“Schegge di Napoli”, Andrej Longo si racconta nella Cattedrale del Castello Aragonese

Di Isabella Puca
Foto Enzo Rando
Ischia – È stata una serata ricca di suggestione quella di giovedì sera; protagonista la scrittura di Andrej Longo, magica cornice la cattedrale diroccata del Castello Aragonese. Attento il pubblico colto, tra lettori appassionati e giovani neofiti di quest’autore, ischitano, famoso per aver pubblicato diversi libri con la casa editrice Adelphi. Solo, con un bicchiere di vino rosso e la sua scrittura, Andrej Longo si è presentato al pubblico, raccontando di sé, dei suoi libri, ciascuno legato a diversi aneddoti. Una lettura – spettacolo chiamata “Schegge di Napoli” che ha ripercorso velocemente tutti i suoi scritti per poi concludersi con l’ultimo romanzo pubblicato da Adelphi “L’altra madre”. «Era l’11 settembre del 2001 – racconta Andrej al suo pubblico – lavoravo in un ristorante; la mia carriera artistica procedeva malissimo. Quel giorno ci fu l’attentato alle torri gemelle. Rimanemmo tutti sconvolti, eppure nel ristorante c’erano persone di vario genere, non solo italiani. Le reazioni furono uguali, per me fu una cosa sorprendente. Questa cosa ha dato vita a “Più o meno alle tre”, una raccolta di racconti ambientati a Napoli con storie che s’ incrociano e che raccontano la città». È così che prende avvio la lettura, fatta dallo stesso autore, di uno stralcio della raccolta. Filo conduttore di tutte le sue opere è l’aver attinto dalla realtà, che sia essa vissuta in prima persona dall’autore o ripresa da fatti di cronaca raccontati dai quotidiani. «Passato un anno e mezzo ero a Forio, a San Francesco, al bar per prendere un caffè e sento due persone che parlano. Una dice all’altra “ti aspetto fino alle due, poi me ne vado”. Questa frase me l’appuntai su un foglietto. Due settimane dopo, ero a Roma per lavoro, avevo due giorni liberi e iniziai a scrivere un racconto che però non significava nulla. Dopo la prima stesura, in due giorni verrà fuori “Adelante” il secondo libro che ho pubblicato». Uno dei libri di maggior successo dello scrittore ischitano è però “Dieci”, una raccolta di dieci racconti ambientati nella periferia napoletana legati ai dieci comandamenti. Fu questa che vinse, tra gli altri, il premio Bagutta e il Premio Chiara, arrivando in finale al premio Bancarella. «Poco prima di Natale ero in biblioteca per cercare spunti per scrivere qualche articolo per un giornale. Mi venne in mente quest’idea, non so nemmeno io come. In realtà le idee ne erano due all’epoca. Mia moglie doveva partire per una ventina di giorni, sapeva che avrei scritto qualcosa e mi chiese a cosa stavo pensando. Quando le dissi delle 10 storie, legate ai 10 comandamenti, mi invitò a scrivere quella perché “qualcuno avrebbe potuto rubarmela”. Dopo quella frase mi precipitai a scrivere». Pur dichiarandosi un timido, durante la presentazione lo scrittore si tramuta in attore narrando a gran voce l’incipit di “Chi ha ucciso Sarah?”. Protagonisti due poliziotti, Cipriani, uomo del nord, puntiglioso, preciso e Acanfora, giovane poliziotto fuori dal mondo che per fare un piacere a un amico si ritrova in auto con Cipriani durante il giorno di Ferragosto. «Altro libro che ho scritto è “Lu campo di girasoli”. In realtà, avevo scritto un libro angosciante, drammatico. Scrivo con la musica, cercandone una che mi dia il senso della storia. Portai il libro alla Adelphi dove mi dissero di avere dei dubbi, andava pensato. Ma mi venne voglia di scrivere una storia leggera, mio zio mi mandò delle musiche legate alla taranta, iniziai ad ascoltarle e, nel giro di pochi giorni, scrissi questo romanzo un misto di napoletano, pugliese e siciliano. Scoppiettante, allegro, vivace, ma incomprensibile». Per Andrej la scrittura non è una lingua, ma una musica che risuona nella cattedrale quando dà lettura di uno stralcio de “Lu campo di girasoli”. A metà serata c’è spazio per le domande, quelle spontanee del pubblico e quelle previste, grazie all’ausilio di tre amici dello scrittore, Salvatore Ronga, Ugo Vuoso e Anna Di Meglio. Si parla allora del suo ultimo libro “L’altra madre” definito