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Scusate chiediamo troppo avere un po’ meno corruzione?

di Marco Gaudiuni
Non chiamateci l’isola della corruzione; non definite i nostri politici e funzionari corrotti. Questa non è Ischia! Questa non può essere la nostra isola. Insomma, ciò che continuiamo a vedere, da “caso Copgas” a “Ischia mazzettara”, è ordinario sentire per strada, su un aliscafo, in bus o al bar: «che vuò fa è la politica» o “ordinaria quotidianità “politica”? Prima di tutto, però, un paio di osservazioni.

Voi che leggete “Il Golfo” lo sapete bene, cerchiamo di essere sempre obiettivi e raccontare i fatti evitando commenti personali proprio perché noi dobbiamo fare giornalismo a voi lettori spetta il giudizio. Tranne negli editoriali, nelle opinioni, come questa, nei “corsivetti”.

Ma ritorniamo ai fatti. E così, se si “smazzetta” da Ischia a Procida, si scrive, magari talvolta rinunciando a quella prudenza necessaria quando si fa informazione: ma davanti a certe notizie forse è meglio rischiare che tacere, no? Anche i magistrati fanno il loro mestiere e dispongono di uno strumento formidabile, le intercettazioni, capaci di svelare mondi inimmaginabili. Pure qui ci sono abusi, si sa, e grande è la responsabilità di pm e giornalisti nel distinguere il grano dal loglio senza calpestare i diritti di nessuno. E certo si può sbagliare, ma non è un caso che a ogni governo – e quello di Matteo Renzi non fa eccezione – corrisponda una riforma della giustizia che, immancabilmente, mette in discussione poteri dei magistrati e intercettazioni. Ma per noi ben vengano le intercettazioni, le indagini, eccellenti dei carabinieri di Ischia che, forse come non mai, stanno pulendo l’isola anche dalla quantità di droga, spacciatori e corrieri.
Ben venga uno, dieci, cento Centrella. Già, si c’è Centrella, ci sono i Carabinieri; c’è Aiello, ci sono i Finanzieri; c’è Manelli, c’è la Polizia. Ma domandiamoci però: perché la corruzione a Ischia è così diffusa? Perché la politica ha perso le motivazioni che la muovono, quelle motivazioni politiche, civili e religiose che formano il sostrato di ogni civiltà.

E ci domandiamo perché su un’isola complessiva di 46,33 kmq per circa 60mila abitanti, abbiamo ben sei comuni con sei sindaci, sei giunte comunali, tanti consigli comunali, sei segretari, dirigenti moltiplicati per sei, e, soprattutto, cinque differenti gestioni della “munnezza”, tra società compartecipate e private e, udite udite l’Cisi oggi Evi, il consorzio per l’acqua e le fogne in liquidazione da tantissimi anni e dove gli amministratori operano come in regime normale. Perché tutto questo? Perché aziende, albergatori, commercianti, cittadini devono pagare centinaia e centinaia di migliaia di euro di tassa per la spazzature, tasse comunali, Tosap (Occupazione suolo pubblico), IUC.
E pensare che oltre a imposte e tasse i comuni hanno ingenti introiti dai porti turistici, dalla vendita della plastica, dell’alluminio, dai parcheggi, dagli affitti di proprietà, incassi sui permessi a costruire, licenze, agibilità.

Ma dove vanno a finire tutti questi soldi? Dove sono i servizi? Ora qualche dubbio sorge!
Mi guardo attorno e vedo molte persone alle quali sono esauriti anche gli stimoli più personali, cioè l’ambizione di distinguersi e la voglia di veder riconosciuti i propri meriti. Infatti la corruzione dilaga lì dove non c’è meritocrazia. Ed ecco che ci troviamo con tanti dipendenti pubblici ed è per questo che dobbiamo pagare tante tasse, tante società partecipate. tanti comuni e tante tasse da pagare, tanti dirigenti e sempre tante tasse da pagare.

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Mi dispiace solo che l’idea generalizzata è che “così fan tutti” e che non ci sia altro modo per emergere. Ma da noi, a Ischia no, non è immaginabile, ci conosciamo tutti!

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Pensate un po’, pochi mesi fa il nostro giornale ha dato mandato ad un avvocato per recuperare un credito di un cliente che non ha pagato le inserzioni pubblicitarie da oltre un anno. Abbiamo accettato un rimando del cliente a tre mesi, poi accettato altri tre mesi e ancora un mese. Infine, il cliente ci chiede il pagamento dilazionato mensile a 100 euro, accettato anche questo. Sorpresa non paga neanche la prima rata. Spunta un avvocato per la controparte. Indovinate cosa succede? Disconosciuta la firma, disconosciuto il timbro e mettono come testimone un giornalista locale (amico dell’avvocato), che, non curandosi di nulla, accetta. Signori noi non possiamo appartenere a questa “razza”, non possiamo appartenere a queste persone che sguazzano nella lite e portano collera e rancore.

Ma la nostra fortuna devono per forze essere forze dell’ordine e magistrati? Dobbiamo sperare in Raffaele Cantone sindaco dell’isola? Pensate un po’ ahimè, una volta si minacciava «ti faccio causa», oggi la sfida è «fammi causa». Facile che, con tali premesse, prevalgano cinismo e rassegnazione.
E però non c’è altro modo per ridare credibilità alla politica e alle istituzioni che impegnarsi a fondo per arginare il fenomeno. Prima che siano i corrotti a rottamare gli innovatori.

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