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SANITA’ A ISCHIA: CURARE L’ANIMA OLTRE CHE IL CORPO

Questo articolo è dedicato al quarantennale dell’approvazione della Legge 180 di riforma Basaglia (13/5/1978), che rivoluzionò il trattamento sanitario dei disagiati mentali, con la chiusura dei manicomi. Il messaggio che lanciò la scuola triestina di Basaglia è, in realtà, estensibile ad altre branche della medicina perché aprì un varco sull’insufficienza – in molti casi – del solo uso di medicinali. Il suo ragionamento partiva da un presupposto: il corpo umano non è un soggetto a se stante,esso è il risultato dell’aspetto anatomico che interagisce, però, col mondo. In altre parole, l’uomo è corpo ed anima, intendendo l’anima non in senso platonico (Verità) né in senso religioso (componente immortale) ma come prodotto della relazione uomo-società. Questi concetti che guidarono Basaglia per riportare i malati mentali nel loro habitat familiare e sociale, sono stati spiegati molto bene da grandi scrittori e intellettuali. Nietzsche, in Così parlò Zaratustra,, scrisse: “ C’è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza”. Jean Paul Sartre, in l’Essere e il Nulla, scrisse: “Il corpo è l’oggetto psichico per eccellenza, il solo oggetto psichico”. Ovviamente, questo principio sacrosanto di rispetto dell’uomo e della sua dignità nulla c’entra con le insufficienze e l’incapacità del Sistema sanitario e degli Enti locali di creare, intorno al malato mentale, una “rete” umana capace di elevare il malato a cittadino,unico e irripetibile. Il filosofo Norberto Bobbio,giustamente definì la 180 come l’unica vera riforma del dopoguerra. Eppure, oggi ci sono, in Italia, forti tentazioni  di ritorni all’indietro, c’è un ritorno prepotente alle psichiatrie della pericolosità, dei trattamenti farmacologici, delle contenzioni. E qui veniamo alla triste realtà della Campania e dell’isola d’Ischia.

La Campania ha sette Dipartimenti di salute mentale, con una diramazione di 91 Centri Territoriali (il 14% in meno della media nazionale), 51 Strutture residenziali (-70,8% rispetto alla media nazionale) 52 Strutture semiresidenziali (- 34,7% rispetto alla media nazionale). Il dato della spesa sanitaria per l’assistenza psichiatrica, fermo al 2015, è di 242 milioni di euro (- 30% rispetto alla media nazionale). Nel bilancio regionale, solo il 2,4% della spesa sanitaria è stata messa a budget per l’assistenza psichiatrica. Ecco, è di queste cose che i politici locali, regionali, nazionali dovrebbero parlare. E ci aspettiamo ancora che parlino. Ho constatato come risposero, a novembre 2017, alle sollecitazioni del Vescovo Lagnese, il Direttore Generale dell’ASL Napoli 2, Antonio D’Amore e il Direttore del Dipartimento di Salute mentale, Walter Di Munzio, a proposito del timore di chiusura della SIR isolana. La risposta fu che non sarebbe stata chiusa la struttura e che si stava studiando un riassetto per una migliore funzionalità, “per cure specialistiche adeguate in contesti degni”. Una risposta un po’ criptica, che potrebbe significare che si pensa ad una struttura residenziale non più socio-riabilitativa ma terapeutica-riabilitativa . L’importante è che questo non significhi un ritorno alla farmacologia pura con l’ abbandono dell’attenzione psicologica . Nessuno vuole demonizzare i farmaci, ma da soli non servono, se non accompagnati da una parola semplice e antica: “Amore”. I disturbati mentali hanno bisogno di amore, attenzione, di sentirsi partecipi di un ambiente familiare, paesano. Ma questi concetti valgono per i disturbati mentali come per gli ammalati di cancro allo stato terminale, quando cioè la medicina si arrende, avendo esaurito tutte le possibili terapie, tutti i possibili protocolli. Ho constatato che il CUDAS richiede un altro oncologo per l’Ospedale Rizzoli, in modo da poter seguire anche i malati a casa. Esistono, infatti, due vie per le cure palliative di malati oncologici: o quella dell’assistenza a casa ( qualora ci sia una famiglia in grado di affrontare un dolore così grande e così vicino) e la via dell’ospedalizzazione in Hospice, ovvero uno spazio, un piano, dedicato alle cure palliative (attenzione anche al significato di “cure palliative” che non vuol dire affatto “inutili”, perché possono prolungare, con gli effetti psicologici, la vita oltre le aspettative mediche).

