creare loro fastidio. «L’anno scorso – ci dice Faruq – alcuni ragazzini di Napoli ci hanno lanciato delle pietre.  Altri si sono intrufolati qui dentro e hanno cercato di rubarci le cose che abbiamo o comunque di rovinarcele.»

Ciò che possiedono questi begalesi, accampatisi nel cuore della nostra isola, infatti, è ben poco. Non più di qualche abito e oggetto, necessario per la sopravvivenza in un luogo tanto angusto. Evidentemente, però,  per alcuni piccoli teppistelli,  l’accampamento bizzarro dei bengalesi scatena ilarità. «Per loro è un gioco – ci dice Faruq – per noi invece è come morire». A questo modus vivendi, però, il gruppetto di bengalesi si è ormai abituato e, nonostante le difficoltà, cerca di trascorrere la propria quotidianità, arrangiandosi come meglio possibile. Difficoltà con cui, purtroppo, devono confrontarsi non solo Faruq e i suoi compagni, ma molti altri loro connazionali che, ogni anno, scappano dal proprio paese, minato da sovrappopolamento e povertà.

Il Bangladesh, infatti, oggi consta di circa 160 milioni di abitanti, distribuiti in un territorio esteso meno della metà dell’Italia e in cui  scioperi e rivolte interne la fanno ormai da padrone. Da qualche anno, inoltre, il paese deve fare i conti con la contrapposizione di due partiti politici, quello laico progressista e quello filo islamico, e che è sempre più causa di violenze di natura estremista. Giusto qualche giorno fa, Dacca, capitale del Bangladesh, è stata lo scenario di un violento attentato che ha visto la morte di 20 persone, tra cui 9 italiani uccisi per mano di un presunto commando di giovani jihadisti. «Noi non siamo di Dacca – ci dice a tal proposito Faruq – i nostri parenti vivono tutti lontano da lì. Abbiamo chiamato a casa e stanno tutti bene.  Quello che è accaduto non è cosa giusta, ma ora siamo qui e  a noi poco interessa di cosa continua ad accadere laggiù».

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Oggi, però, il sogno di fare fortuna nel nostro paese e sulla nostra isola, per questo gruppo di bengalesi è ormai un miraggio e così cominciano a guardare altrove. A settembre, Faruq e i suoi compagni  infatti, torneranno a Napoli dove solitamente trascorrono l’inverno in un piccolo appartamento di cui riescono a sostenere le spese, ma, ormai sono sempre più decisi a lasciare l’Italia. «Ad ottobre mi scade il permesso di soggiorno. Penso che andrò a cercare lavoro in un altro paese europeo, perché qui non ce n’è.  Non c’è per gli italiani, figuriamoci per noi. Purtroppo qui, come in Bangladesh chi è ricco si arricchisce ancor di più, chi è povero si impoverisce ancora di più. È così in ogni parte del mondo».

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Insomma, mentre sulla nostra isola si organizzano eventi e si accolgono vip di vario genere, e mentre la tematica dell’immigrazione si accentua sempre di più, c’è chi, nell’ombra dell’intera comunità, venuto da lontano, pur di guadagnare qualche soldo, vive in un luogo di assoluto degrado con quattro stracci e qualche secchio, senza chiedere aiuto a nessuno, né dare fastidio alcuno, contando solo sulle proprie forze. Una storia certamente, quella di Faruq e dei suoi connazionali di grande  dignità  e spirito di sopravvivenza e dalla quale, forse, anche molti di noi, dovrebbero trarne lezioni di vita.

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