già da alcuni il capolavoro di Andrej, affrontando temi quali il presentimento, la musicalità del dialetto, lingua dei suoi romanzi, e della distinzione, mai netta, tra il bene e il male. Protagonisti di quest’ultima storia sono Genny e Tania. Sedici anni, il primo, barista a via Toledo; tra i passatempi preferiti c’è il pallone e il motorino che si diverte a portare senza mani, sfidando l’asfalto con diverse acrobazie. L’altra è Tania, 15 anni, studentessa con il naso all’insù. C’è poi la madre di Genny che passa le giornate a fare gli orli ai jeans e ogni tanto fa i tarocchi e la madre di Tania, una poliziotta, una dura. Centro del romanzo l’incontro tra i due giovani in una Napoli a tratti oscura. «Molte delle cose che scrivo – racconta ancora Andrej – sono in prima persona. Questo è successo soprattutto in “Dieci”, dove ci sono dieci personaggi ognuno in prima persona. All’origine i racconti erano in terza persona, ma mi sembravano finti, distaccati, non riuscivo a entrare bene nell’ anima dei personaggi, allora ho iniziato a scriverlo in prima persona. Si parla di adolescenti, donne, mettermi nei loro panni non era facile, ma in prima persona si andava subito al nocciolo della questione e adeguavo la lingua al mondo dal quale venivano questi personaggi, una lingua che non era esattamente la loro, era sporcata, mediata, ma aveva quella cosa che avvicinava i personaggi. Sono di un’ estrazione e debbono parlare in una certa maniera».
Nell’ultimo libro “L’altra madre” la prima persona scompare, i protagonisti diventano due e una voce narrante ripercorre le loro vicende, «l’ho voluta sporcare, per avere un racconto di quelli che si raccontano davanti al fuoco, doveva essere uno che veniva da quei posti. Questo tentativo di avvicinare il personaggio alla loro lingua li rende più veri. Volevo una storia dove il bene e il male non fossero chiari. Viviamo in dei tempi dove si semplificano le cose, perché si va di fretta, o bianco o nero. Volevo una storia dove i confini non fossero chiari anche perché la realtà di Napoli non è chiara e nemmeno il mondo in cui viviamo. Crescendo impari che le vite di ognuno di noi hanno ombre, sfumature». Tra un sorso di vino al chiaro di luna Andrej Longo continua a raccontare della “malattia della scrittura” che gli prende quando, viaggiando nei vari paesini, arriva nei cimiteri e leggendo i nomi e le date sulle tombe pensa alle tante storie che, forse, mai nessuno racconterà. Qualcuno, poi, gli chiede se ha in mente di scrivere un altro libro e l’autore ammette di essere a buon punto con un altro progetto. Si ritorna poi a parlare de “L’altra madre”, u libro tutto al femminile. «Volevo raccontare una storia di Napoli, la madre è Napoli, tradita magari dai figli che diventano un po’ cattivi e questo è uno dei motivi per il quale non volevo figure maschili importanti». Grazie alla lettura teatralizzata di due amici attori, guardando il suo romanzo dall’esterno, l’autore ha potuto cogliere i difetti, le presunzioni di un momento cruciale del libro: l’incontro dei due protagonisti. Qualcuno poi gli chiede quand’è che ha iniziato a scrivere, «alle medie ci assegnarono un compito: racconta una gita. Scrissi di un’uscita in barca con mio nonno, entravamo in una grotta, compariva una balena. L’insegnante me lo fece leggere ad alta volte e a metà mi disse “8, vai a posto”, ma i miei compagni volevano sapere come andasse a finire. Pensavo, da ragazzino, che avrei scritto anche perché non riuscivo a parlare!». Sul finale c’è una domanda che riguarda il suo rapporto con l’isola, «C’erano degli amici che dicevano di non essere mai stati a Ventotene, una meta per quando saremo vecchi, perché troppo vicina. Con Ischia è un po’ così. Ci sarà qualche storia ambientata a Ischia, chi lo sa, forse più in là e in molti non mi parleranno più. Giocavo a scacchi a buon livello eppure non ho mai scritto una storia immaginata al mondo degli scacchi. Mi chiedo se quello che conosci sia abbastanza o cerchi qualcosa che possa essere un viaggio. Vedremo, le prime cose che ho scritte erano ambientate a Ischia, ma quelle storie non furono mai pubblicate»