In Campania, su 735 casi di tumore per ogni 100 mila abitanti, i malati terminali sono 19.427. Per praticare la terapia del dolore in Campania, che conta 6 milioni di abitanti,vi sono 9 Hospice e 31 Centri per la terapia del dolore. Può verificarsi anche un’integrazione Hospice-domicilio, in parte in Ospedale e in parte a casa. A fine 2017, la Regione Campania ha deliberato l’istituzione di 400 posti letto aggiuntivi e 14 nuovi hospice. Dei 9 hospice già esistenti in Campania solo 1 è nell’area ASL Napoli 2. La Campania ha perso 126 milioni di euro di fondi ministeriali ed europei per l’oncologia per carenza di progetti. Bisognerà lavorare con serietà progettuale per recuperarli. Si pensa, ad esempio, di prevedere, per le donne, anche forme di finanziamento per supporti estetico-fisici. Non è una banalità o una vanità, a volte anche una semplice parrucca può contribuire a conservare dignità alla persona. Però, a mio avviso,  è meglio, molto meglio il calore familiare, il guscio casalingo, che l’Hospice. Quest’ultimo è troppo impattante, troppo dichiaratamente un luogo di attesa e transizione verso la morte. E’ vero che anche in ambiente ospedaliero possono trovarsi amicizie, solidarietà inaspettate, ma la casa e i congiunti sono un’altra cosa. E un mezzo eccezionalmente funzionale, a supporto delle famiglie, è l’ANT (Assistenza Nazionale Tumori), la Onlus che assiste a casa, sotto tutti i punti di vista, medico, psicologico, strumentale, i malati terminali. Questo sarebbe un ausilio eccezionale per un’isola come Ischia. Ma oltre al disagio mentale, alla lotta al tumore, ci sono altri campi della medicina che hanno un’alta incidenza nell’isola d’Ischia e che andrebbero trattati come cura dell’anima prima che cura del corpo.

E’ innegabile, ad esempio, che nell’isola (a causa dei forti contrasti e delle gravi contraddizioni socio economiche esistenti) il “mal di vivere” giovanile cresca esponenzialmente: dai disturbi alimentari all’alcolismo, alla droga, alla depressione, all’isolamento in casa davanti a giochi elettronici, alla ludopatia.  Spesso questi mali vengono sottovalutati, ritenuti mali non organici. Quante volte l’isola ha dovuto assistere attonita a inspiegabili (apparentemente) casi di suicidi di giovani o meno giovani. Chi è il “depresso”? Uno che non riesce a comprendere la bellezza della vita o colui che ha capito troppo bene la casualità e l’insignificanza del vivere? Voglio  citare ancora una frase eloquente di un grande scrittore, Kafka ( da Confessioni e Diari): “Scrivere ricette è facile, intendersi con la gente è molto più difficile”. E un grande psichiatra italiano, Eugenio Borgna, in un suo saggio sulla depressione, intitolato Malinconia, scrive: “Sarebbero necessarie dosi minori di analgesici, sonniferi e tranquillizzanti e magari di insulina nei diabetici se i pazienti potessero essere ascoltati: alleggerendo la loro solitudine, che esaspera e aggrava ogni condizione di sofferenza psicologica, ma anche di malattia”. Un’altra malattia, di cui gli scienziati faticano a venire a capo, è l’Alzheimer. Ebbene è uscito di recente un libro di Elisa Pasquarelli “Antropologia dell’Alzheimer. Neurologia e politiche della normalità” frutto di una ricerca presso il Centro disturbi della memoria dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. Tale libro – commenta su Venerdì di Repubblica del 4 maggio l’antropologo Marino Niola – mostra gli effetti positivi di una collaborazione tra medici e antropologi. Che aiuta a illuminare una terra di nessuno, della medicina e della vita come il Mild Cognitive Impairment, il “deterioramento cognitivo lieve”. Cioè la zona grigia che sta tra malattia della terza età e terza età come malattia…con l’effetto positivo di rimettere al centro della diagnosi e della terapia la dimensione umana, emotiva, affettiva che fa di ogni paziente una persona”.

Per concludere,invito gli uomini  e le donne di buona volontà, i volontari dell’isola d’Ischia, tutti coloro che sono ancora liberi dalle catene dell’odio seminato quotidianamente attraverso i social, a far propri i principi della dignità umana e del riconoscimento dell’unicità e irripetibilità di ciascun uomo e di ciascuna donna, dotati di un proprio corpo e di un proprio vissuto, di una propria anima.

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Franco Borgogna

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