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“Seimia”, viaggio nella musica di Massimo Cancemi

Gianluca Castagna | Ischia – Sarà perché il tempo cementa le emozioni vere. Sarà perché chi ha veramente qualcosa da dire, alla fine vince e avvince. Sarà, diciamola fino in fondo, perché è quasi doveroso parteggiare per le congreghe di musicisti nostrani il cui talento prevale sempre sulla pigrizia della discografia tricolore. Fatto sta che “Seimia”, album d’esordio del chitarrista Massimo Cancemi pubblicato lo scorso dicembre e distribuito da edizioni Graf, è il primo traguardo artistico realmente compiuto e riuscito di un genetista con la passione divorante per la musica.
Venti tracce che concorrono, con i loro colori ora forti ora più lievi, a disegnare uno stesso quadro. Tratti e linee di un mondo, musicale e di emozioni, in cui, come accade di rado, si fondono passione e geometria, sentimenti e curiosità, ricerca del futuro e richiami del passato. Jazz fusion, certo. Ma anche swing, new age, bossa, echi latini e suggestioni del Mediterraneo. Path Metheny («chitarrista immenso, l’ultimo che ha detto qualcosa di nuovo»), ma anche il Pino Daniele più ricettivo alle contaminazioni (la cui influenza si avverte con chiarezza in “Respiro alto”).
Cancemi riesce a cesellare a dovere melodie ricche di preziosi dettagli, che danno forma ad armonie ai coinvolgenti fraseggi musicali. I temi sono tutti sintetizzati nei titoli tranchant: “New Experience” (brillante incipit con trascinanti variazioni), “Seimia” (dalla dolcezza cristallina), “L’universo qui” (con la sua melodia introspettiva), “Così diversi..e pure”, “Around me”, “Giulia” (uno dei pezzi più belli, reso ancora più struggente dal violino di Antonio Mazza). Le alchimie dei suoni si incastrano con grande scioltezza in questo viaggio nella musica e nelle emozioni nel quale trova spazio anche la scienza. In chiave musicale. “Apparentemente bilanciata” e “Crossing over” ruotano su due temi familiari ai genetisti che tuttavia riguardano l’intera avventura umana: gli equilibri son precari (perché apparenti) e la vita – come diceva già qualcuno – è l’arte dell’incontro (non solo di cromosomi). In “Sweet swimming” con intro elettronica subito sciolta nel suono acustico che caratterizza tutto il disco, l’altra passione di Cancemi: il mare. Nel tuffo che segna il confine tra il tormento della metropoli e l’estasi dell’acqua (il liquido amniotico?), la possibilità per ognuno di noi di afferrare e immergerci nello schema aperto delle emozioni, della musica e del jazz.

La musica è la tua grande passione. Come sei arrivato alla realizzazione di “Seimia”?
«Sono anni che ci penso. Nella mia vita ho ascoltato molta musica, ne ascolto ancora e suono da quando ero un ragazzino. Tante esperienze: in gruppo, in un trio jazz di chitarra, tromba e piano, composizioni mie che in questi anni hanno preso forma. L’incontro con Antonio Onorato, musicista di grande rilievo nel mondo del jazz, ha smosso un po’ le acque. Abbiamo suonato insieme un paio di volte e lui mi diceva: facciamo qualche brano tuo, oltre gli standard, facciamone un disco. Mi sembrava una buona idea, anche perché, nel frattempo, si era aperta la vena creativa e si è aggiunto del nuovo materiale. La collaborazione in studio con Onorato si prospettava un po’ irta di ostacoli, perché siamo entrambi due chitarristi, abbiamo tempi diversi e ho capito che non era la strada giusta. E’ stato Marco Sannini a riprendere in mano questo progetto, condividere con me questa avventura e aiutarmi a realizzare “Seimia”».
Cosa ha significato, dopo tanti anni, produrre un vero e proprio disco in una fase attuale della discografia in cui la musica stessa è diventata liquida?
«E’ stato importante. La musica ha sempre scandito tutti i giorni della mia vita, è diventata una compagna che ha condiviso con me gioie e tristezze, delusioni e successi: le tante emozioni che provo al fianco di questa magnifica compagna sono state linfa vitale per crescere ed evolvermi nel profondo dell’animo. Anche se nella vita mi occupo di tutt’altro, sono infatti un genetista, “Seimia” è riferito a questa compagna, la musica, che con la realizzazione del disco sono riuscito finalmente a fare “mia”. Il lavoro in studio è stato lungo, e in alcuni momenti faticoso, ma me lo sono goduto tutto perché trovarmi a suonare con questi musicisti, in mondo che ho sempre amato, è stato fantastico».
Parliamone, di questi musicisti.
«Marco Sannini è stato decisivo come amico e musicista. Lui è un trombettista che qui ha suonato il flicorno, ma mi ha aiutato anche nella scelta degli altri musicisti: Renato Grieco, Stefano Costanzo e Roberto Porzio. Grieco è bassista e contrabbassista dal talento incredibile: ha curato con me gli arrangiamenti del disco e sono certo che in futuro farà grandi cose. Roberto Porzio suona il piano in maniera stupefacente, mi ha molto sorpreso tanto da affidargli alcuni temi inizialmente pensati per la chitarra. Ha un orecchio pazzesco e una cultura musicale a 360 gradi. Stefano Costanzo è un musicista formidabile nel jazz moderno, un batterista a cui ho voluto dare grande libertà. Poi c’è Antonio Fresa, uno dei migliori produttori italiani che ha suonato insieme a me in “Inspiration”, registrato mentre improvvisavamo in studio. E ancora Emidio Ausiello alle percussioni, Nicola Rando a cui ho chiesto di suonare il sax soprano perché contagiato dalla mia malattia per Wayne Shorter, e infine Antonio Mazza, il violino in “Giulia”, il pezzo dedicato a mia moglie».
Un’altra grande protagonista del disco è la chitarra baritona. Strumento insolito.
«Sono 25 anni che la suono, è una chitarra con una sonorità molto più lunga nei bassi, sta alla chitarra come una viola a un violino. Le accordature aperte allargano il campo delle possibilità espressive, al contrario dell’accordatura tradizionale che costringe a schemi tonali e armonici più definiti e rigidi. Perfetta per esplorare nuovi percorsi musicale, per creare un’atmosfera più ricca e piena».
Hai dedicato una canzone anche a Ischia: Pithecusae.
«Certo. Mi considero ischitano anche se vivo a Napoli. Sono nato a Ischia, ho la residenza a Casamicciola dal 1980 e mia madre era ischitana al 100%. Torno sempre volentieri per rilassarmi e suonare».
Ti piacerebbe che “Seimia” assumesse una dimensione live?
«L’intenzione, dopo l’uscita del disco, era andare in tour. Poche serate tra Lazio, Puglia, Campania. Poi mi sono reso conto che era impossibile conciliare questo impegno con il mio lavoro. Nulla vieta che in futuro, magari anche in formazione ridotta, si possa suonarlo live. I brani, del resto, sono stati tutti trascritti. Per ora, grazie a Spotify, mi godo i primi feedback che arrivano dai luoghi più lontani: Tokyo, Los Angeles. Penso anche a un video tratto da “New Experience”, il pezzo di apertura del disco. Lo sto preparando insieme a giovani videomaker napoletani. Sarà in bianco e nero, con immagini che alternano il presente e il passato, anche con materiale video d’epoca della mia famiglia in cui si vedrà Ischia degli anni ’60».

 

 

 

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